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Il Grasso legniajuolo 1

Post n°1894 pubblicato il 05 Agosto 2015 da valerio.sampieri
 

Novella del Grasso legniajuolo
di Anonimo (Antonio di Tuccio Manetti)
edizione Pomba, 1831

Antonio di Tuccio Manetti, biografo del Brunelleschi narra nel 1489 la Novella del Grasso legnaiuolo, (novella che di solito viene citata anonima poiché incerta è la paternità del Manetti), resoconto della beffa architettata intorno al 1409 da Filippo Brunelleschi ai danni dell'intarsiatore Manetto Ammannatini, con la collaborazione di Donatello e di Giovanni Rucellai. Brunelleschi decide di punire l'intarsiatore perché assente ad una cena organizzata da una brigata di artisti fiorentini: la beffa consisterà nel far credere al Manetto di essere diventato un'altra persona. Cercando complicità negli amici e conoscenti, inizia la "derealizzazione e depersonalizzazione" del "grasso legnaiuolo", che tutti salutano come Matteo Mannini. Poi comincia il corteo dei creditori di questo tal Matteo che mettono in difficoltà il ns. Manetto, che addirittura ripara in Ungheria. Ritornato, la beffa non finisce qui: il beffato viene contattato dal Brunelleschi e sollecitato più volte a raccontare ogni particolare della beffa vissuta. Ne è che ..."la maggior parte delle cose da ridere erano state, come si dice, nella mente del Grasso": senza questo racconto delle trasformazioni subite dalla coscienza del povero malcapitato la beffa non sarebbe completa.

Filippo di ser Brunellesco dà a vedere al Grasso legnaiuolo, ch'egli sia diventato uno che ha nome Matteo. Egli sel crede: è messo in prigione, dove vari casi gl' interviene. Poi di quindi tratto, a casa di due frategli è da un prete visitato. Ultimamente se ne va in Ungheria.

Nella città di Firenze, e negli anni di Cristo M.CCCC. IX. come è usanza, trovandosi una domenica sera a cena una brigata di giovani in casa d'un gentiluomo di Firenze, il cui nome fu Tommaso de' Pecori, persona onorevole, e da bene, e sollazzevole, e che volentieri si trovava in brigata; ed avendo cenato, standosi al fuoco, e ragionando di molte cose, come in tali luoghi tra' compagni avviene, disse un di loro: deh che vuol dire, che sta sera non ci è voluto venir Manetto Ammannatini, e tutti glie l'abbiamo detto, e non abbiamo potuto conducercelo? Il detto Manetto era, ed è ancora une che fa le tarsie [Nota: Tarsia, lavoro di minuti pezzuola di legname di più colori commessi insieme], e stava a bottega in su la piazza di san Giovanni, ed era tenuto buonissimo maestro di dette tarsie, e di fare ordigni da tavole di donne; ed era piacevolissima persona, e di natura più tosto bonario, che no, e d'età d'anni xxviii; e perchè egli era compresso e grande, era chiamate il Grasso, e sempre era usato trovarsi con questa brigata di sopra nominata, i quali tutti erano di natura sollazzevole, e che si davano insieme buon tempo. Il quale o per altre faccende, o pur per bizzarria, che spesse volte ne sentiva, o che se ne fosse la cagione, quella sera, essendogli più volte detto, mai volle acconsentir d'andarvi, Il perchè ragionando costoro insieme, e pensando che di ciò fosse cagione, e non sapendo vederla, conchiusono tutti d'accordo, che da altro che da bizzarria non fosse proceduto; e di questo tenendosi un poco scornati, disse quello che cominciato avea le parole: deh perchè non facciamo noi a lui qualche trappola, acciocché non s'avvezzi per sue bizzarrie a lasciarci? A cui uno degli altri rispose: che gli potremo noi fare, se non fargli pagare una cena, o simili zacchere? Era tra questa brigata, che cenato aveano insieme, uno, il quale avea noma Filippo di ser Brunellesco, il quale per la sua virtù, credo che fosse, e sia conosciuto. Costui era molto uso col Grasso, e molto sapea di sua condizione. Il perchè stato alquanto sopra se, eseco medesimo fantasticando, che sottile ingegno avea, cominciò a dire: brigata, se noi vogliamo, e' mi dà il cuore, ohe noi faremo al Grasso una bella beffa, tale, che noi n'arremo ancora grandissimo piacere; e quello che mi par da fare, si è, che noi gli diamo a credere, che e' sia di se medesimo trasmutato in un altro, e che non sia più il Grasso, ma sia divenuto un altro uomo. A cui i compagni risposero, questo non esser possibile a fare. A' quali Filippo, assegnate sue ragioni ed argomenti, come quello che era di sottile ingegno, per quelle mostrò loro questo potersi fare. E rimasi insieme d'accordo de' modi e dell'ordine, che ciascuno tener dovesse in dargli a credere, che fosse uno che avea nome Matteo, ch'era di lor compagnia, il primo cominciamento fu la seguente sera in questa forma, che Filippo di ser Brunellesco più domestico del Grasso, che niuno degli altri, in su l'ora che è usanza di serrar la botteghe degli artefici, sen'andò alla bottega del Grasso, e quivi stato un pezzo ragionando, venne, come era dato l'ordine, un fanciullo molto in fretta, e domandò: usa qui Filippo di ser Brunellesco? e sarebbeci? A cui Filippo fattosi incontro, disse di sì, e che era desso egli, e domandoli quello che andava cercando. A cui il fanciullo rispose: e vi conviene venir testé infino a casa vostra, e là cagione si è, che da due ore in qua è venuto un grande accidente a vostra madre , ed è quasi che morta; sicché venite tosto. Filippo, fatto vista di avere di questo caso gran dolore, disse: Iddio m'aiuti, e dal Grasso prese licenza. Il Grasso, come suo amico, disse: i' vo' venir teco se bisognasse fare alcuna cosa; questi sono casi che non si vogliono risparmiare gli amici. Filippo lo ringraziò, e disse: io non voglio per ora tu venghi, ma se nulla bisognerà, te 'l manderò a dire.

