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Come sasso nella corrente

Post n°278 pubblicato il 01 Febbraio 2012 da mariopulimanti
 
Foto di mariopulimanti

COME SASSO NELLA CORRENTE

 

Tento di aprire gli occhi aiutandomi con le dita, ma le palpebre sembrano incollate.

Raddoppio gli sforzi, ansimando, incapace di strapparmi dal sogno.

Poi, in un attimo, mi sveglio.

I miei occhi sono spalancati, le mani tremanti appoggiate al bordo del letto.

Balzo in piedi, rendendomi conto che ho dormito o comunque ho indugiato sui confini del regno del sonno.

Ho la sensazione che le mie gambe siano rigide come pezzi di legno.

Barcollando, mi dirigo verso il bagno.

Accendo la luce.

Accecante.

Mi avvicino al lavandino.

Mi spruzzo in viso.

Avverto con piacere il contatto con l’acqua fresca.

A questo punto, ricomincio a sentirmi umano, per quanto debole.

Vorrei camminare, con lo sguardo fisso sulla luce del sole che si rispecchia sul mare.

Una mano sulla spalla mi risveglia da questi dolci pensieri.

E’ Gabriele.

Gabriele non ha paura di dire ciò che pensa.

Lui esprime sempre le sue idee.

Però non è uno sconsiderato.

Sostiene che a meno che un individuo non sia particolarmente versato nell’arte della retorica, le parole che pronuncia in un luogo pubblico ben presto volano fuori dal suo controllo, come foglie al vento.

Una verità innocente può essere stravolta in una menzogna fatale.

Ecco perché non parla di politica fuori di casa.

O con estranei poco affidabili.

“Stai bene, papà?” Traggo un profondo respiro. “Sì”.  “E’ colpa di questa umidità  terribile e innaturale. E’ come un castigo. Secondo me, intorpidisce il cervello e brucia lo spirito, Dovresti sdraiarti e riposare”. “No! Con questa umidità, il sonno è il peggior nemico dell’uomo. Sogni terribili…”.

Saluto Gabriele. Saluto Alessandro. Saluto Simonetta.

 Decido di farmi una passeggiata in questa mattina di tardo inverno. Le strade luccicano ancora per la pioggia durata tutta la notte. Pioggia purificatrice. Nell’aria aleggia un buon odore di pulito. 

Arrivo a casa di mia madre. Alla Garbatella.

Ha avviato la macchina per fare la pasta.

Cominciano ad uscire i fili delle fettuccine e lei le taglia a mano a mano che raggiungono la lunghezza conveniente.

Esce nel terrazzo di casa, strappa qualche foglia di basilico che cresce in un vaso e di nuovo in cucina insieme alle foglie con pinoli, aglio, olio, sale, pepe, in un bicchiere del frullatore.

Prepara la salsa.

Mette a bollire la pasta e intanto lavora a un saltimbocca alla romana.

Lamine di carne di maiale con fette di prosciutto e una foglia di salvia, il tutto insieme da uno stuzzicadenti e passato in padella.

Entra in sala da pranzo con il vassoio pieno di fettuccine fumanti e con la pentola coperta dove riposa il saltimbocca.

A tavola, come unico commensale, l’attendo io.

Vino? Blanc de Vignes Les Cretes. Un vino Bianco della valle d' Aosta prodotto da un uvaggio di Chardonnay, Priè blanc, Muller thurgau e Pinot Grigio.

Amabile, armonico. Austero.

La saluto.

Torno a Ostia.

Passeggio, senza meta.

Trascinato dai miei pensieri.

Come sasso nella corrente.

Arrivo al pontile.

Intorno a me centinaia di persone che cercano di spremere alle ultime ore della gioirnata il loro inutile succo di gioia razionata.

Intorno a me, donne.

Donne sessualmente insoddisfatte.

Donne maritate e ben scopate dentro e fuori casa.

Molte strillano come una cinghia oliata male.

Intorno a me, uomini.

