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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Post n°832 pubblicato il 15 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
Terze Rime di Veronica Franco Addelkader Salza, Bari, Laterza 1913 XXV (continuazione) Della signora Veronica Franca [In lode di Fumane, luogo dell'illustrissimo signor conte Marcantonio della Torre, preposto di Verona.] Del giardin vago è la sembianza grata, e, mentre in lui la maniera risguardi d'ogni parte ben colta e ben piantata, lepri e conigli andar pronti e gagliardi nel corso vedi; e, mentre che t'incresce d'esserti di tal vista accorto tardi, ecco ch'altronde ancor vaga schiera esce di cervi e capri e dame e d'altri tali, onde la maraviglia e 'l piacer cresce. Ma poi tra quelle schiere d'animali scopri distinto del giardino il piano d'acque in angusti e limpidi canali, e splender su per l'onde di lontano vedi i pesci guizzando, che d'argento sembra che nuotin d'una e d'altra mano. E mentre l'occhio a vagheggiar è intento il piacer vario del fiorito suolo, più sempre di mirar vago e contento, di questo ramo in quel cantando a volo gir vede copia d'augelletti snelli, quai molti insieme, e qual vagando solo. Quinci s'accorge che di fior novelli e frutti antichi son quei rami carchi, non pur di nidi d'infiniti augelli. Senza che 'l guardo quinci e quindi varchi, l'incontran d'ogni parte i piacer tutti, in quest'officio non mai stanchi o parchi. E, se nel giardin visti in un ridutti, fiere, augei, pesci, rivi ,arbori e foglie, fior sempre novi, e d'ogni stagion frutti a mirar in disparte altri s'accoglie, e, come nel guardar talvolta occorre, da la pianura a l'alto a mirar toglie, ne la beltà de' vaghi colli incorre, ch'a la vista, che s'alza, umili e piani, lietamente si vengono ad opporre. Questi, dal bel palazzo non lontani, sembra che, per raccôrlo in mezzo 'l seno, si stringan verso lui d'ambe le mani; e 'ntanto spiegan tutto aperto e pieno il grembo lor di dolcezze infinite, che la vista bear possono a pieno. Le pecorelle, a pascer l'erbe uscite, biancheggian per li poggi, a cansar lievi, per poco d'ombra timide e smarrite: di questi monti son queste le nevi; ché quindi 'l verno standosi ognor lunge non vien giamai che 'l bel terreno aggrevi. Quindi letizia e molto utile giunge, de le gregge bianchissime ai signori, di quel che se ne tonde e uccide e munge. Sparsi per l'ombre, siedono i pastori, e, le canne dispari a sonar posti, cantan de' loro boscarecci amori; e, se i greggi talvolta erran discosti, col fischio il caprar sorto gli richiama, poi torna de la musa ai suoi proposti. Talor la pastorella ivi, ch'egli ama, de la fistola al suon mossa ne viene, in modo che di lui cresce la brama: fisse le luci avidamente ei tiene ne le braccia e nel sen nudi, e nel viso, e d'abbracciarla a pena si ritiene. Ma poi quindi a guardar l'occhio diviso tira l'udito suon d'un corno roco, quando più in quei pastori egli era fiso; ed ecco, da color lontano un poco, cani co' cacciator disposti in caccia, ciascuno intento al suo ufficio e 'l suo loco. Per folti arbusti un can quivi si caccia, e per terra latrando un altro fiuta, e de l'orme seguendo va la traccia, e tanto corre in fretta e 'l luogo muta, che d'una macchia fuor la lepre salta: il bracco geme e in seguirla s'aiuta; gridan le genti, e intorno ognun l'assalta; chi le spinge da tergo il veltro in fretta, qual corre a la via bassa, e quale a l'alta. E mentre qua e là ciascun s'affretta, il tuo sguardo, ch'a lor dietro s'aggira, s'incontra in piacer novo che 'l diletta: però ch'altrove d'improviso mira gente ch'al visco ed a le reti stese schiera d'augelli accortamente tira. In queste e quelle insidie non comprese di quei c'han maggior prezzo a le gran mense vengon tutte le sorti in copia prese. A chi stender più franco il volo pense, più facilmente incontra d'esser còlto ne le non viste reti, ancor che dense. Ma 'l tuo sguardo, che va d'intorno sciolto da questa novità de l'uccellare, vien da un altro piacer più novo tolto; perché dinanzi ad abbagliarlo appare del sol un raggio, il qual mandan reflesso l'acque d'un fonte cristalline e chiare. E l'occhio, alquanto chiusosi in se stesso, dopo quel vacillar s'apre, e ritorna a guardar quivi dentro l'ombra presso; e di smeraldi in fresca riva adorna, di liquido cristal sopra un ruscello, vede ch'altri a pescar lento soggiorna: l'amo innescato tien sospeso in quello, e con la canna in man fermato attende che 'l pesce cada al morso acuto e fello. Altri con reti in varia guisa il prende, e, con piè nudi da la sponda sceso, frugando per le buche il laccio stende: si lancia e scuote il pesce vivo e preso, né cessa di sala per fin che more, tratto del fonte in un pratel disteso. Vince di questo il soave sapore quel di quant'altro mai stagno o palude alberghi, o fondo salso o dolce umore. Nulla di quel, che in sé beato chiude un terren paradiso, un ciel terrestre, dal paese amenissimo s'esclude. Di semicapri dèi turba silvestre il fertile terren pianta e coltiva, sotto influsso di stelle amiche e destre; e quella, che del capo al padre viva uscìo, de' boschi e de le cacce dea, di questi monti ha in custodia