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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Rime inedite del 500 (XI-1)
Post n°837 pubblicato il 16 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918) XI [1 Di Cesare Caporali] Sotto finti d'Amor dolci sembianti La mia novella Circe oggi s'asconde, Quasi scoglio coperto in mezzo a l'onde Io la vidi pur or. Fuggite amanti, Né v'inganni il mirar gl'abiti santi, Gli occhi leggiadri e le sue trecce bionde, Ch'in tronco, in sasso, in fera, in erba e in fronde Son per mutar altrui magici incanti, Et io, benché infelice, esempio umìle Pur ne posso parlar, ch'in verde mirto Già fui converso, ed or m'ha volto in pietra. Ove, se pur col tacito focile Battendo Amor qualche favilla impetra, Sappia il mondo che dentro arde il mio spirto. [2 Di Cesare Caporali] Chiedendo un bacio a la mia cara Aminta Fra sé stessa ne fu gran pezzo in forse, Poi d'onesto rossor la faccia tinta, La dolce bocca per baciar mi porse. Da quel piacer allor l'anima vinta, Lassando il petto inver' le labbia corse, Né qui fermossi; ma di nuovo spinta Da le mie labbia a le sue labbia corse. Così restai senz' alma, et hor sospeso, Mi tiene in vita quel soave umore Ch'ella mi die' d'un novo spirto acceso. Mandat'ho già per cercar l'alma e 'l core, Né torna; anch'io, se vo, restarò preso. Che debb'io far, che mi consigli, Amore? [3 Di Cesare Caporali] Cercando va per quest' e quel sentiero Vener' il figlio, ed io, lasso e dolente Nel core il tengo ascoso, onde la mente Tutto in dubio rivolge il suo pensiero. Ché la madre è superba e il figlio altiero, E l'uno e l'altro in me puote egualmente, Se più l'ascondo, già son tutto ardente; Se l'appaleso, diverrà più fiero. Oltre ch'io so che castigare Amore Ella non vuol, né 'l cerca a tale effetto; Ma sol perché ne dia piant' e dolore. Dunque sta pur nascosto entro il mio petto, Ma tempra alquanto il grave e troppo ardore Ché più sicur'aver non puoi ricetto. [4 Di Cesare Caporali] Dopo tante percosse e tant'offese Spogliati i tempii, accesa e ruinata E tante volte e di sì stran paese A tanta gente in preda abbandonata, Misera Roma, e poi che l'arme hai stese Nel tuo bel petto, ognor cerca l'entrata Il proprio figlio, quai schermi o difese Ti renderan mai più lieta o beata. Già regina del mondo, hor quella, hor questa Gente ti die' tributo e fessi amica Or di quei primi figli è spento il seme. Il Tebro il sa, ch'alla memoria antica Di quei gran Scipii spesso alza la testa E con fronte di toro irato freme. [5 Di Cesare Caporali] Duetto d'amore Perch'aggio inteso, Amore, Che tu ti vai vantando Havermi fatto una superchiaria, Hieri in presentia della donna mia, Dico che se pensando Andrai la verità circa il mio onore, T'accorgerai che caschi in grande errore; E che, s'altro furore Ti commosse a parlar di me, parola, Tu menti per la gola. Perciò che se colei, Che del mio mal si pasce, Volgendo altrove i suoi bei raggi ardenti Piangere e sospirar mi fa sovente, Di questo già non nasce Che per te siano a scherno i giorni miei Al mondo; ma la colpa è sol di lei. Dunque, se tu non sei Più, come vuol' a me, crudo avversario, Taciti, temerario. Le sue dorate chiome E i begli occhi lucenti, Che m'arsero e ligar con varii nodi Posson tormi a me stesso in mille modi L'abito e i portamenti, In cui vedem' quanto conforme e come Sia tutto il rest'all'angelico nome, D'ingiurïose some Potran sempre gravarmi e tormi assai; Tu già nulla, né mai. Ma forse occasione Tieni, cercando meco Per introdurci insomma ad altro effetto; Ma depon l'ali del fuggir sospetto, Leva dal veder cieco La benda, o un'altra a me simil ne pone; A te tocca del campo l'elezione. Allora il paragone Ben si potrà veder che in uom che viva Non hai prerogativa. Tu quel che vali e puoi Tutt'in parole e 'n riso, In costumi, in sembianti, in guerra e 'n pace, Di vaga e bella donna alberga e giace; Ma qualora diviso Da questi il tuo poter tu mostri a noi, Vane le fiamme sono e i lacci tuoi, Chiamami ove tu vuoi, Purch'in difesa tua teco non sia L'empia nimica mia. E vedrai