Incoerenti, lunatici, curiosi, sordomuti. Mistici. Mah…non importa che la tua fede discenda da Geremia e da Gesù, da Allah e da Maometto, o da Brama e Buddha, qualcuno ti dirà che sbagli e per questo ti combatterà.

Eccolo, il mal di testa! Rombi di tuono mi pulsano alle tempie e mi sembra di veder baluginare sottili filamenti di fulmini, che subito svaniscono. Mi stringo le tempie con la punta delle dita, i gomiti all’infuori, in parte per placare il martellamento.

Entro in un Bar. Prendo un caffè.

Esco.

Vedo una macchina attraverso una vetrina.

Cammino e imbocco la porta del teatro Manfredi.

Gestito da amici. Veri.

Saluto Paolo. Saluto Luciano. Saluto Felice.

Esco.

Entro in una banca.

Esco, saluto la guardia di sicurezza che sorride e fa un cenno con la testa.

Dio quanto amo il sorriso di una guardia di sicurezza.

E’ come l’acqua per un uomo che sta affogando.

Attraverso Corso Duca di Genova.

La giornata si sta facendo sempre più grigia, cade una pioggerella leggera e un vento irregolare mi soffia frammenti di foglie morte sul naso.

 Prelevo cento euro al bancomat dall’altra parte della strada, taglio per Via Grenet su fino a Piazza Rendina.

Arrivo sul lungomare.

 Rifletto.

 Pensieri mistici.

Dostoevskij diceva che per rendere la realtà plausibile è assolutamente necessario mischiarci un pizzico d’invenzione.

Il dottore alza lo sguardo dalla sua scrivania. “Ha i trigliceridi alti. Quante bustine di zucchero consuma a settimana?” “Cinque”. E’ una piccola bugia bianca. Sono arrivato a cinque bustine lunedì, ma poi ho smesso di contare, così sono rimasto a cinque bustine. “Niente zucchero. Niente alcool. Per un paziente con i suoi valori di trigliceridi, il rischio di attacco al cuore, infarto o trombosi cresce drasticamente.”. Improvvisamente sono tanto, tanto spaventato. Il cuore batte violentemente. Sudore sulla fronte. Il dottore alza lo sguardo. I suoi occhi sono finestre su un cielo di pieno inverno. “Lei appartiene a un gruppo statistico con rischio elevato.” Fuori dallo studio medico si sta facendo buio e fa veramente freddo. Il traffico è rumoroso nell’aria umida di Ostia.  Salutandomi, mentre dava un’occhiata all’orologio,  il dottore mi ha ricordato che a causa della mia età…e dei miei trigliceridi… si manifesteranno presto vertigini, stanchezza e perdita della libido.   E’ tutto finito. Io sono finito. Scandaloso. Un senso di paura cresce dentro di me. Terrore esistenziale. Lo zucchero, l’alcool, il sesso: senza di loro, cos’altro rimane? Mi sento vecchio, stanco e inutile e persino spaventato.

Non desidero una vecchiaia olimpica e senza strida, come una sonata per violino eseguita da un linfatico violinista svizzero. Preferisco morire gridando. Quando mi porteranno al mattatoio comincerò a ululare, a bestemmiare e a insultare.

Aggiro Piazza Rendina, passo per via Grenet e supero  infine l’incrocio di Corso duca di Genova. E qui che abito. Al 253.

Il cielo è nero come l’inchiostro, punteggiato di stelle e con qualche spruzzata di nuvole.  Il cielo è macchiato dalle scie degli aerei che atterrano e decollano dal vicino Aeroporto di Fiumicino.

Entro a casa.

Prendo l’album di fotografie.

Mi diverte vedere vecchie foto.

Toh, ma qui ci sono io sulle spalle di papà. A Collevecchio.

Anche qui sono con papà. Al mare.

E qui sono con papà. Allo stadio.

Quando mi addormento in poltrona, mentre nel camino il fuoco si spegne lentamente, sulle pagine lucide dell’album si notano ancora le tracce delle mie lacrime.

 Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

 
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