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Rime di Celio Magno (9)

Post n°956 pubblicato il 03 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

9

In morte del signor Marc'Antonio Magno suo padre

Sorgi de l'onde fuor pallido e mesto,
faccia prendendo al mio dolor simìle,
pietoso Febo, e meco a pianger riedi:
questo è 'l dì ch'a rapir l'alma gentile
del mio buon padre, ohimè, fu 'l ciel sì presto,
restando gli occhi miei di pianto eredi.
E ben lagnar mi vedi
a gran ragion: poiché sì fida e cara
scorta a l'entrar di questa selva errante
in un momento mi spario davante.
Cruda mia sorte avara
che la mi tolse; e 'n questa pena acerba
mostra a quant'altre ancor mia vita serba.
Da troppo dura, ingiuriosa parte
ver me fortuna incominciò suo sdegno
e da tropp'erto monte al pian mi stese;
ch'in un punto a' suoi colpi esposto segno
me scorsi, al vento mie speranze sparte,
con troppo debil petto a tante offese.
Dir si potea cortese
sua crudeltà d'ogn'altro acerbo danno,
senza il sangue bramar di questa piaga:
o, s'era pur d'uccider lui sì vaga,
per temprar il su' affanno
far ch'ei vedesse innanzi a l'ore estreme
a vicin frutto in me fiorir sua speme.
Avea duo lustri, e 'l terzo quasi, il sole
volti dal dì ch'a la sua nova luce
nudo parto infelice uscir mi scorse,
che ti partisti, o mio sostegno e duce,
da me: tu 'l sai, e forse ancor te n' dole,
ché ciò grave ferita al cor ti porse.
Né meno al duol concorse,
lasso, che meco ad un tre figli tuoi,
che chiedean latte ancor nel sen materno,
abbandonavi per essilio eterno;
de' quali una dapoi,
pura angioletta con veloci penne,
al ciel per l'orme tue lieta se n' venne.
Oh lei felice, oh dipartir beato!
ché 'n quella età né sua miseria scerse,
né fu serbata a sì penosi guai.
O mie gioie e speranze, ora converse
in doglia e pianto! O caro allor mio stato,
ché ne la vita tua me stesso amai.
Chi più tranquille mai
voglie o dolci pensier chiuse nel petto?
Chi provò de la mia più lieta sorte
finch'a me non ti tolse invida morte?
Ma tal pace e diletto,
lasso, ebbi allor, perché più grave poscia
giungesse al cor la destinata angoscia.
Semplice augello in fortunato nido
mi giacqui un tempo a la tua dolce cura,
e sotto l'ali tue contento vissi.
Quanto ebbi l'aria allor grata e sicura,
mentre innanzi spiegando il volo fido
t'ergevi al ciel, perch'io dietro seguissi;
ed io, gli occhi in te fissi,
volar tentava, il tuo camin servando.
Né perch'io rimanessi assai lontano
eran le penne mie spiegate invano:
ché più sempre avanzando,
in me di pur salir nova vaghezza,
in te sempre crescea speme e dolcezza.
Ma mentre è tutta in noi tua cura intenta,
e in grembo a tua pietà nostri desiri
godean tranquilla e riposata pace,
ecco che, qual arcier ch'ingordo miri
a nova preda, in te suo strale aventa
e ne t'uccide morte empia e rapace.
Né 'n ciò pur si compiace
l'ira del ciel, ché la tua fida moglie,
dolce a noi madre, in cui sola s'accolse
la nostra speme, ancor per sé ritolse.
Ahi, che giamai non coglie
d'un sol colpo fortuna ove fa guerra,
e sol pianto e miseria alberga in terra!
Che dovea far? Donde sperar pietade?
Donde attender soccorso, orbato e solo
de l'uno e l'altro mio dolce parente?
Io, che bisogno avea di scorta al volo,
l'altrui regger convenni, e 'n verde etade
vestir, puro fanciul, canuta mente.
Onde le luci intente
portai sempre a fuggir le reti e 'l visco;
e s'a lor pur piegai, grazia celeste
mi fe' l'ali a scamparne accorte e preste,
membrando in ogni risco
quel che tu presso a morte in me sì pio
già per norma segnasti al viver mio.
Giacevi infermo e per gravarti il ciglio
stendea morte la man l'ultimo giorno
che pose fine a la tua degna vita.
Tacita e mesta al caro letto intorno,
priva d'ogni speranza e di consiglio,
stava la tua famiglia sbigottita;
tu, che di tua partita
alto martir premei nel saggio core,
con fermo viso in parlar dolce accorto
pregavi al nostro duol pace e conforto.
Indi con santo ardore
la tua pietate, in me le luci fisse,
queste parole in mezzo 'l cor mi scrisse:
— Figlio, se questo è pur l'estremo passo
de la mia vita, ond'io son sazio e stanco,
se non per voi, miei cari pegni e spene,
cedi al voler divin, cedi al crin bianco;
e morte scusa in me se 'l corpo lasso,
vincendo omai l'usato stil, mantiene.
Ecco pronta al tuo bene
per me la madre tua fidata e pia:
tu fa del suo voler legge a te stesso,
volto sempre al camin per cui t'ho messo.
E poi che l'alma fia
sciolta da me, di puro ardor ripieno
prega il Signor, che la raccolga in seno. —
Ciò detto a pena, a la già fredda lingua
eterno pose, ohimè, silenzio; e i lumi,
per non aprirgli più, mancando, chiuse.
Fia mai giusto dolor, ch'altrui consumi,
del mio più acerbo? O lume altro s'estingua
di chiare doti in più degn'alma infuse?
Caro a Febo, a le Muse,
caro de le virtuti al santo coro,
spirto d'ogni valor ricco e fecondo,
or del cielo ornamento, e già del mondo.
Ahi mio nobil tesoro,
ché 'l soverchio mio duol tronca il tuo vanto,
ma sempre almen t'onorerò col pianto.
Canzon, vattene in cielo
su l'ali che 'l desio veloce spiega;
e ricercando infra quei santi cori,
tranne il mio genitor col guardo fuori.
Poi riverente il prega
che del duolo ond'io sento il cor piagarmi,
scenda in sogno talora a consolarmi.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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