l'oliva. Quel, che vivo nel ventre infante avea la madre allor che 'l consiglio l'estinse di Giunon fella, a lei contraria e rea che Giove tolto al proprio lato il cinse, n', fin che nove mesi fùr finiti, dal bianco, ove 'l nudriva, unqua il discinse, qui gli olmi guarda, e le ben colte viti; le biade di Proserpina la madre, Vertunno e Flora gli arbori graditi. Mille, scese dal ciel, benigne squadre d'eletti spirti infiorano il bel nido, e 'l guardan da le cose infeste et adre. Dolce de' miei pensieri albergo fido, pien d'aranci e di cedri, e lieto in guisa che vince ogni concetto, ogni uman grido, resta la mente mia vinta e conquisa, che 'l ben in te con larga mano infuso dal celeste Motor forma e divisa; e, come tu sei bel fuor d'uman uso così ne l'opra de l'imaginarti riman l'ingegno inutile e confuso; e, se vaga pur vengo di lodarti, come confusa son dentro, confondo de le tue lodi l'ordine e le parti. Ben, quanto in questo assai mai corrispondo, tanto ne la prontezza del desire con grata rispondenza sovrabondo. Vorrei, ma in parte non so alcuna, dire le lodi del signor, che ti possiede, né stil uman porìa tant'alto gire. Com'ogni loco è cielo, ove Dio siede, ma poi nel ciel, ch'è adorno a maraviglia, espressamente ferma la sua sede, così gran lode ogni soggiorno piglia da quel signor, dovunque mai perviene, che regge 'l mio voler con le sue ciglia; ma pur il seggio suo proprio ei ritiene in voi, perciò sommamente beate, contrade soavissime ed amene: per lui tante beltà vi furon date, e senza lui de' vostri pregi intieri sareste senza dubbio alcun private. Gitene, colli, assai per questo alteri, ch'avete grazia di servir a lui, degno di mille mitre e mille imperi. Quest'è il buon vostro regnator, per cui vincon le vostre inusitate forme tutto 'l diletto de' paesi altrui. Per farsi incontra a le sue gentili orme crescon l'erbette e i fior, ch'al suo toccarli vien che nova beltà gli orni e riforme; e l'onorate man presta a lavarli dentro la stanza l'acqua dolce arriva, e dietro vaga ognor par brame andarli. Da questa una fontana si deriva, che d'ogn'intorno puro argento stilla da vena di cristal corrente e viva. Dentro 'l terren fecondo il cielo instilla virtù, che fa produr soavi frutti, e l'aria salutifera e tranquilla: il piacer sommo e 'l vero fin di tutti è che 'l signor gli goda e gli divida, ch'ad arbitrio di lui furon produtti. Qualunque in verde ramo augel s'annida, a lui canta, a lui vive, e, s'a lui piace, lieto sostien ancor ch'altri l'uccida; qualunque in monte o in piano animal giace, selvaggio errante, liberale dono di se stesso a costui contento face; e le mandre, che quivi in copia sono, e tutto quel, che la terra produce, son di lui molto più ch'io non ragiono. Qui la natura carca si riduce, per dar del suo tesoro a lui tributo, che da l'Indo e 'l Sabeo quivi traduce: non fosse questo ben da lui goduto, certo è che in tanta copia mai dal cielo non fôra ad alcun altro pervenuto. A costui cede il gran signor di Delo, più del suo chiaro, del valor il lume cui nube non offusca od altro velo; e di dolce eloquenzia il puro fiume a lui dona di Giove il fedel messo, ch'al cappello ed ai piè porta le piume. A questo, a cui comandar è concesso agli elementi, che in quel suo soggiorno oprano quanto è più gradito ad esso, andai, dal gran desio tirata, un giorno: non per error di via, né ch'io passassi quindi avante d'altronde al mio ritorno; ma d'Adria mossi a quest'effetto i passi, né interromper giamai vòlsi il viaggio, perch'a l'andar via pessima trovassi, Di questo mio signor cortese e saggio, nel sentier aspro, mi fu grata scorta de la virtute il sempiterno raggio: da così chiaro e dolce lume scorta, la strada, ch'al desio lunga sembrava, al disagio parea commoda e corta. La difficoltà grande superava d'ogni altra cosa sol con la speranza, che di veder uom sì gentil portava. Alfin pur giunsi a la bramata stanza, né potrei giamai dir sì com'io fossi raccolta con gratissima sembianza. A sì dolce spettacolo rimossi tutti i miei gravi e torbidi pensieri, che venner meco, allor che d'Adria mossi; e tra mille gratissimi piaceri ristoro presi e mi riconfortai, qual fa ch'il suo ben gode e 'l meglio speri. Ma poco al mio talento mi fermai al loco da me dianzi raccontato, di cui più bello non si vide mai, né con più vago e splendido apparato di vasi, e di famiglia bene instrutta, che pronta al signor serve d'ogni lato, e intorno a lui con ordine ridutta, di varia età, di vario pelo mista, vestita a un modo, corrisponde tutta. Questa tra l'altre è ancor nobile vista, veder d'intorno a sé ben divisata d'onesta gente vaga e doppia lista. Dunque, de le Fumane unica, amata terra, ov'albergan le delizie, quante ogni stanza real pòn far beata, cedano Baie, e Pozzuol non si vante, ch'unite in loro han le vaghe Fumane le grazie di là suso tutte quante. Cose tutte eccellenti e sopraumane, dolci a la vista, al gusto, e gli altri sensi, le piagge han grate agli occhi, al varcar piane. E, perch'al loco internamente io pensi, quanto più di lui parlo, e manco il lodo, e i miei desir di lui si fan più intensi. Volando col pensier, la lingua annodo. |
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