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Rime di Celio Magno (251-263)

Post n°1089 pubblicato il 19 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

251

Eco de' miei sospir, campagna antica,
fioriti colli e solitarie valli,
rapido fiume, lucidi cristalli,
superbe sponde, piaggia lieta aprica;

e tu, più ch'altra, a' miei desiri amica,
pianta felice, ove amorosi balli,
tra bella schiera e fior vermigli e gialli,
suole guidar la dolce mia nemica;

io pur vi lascio, e mesto e sconsolato
rivolgo i passi là dove non spero
trovar chi più mi dia gioia e diletto.

Voi con colei ch'è 'l vostro onor perfetto
restate, e col mio cor e col pensiero;
ahi maligna mia stella e duro fato!

252

Questo, ch'in spessa pioggia umor converso
dal ciel sì largo e sì continuo scende,
di quel ben vera sembianza a me rende
che fuor per gli occhi indegnamente io verso.

Questo si cria se in ciel vento perverso
folte ed oscure nubi aduna e stende;
quel nasce perché 'l cor m'aggrava e prende
con folto duol vento di sdegno averso.

Ma poco andrà, che fia questo risolto
e in un momento scoprirassi il cielo,
mostrando il sol più che mai chiaro il volto;

quel dura eterno e chiuso in mesto velo
ho 'l cor; né spero unque a pietà rivolto
veder lasso il mio sol per caldo o gelo.