dove incorre Chiunque non si misura, E la lingua ha veloce e le man pigre. Intanto l'ocean, l'Eufrate e 'l Tigre Sapran per avventura Come d'obbligazion m'intendo sciorre S'in termin' ch'una volta il sol discorre Il ciel l'impresa a torre Non vieni, o mandi un per te in armi e presto, Ond'abbia il mentitor condegno merto. E per farne altrui certo Io Furore intervenni a tal protesto E a quanto si convien presente e desto; Ed in fede di questo Io Sdegno, ch'ogni ben volgo sossopra, Affermo di mia man quanto di sopra: Di marzo il giorno sesto, Dove albergano insiem Ira ed Orgoglio Con punta di pugnal fu scritto il foglio. [6 Di Cesare Caporali] Armata di quel fuoco e di quel ghiaccio, Che fu discorde in sé nostra natura, Con la sua falce adunca, in vest'oscura, Morte già per ferirmi alzava il braccio. Quando s'accorse il mio corporeo impaccio Esser senz'alma, che già lieve e pura Nel vostro sol, ch'ogni altro sol oscura, La strinse Amor d'indissolubil laccio. Ch'io viva oggi in altrui, né seppi ell'ove, Colma di ira e stupor, quell'empia e ria Tosto rivolse i fieri passi altrove. Cura dunque di me, donna, in voi sia Vivendo sana, se di me vi move, Di conservar la vostra vita e mia. [7 Di Cesare Caporali] Sopra l'uccellare al frascato. Quando scuopre Ciprigna i suoi crin belli Ne l'orïente, e ne promette 'l giorno Prend'io le reti e i prigionieri augelli Per fare a' novi augelli oltraggio e scorno. Fo quasi siepe di più rami e a quelli Tendo l'inganno, e lor pongo d'intorno, Che col fallace canto i più rubelli Scender dal ciel fanno al mortal soggiorno. Non longi entro alle fronde io mi raccolgo, Fo tirando uno stame, un cenno infido Ch'a terra invita quei ch'in aria stanno. Vengon poi: tiro un fune, entro li accolgo, Corro, e qual suol di noi l'empio tiranno, Parte ne fo pregion, parte n'uccido. [8 Di Cesare Caporali] Sopra l'uccellar al boschetto. Poco anzi che col volto e colle brine Porti l'aurora a noi la luce e 'l fresco Cingo d'inganni picciol bosco e 'nvesco Poi mi prescrivo angusto entro confine. E da parti lontane e da vicine Semplici augei con falso metro adesco, E frodi spesso con l'augel rinfresco Di Palla, che di Febo ha in odio il crine. Mostro l'augel notturno a un augel mio Prigioniero, ed ei canta e par che chiami Tal che sia per lo ciel l'aria battendo. Quei non sì tosto ha il pie' sui mortai rami, Che i vanni incauto invesca e cade, ond'io Lo piglio e ancido, e nuova preda attendo. [9 Di Cesare Caporali] Già non d'Africa vint'o soggiogata Né di Yuba, o Farnace, od altri eroi Giran pomposi i temerari tuoi Trionfi, or per via sacra, or per via lata. Ma quando ben vincessi, o che lodata Vittoria, o che dirìan gl'Indi e gli Eoi? Questo crudel, dirìan, sui carri suoi Menò l'afflitta madre incatenata, Con tal' parole d'ira e duol presaghe Roma dolente a pie' del marmo stava D'una vittorïosa alta colonna, E con la man già vincitrice e donna De l'universo misurando andava Nel proprio petto le profonde piaghe. [10 Di Cesare Caporali] Chi può troncar quel laccio che m'avvinse Se ragion die' lo stame, Amor l'avvolse, Né sdegno il rallentò, né morte sciolse; Ma fede l'annodò, tempo lo strinse? Il cor legò, poi l'alma intorno cinse, Chi più conobbe il ben, più se ne tolse. L'indissolubil nodo in premio volse Per esser vinta da chi gli altri vinse. Convenne al ricco bel legame eterno Spregiar questa mortal caduca spoglia, Per annodarmi in più mirabil nodo. Onde tanto legò lo spirto intorno Ch'al cangiar vita fermarò la voglia Soave in terra e 'n ciel felice nodo. [11 di Cesare Caporali] Madrigale sopra lo spinello. Amor, di strali armato Ferìa molti pastor dal manco lato, Quando mosso a pietà l'eterno Giove Di tanta strage e scempio L'armi di man gli tolse; onde quell'empio, Per non dar fine alle sue antiche prove, Ad un bel cespo verde Di bianche rose, ove l'avorio perde, N'andò correndo, e quindi or vibra irato Tante pungenti spine Ch'ogni ninfa e pastor conduce al fine. Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918) |
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