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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Piccola biblioteca romanesca (I miei libri in dialetto romanesco)
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Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)
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Rime inedite del 500 (21-24)
Post n°887 pubblicato il 22 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918) Nudo e rigido il core In voi dispose, in voi dipinse amore, Perché col paradiso Di gioia che nel volto Havete fuori dolcemente avvolto L'alma allettaste, e poi Col gran rigor' interno Nei crudi scempi suoi Gravasse lei d'un doloroso inferno. Queste d'Amor son' opre Che in voi l'inferno e 'l paradiso scopre. [2 Di Domenico Veniero] Canzone in lingua venetiana del Venieri dove loda la bella mano della sua donna. O man di puro latte, Bella quanto crudel, Che più che la mi batte Più devento un agnel, O benedetta man, pompa d'amor Man che zioga alla balla col mio cuor. Bianca falda di neve E pur la m'ha scotà Tal ch'ho il viver più breve Che un albero sbusà, O miracul d'amor, che è sì possente Che tra' da viva neve il fuogo ardente. Man, ch'ha cinque rubini Ove Amor suol cavar I stralli cusì fini Che non se puol parar, Che no gh' è cuor sì duro che contrasta Che non para l'azzal come de pasta. Man, che me dà più strette Quanto l'onoro più; Man, ch'ha quattro fossette Ov'ho el cuor sopelì, Che par ch'Amor sentando l'abbia fatte Con averle improntà su le culatte. Man, che me squarza el petto E che m'ensegna el sen, Ch'e m'ha legà sì stretto, Che mi tien tanto in fren; Man che rese il mio fatto e la mia sorte Che m'ha depento in vista Amore e morte. Man, che me traze a terra Che me tien spento alfin, Man, che fa tanta guerra A un misero meschin; Man che inchiava e deschiava quei pensieri Che me lieva dal cuor tutti i piaseri. Va da si bella man, Canzon mia, pechinina, e daghe un baso, Se ben si havessi un ganasson sul naso. XXII [1 Di Giovanni Muzzarelli] Del Muzzarello Fatto son per affanni ombra sì oscura Che mirandomi al specchio di me tremo, Che per uscir di questa vita dura Vado cercando morte in ogni estremo; E se la trovo, ha tal di me paura Che più mi fugge quanto men la temo, E credo sol che si creda essa morte Ch'al mondo io nato sia per nova morte. Or, se mi fugge morte, come morte Aver potrà questa mia mortal vita? E s'io son fatto un'altra nova morte, Non posso dar la morte a la mia vita. Da me morir non posso, e men per morte; Dunque da morte nasce la mia vita. Così non spero mai di vita uscire; Ma peggio assai per non poter morire. Ogni animal che vive di rapina Per suo cibo miglior s'elegge il core, E similmente la virtù divina Dal peccator non vuole altro che 'l core. El fidel servo al suo signor se inchina E in mille parti gli offerisse il core, E tu lo sprezzi, onde ch'al parer mio Non ti veggio animal, donna, né Dio. Pers'è via sacra, lata, i fori e gli archi, Simulacri, trofei, templi adolatri, Aquedutti, colonne, stagni e barchi, Rostri, terme, colossi, amfiteatri, Consuli regii, Augusti di onor carchi Dittator, decemvir, tribuni e patri. Tutto è converso in cenere e in ruine; Ma sol le pene mie son senza fine. [2 Di Giovanni Muzzarelli] Del Muzzarelli Alta, frondosa riva, oscura foce, Care querce, riposto mio soggiorno Dove io m'ascondo a lamentarmi il giorno, Udiste mai sì dolorosa voce? Alpestre fiume, rapido, veloce, Che vaneggiar mi vedi ognor qui intorno, Ov'or stanco m'assido, or vado, or torno, Udiste mai una passion sì atroce? Pietre tra questi monti affisse e salde, Che bagna il piagner mio, sentiste mai Sospir sì ardenti, o lacrime sì calde? Almo sol, quanto spandi in terra rai, Ove men tocchi il mondo, ove più scalde, Uom più miser di me veder non sai. [3 Di Giovanni Muzzarelli] Del Mozarello Vorrei pur dirvi in qual stato, in qual forma Mi trovi, donna, o lieto, od in martìri Qualor negli occhi vostri avvien ch'io miri; Ma in ciò non so trovar principio, o norma. Che un certo non so che sì mi trasforma En tal confusïon par che mi giri, Che non so s'io sia morto, o s'io respiri, E perdo di me stesso il segno e l'orma. Questo so ben ch'io ardo e voi 'l vedete, E tremo, e voi 'l vedete, e forsi a sdegno, O peggio forsi a scherno ancor m'avete, E forsi no; ma assai prezioso pegno Mi par d'aver che so che voi sapete Che tante aspre passion per voi sostegno. XXIII [Di Andrea Navagero] Del Navagero Come cerva percossa da saetta Da lo nemico arcero, Onde fugge et col ferro dentro al fianco Et quanto più s'affretta e il corso stende Lontan dal cacciatore Più perde il sangue e cresce il suo dolore; Così fugg'io l'orgoglio in te raccolto, Ma non sì che 'l pungente mio pensiero Non porti meco in mezzo il lato manco, E tanto più d'umor agli occhi getta La piaga interna e tanto il duol m'offende Quanto m'allungo più dal tuo bel volto. XXIV [Di Carlo Montecuccoli] In lode della signora Lodovica Chellini da Bologna non men bella che gratiosa nel ballare. Ove il bel fianco, ove il pie' vago gira Questa nova angioletta in varie forme Stampa danzando sue vestigie, et orme E in mille dolci scherzi si raggira. Ella talor se n' ride e talor mira Sé stessa in atto a sua beltà conforme; Poi co' begli occhi quel vigor che dorme Desta dal prato e in fior l'accoglie e spira. Così natura et a stagion fa scorno Che l'erba tocca dal soave raggio Tragge repente qualità e costume. April cedendo a quel bel viso adorno Gode del ricco et onorato oltraggio Et d'esser vinto da sì nobil lume. Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918) |
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