253

In lode di Aranscuez, giardino del re catolico Filippo Secondo

Oh che leggiadro, o che felice e vero
paradiso terrestre, e de le Muse
via più ch'ogni altra propria, amica stanza!
Oh come, ovunque va l'occhio e 'l pensiero
d'ogni grazia che 'l ciel benigno infuse
nel suo signor, si scorge egual sembianza!
Questo real giardin, sì come avanza
di pregio qual nel mondo oggi è più adorno,
di lungo giro ancor tutt'altri eccede:
ché mal può franco piede,
desto col sol, fornir sua strada e 'l giorno.
E perché sete in lui giamai non regni,
ministra il ricco Tago e 'l bel Gerama
onde perpetue al fortunato albergo.
Così 'l suo possessor si lascia a tergo
qualunque altro la croce adora ed ama
di larghi intorno e spaziosi regni,
d'ogni favor del ciel fecondi e pregni;
e con la mente in Dio sempre conversa,
un fiume d'or raccoglie ed altro versa.
Ornan ricco palagio in ogni parte
liete stanze, alte torri e fresche logge,
u' fugge un rio con strepitosi passi.
Qui fonti e statue con mirabil arte
stillan di terra al ciel sorgenti piogge,
e par che sian rissolti in acqua i sassi.
Qui lieta accoglie, ed altrui guida fassi,
con Vertunno ad ognor Pomona e Flora
per le delizie del beato loco;
dove allegrezza e gioco
tra le Grazie ed Amor sempre dimora.
Mill'ombre, mille vie d'alto diletto,
mille giardini entr'un giardin ridutti,
d'arbori cinti e di frondose mura,
mostran quanti ha tesori arte e natura
e quanti il mondo fior, foglie, erbe e frutti.
Tal il re, d'ogni gloria albergo eletto
e vivo fonte di saper perfetto,
quant'egli impera, con mirabil norma,
fa colto e vago, e di se stesso informa.
Miro construtti poi di fronde e fiori,
o d'alte piante in bel cerchio disposte,
quinci e quindi teatri adorni e lieti,
da cui varie ampie strade escono fuori,
per lunghissimo corso agli occhi esposte
d'elci, d'olmi, di pin, d'orni e d'abeti.
Né so ben di qual pria la brama acqueti,
ch'ognuna a sé m'adesca, a sé m'invita
con sua fresc'ombra incontr'al sol ardente.
Tal si mostra egualmente
in tutte sue virtù l'alma gradita;
che ciascuna di lor per ogni lato
da pia religion, ch'a Dio sì aggrada,
quasi da centro suo nasce e dipende;
e vaga ognuna i cori alletta e prende
a varcar di sue lodi immensa strada,
che fa con sua dolc'ombra altrui beato.
Quinci, dovunque Febo il carro aurato
guida, il gran re se n' va famoso e chiaro;
e vive, in terra e 'n ciel, pregiato e caro.
Per chiusi boschi e per aperti campi
vaghe fere d'intorno in largo stuolo
dietro a fertili paschi errando vanno;
né vien ch'alcuna mai paventi o scampi
per vista umana, o senta ingiuria e duolo:
ch'in pace eterna aventurose stanno.
Né men felici altrui diletto danno
soavi filomene e vaghi augelli
che spiegan gli occhi d'Argo in ampio giro;
e quanti uman desiro
può mirar o sentir canori e belli.
Han dolce vita ancor per stagni e laghi
candidi cigni e pesci, in folte schiere
correndo al cibo ch'altrui man lor porge.
In tale stato i suoi popoli scorge
quel saggio spirto: e sante leggi intere
vietan ch'ingiusta man gli turbi o impiaghi.
Onde d'oneste brame in tutto paghi,
regnando pace e libertà fra loro,
godon beati un novo secol d'oro.
Così voi con distorte erranti vie
a cui di ben oprar non giova o cale.
Giusto supplicio; e indarno arte o pietate
spera per indi uscir d'Icaro l'ale.
Fate accorto ancor me, che nulla vale
mio ingegno e stil per giunger l'alte lodi,
dentr'a cui senza fin m'aggiro e intrico
se non m'aita, amico,
Febo, e discioglie a la mia lingua i nodi.
Che, come un sol di tanti e sì bei fregi
ch'in mille guise qui veste il terreno,
il guardo altrui non già la voglia stanca,
così cresce il desire e 'l poter manca,
vinto da un raggio sol del sol sereno
che splende a me per tanti lumi e pregi.
L'un de' giardini onor, l'alto de' regi,
questi e quei d'ogni ben ricco e fecondo,
ambo qua giù lucenti occhi del mondo.
E qual già di pittor celebre mano
da varî corpi in queste parti e 'n quelle
per farne un solo ogni beltà raccolse,
tal non lasciò contrada o monte o piano
che cose avesse in sé più rare e belle;
e fino agl'Indi estremi il piè rivolse
natura ed arte, allor che formar volse
il bel soggiorno, in cui qual di più stima
al mondo era vaghezza, unita apparse;
e questa e quella alzarse
vide del poter proprio oltra la cima.
L'una e l'altra con studio ancor simìle,
perché al loco il signor conforme fusse,
in ornar lui tutte sue forze espose:
che da quante fur mai chiare e famose
alme reali, in lui sol si ridusse
tutto il buon, tutto il bel, tutto il gentile.
Queste due meraviglie, oltr'ogni stile
rare per sé, che fian s'altri le mesce?
E la gloria de l'una a l'altra accresce?
Ma tu, saggio signor, perché sì rado
loco sì bel di tua vista rallegri?
E più spesso tua luce altrove mostri?
In qual altro ti deve esser più a grado
cercar ristoro a' pensier lassi ed egri
ch'in questo, alto stupor de' giorni nostri?
Benché né questo né tutt'altri chiostri
nati a diporto, in tuo piacer frequenti;
ch'anzi allor vivi in più fatiche involto,
e, l'ozio in cure volto,
null'ora pigra o vacua andar consenti.
Che tu sai ben quanto altrui prema il peso
di legno ch'a sua guardia si commetta
perché salvo da l'onde il guidi in porto.
Così dal ciel con larga man sia porto
al tuo desir quel che bramoso aspetta,
e 'l bel giardin, col suo favor, difeso;
talch'ei più vago e lieto ognor sia reso,
e tu, di ricche palme e d'anni carco,
abbi dal mondo a Dio felice il varco.
Canzon, col fral mi parto e 'l cor qui lasso;
e te scuso non men, che m'abbandoni
restando in questo nido almo e felice.
Tu, se poco di lui per te si dice,
prega che 'l fallo al buon voler perdoni,
che fu di brama pien, di forze casso.
Pregane anco il gran re: che 'l tuo stil basso
dagli alti pregi suoi troppo declina;
ed a' suoi piedi, umìl, per me t'inchina.

254

Se di quest'occhi inferma
e debil sento la virtù visiva,
altronde non deriva,
certo, che dal mirar continuo e fiso
del mio bel sole il viso.

255

Prendi, cruda mia Flora,
questa candida rosa;
e se pur crudeltate
di ciò ti rende ancora,
lasso, schiva e ritrosa,
pensa che tua beltate,
onde sì altera vai,
sparir tosto vedrai,
come 'l vivo colore
in questo vago fiore.

256

Se qualunque ti mira
con tua vaghezza e tuoi novi colori
di te, rosa, innamori;
ciò Natura da te non move e spira;
tal virtù co' begli occhi a te concesse
e ne le foglie tue mirando impresse
la gentil donna mia,
che per farmi felice a te m'invia.

257

Se nel giardin de la mia dolce Flora
nascon rose sì belle
che di grazia e color perdon con elle
le adorne guance de la bella Aurora,
quinci tal pregio in lor nasce e deriva;
che mentre le vagheggia e studia e cole
la pastorella che del cor mi priva,
nel formarle, Natura
dal suo bel volto il vivo essempio fura.

258

Amor, se tanto puoi
quanto ogni un crede e stima;
se non consenti e vuoi
che 'l torto nel tuo regno
ragion vinca ed opprima;
s'in nobil atto e degno
chiaro onor ti diletta;
fa di questa crudel per me vendetta.

259

Come in fecondo prato
ricca ghirlanda a la sua chioma bella
tesse de' più bei fior vaga donzella;
così d'Adria nel sen, nido beato
de le Grazie e d'Amore,
nobil opra del ciel, del mondo onore,
virtù raccolse, e 'n gentil nodo strinse,
fiorito stuol de' suoi più degni amanti,
in seguir lei Constanti;
e de' lor chiari pregi il crin si cinse:
ond'or tanto più splende,
e l'alma e i cor di sua bellezza accende.

260

Vaga e candida luna,
secondo occhio del cielo,
degna sorella del signor di Delo;
qual meraviglia fia
che quanto di bellezza in te s'aduna
perda al bel volto de la donna mia?
S'ella dispiega al vento
chiome d'or, tu d'argento?
Ma, se per altro ancor seco contendi,
giudice Febo, al suo parer ne prendi:
che te non sol men bella,
ma, se la lingua al ver non fia rubella,
dirà ch'ove arde più di raggi cinto,
dal lume anch'ei di que' begli occhi è vinto.

261

Ben promettesti, Amore,
fin di sue pene al core
allor che venne a me da quel bel viso
con un sguardo sereno un dolce riso.
Ma perché indugia il frutto
dal fior de la tua spene in me produtto?
ché non pieghi madonna a' desir miei,
chiara palma giungendo a' tuoi trofei?
Dunque al vento se n' vanno
le tue promesse, e 'n lor s'asconde inganno?
O pur non puote in lei
lo stral con cui tu vinci uomini e dèi?

262

S'a tuoi danni pensando
versi, Amor, tante lagrime e lamenti
sovra i begli occhi spenti,
pon fine e ti consola:
poiché la fama sol, celèbre e chiara,
di sua beltà sì rara,
che per tutto se n' vola,
potrà, battendo l'ale,
dettar ne' cori altrui vampa immortale.

263

Dolcezza del cor mio,
perché diventi amara?
E col venen di gelosia ti mesci?
Frena pensier sì rio
e già per prova impara
che seco sempre a duro fin riesci.
Tu stesso il tuo mal cresci:
ché 'l timor che t'ingombra
formi di sogno e d'ombra;
ma perché 'l veggio anch'io,
e stolto a morte la mia vita invio?

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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