Partito Filippo, e sembiante faccendo d'andare a casa, data una volta, sen'andò a casa il Grasso, la quale era dinanzi dalla Chiesa di Santa Reparata; ed aperto l'uscio con un coltellino, come colui che ben sapeva il modo, e n'andò in casa, e serrossi dentro col chiavistello per modo, che persona entrar non vi potesse. Aveva il Grasso madre, la quale di quei dì era andata in Polverosa ad un suo podere per fare bucato, e dovea tornare di dì in dì. Il Grasso, serrato ch'ebbe la bottega, andato parecchie volte su giù in su per la piazza di san Giovanni, come era usato di fare, avendo tuttavia il capo, a Filippo, e compassione della madre, ed essendo un'ora di notte, disse infra se: oggimai Filippo non arà bisogno di me, poiché non ha mandato per me. E deliberato andarsene in casa, ed all'uscio giunto, che saliva due scaglioni, volle aprire, come usato era di fare; e provato più volte, e non potendo, s'avvide l'uscio essere serrato d'entro; il perchè, picchiando, disse:chi è su? apritemi; avvisandosi, che la madre fosse tornata di villa, e avesse serrato l'uscio d'entro per qualche rispetto, o che ella non se ne fosse avveduta. Filippo, che dentro era, fattosi in capo di scala, disse: chi è giù? contrafaccendo la voce del Grasso. A cui il Grasso disse: apritemi. Filippo finse, che chi picchiasse fosse quel Matteo, che voleano dare ad intendere al Grasso, ch'e' fosse divenuto; e faccendo vista d'essere il Grasso, disse: deh Matteo, vatti con Dio, che io ho briga assai, che dianzi essendo Filippo di ser Brunellesco a bottega mia, gli fu venuto a dire, come la madre da poche ore in qua stava in caso di morte, il perchè io ho la mala sera. E rivoltosi indietro, finse di dire a mona Giovanna ( che così avea nome la madre del Grasso ) fate che io ceni, perocché il vostro è gran vituperio, che è due dì che voi dovevate tornare, e tornate pur testé di notte. E così disse parecchi parole rimbrettose, contrafaccendo tuttavia la voce del Grasso.

Udendo il Grasso così gridare, e parendogli la voce sua, disse: che vol dir questo? e' mi pare che costui, ch'è su, sia mee dice , che Filippo era alla bottega sua, quando gli fu venuto a dire che la madre stava mate; ed oltre a questo grida con mona Giovanna. Per certo io sono smemorato; e sceso i due scaglioni, e tiratosi indietro per chiamare dalle finestre, vi sopraggiunse come era ordinato,uno che evea nome Donatello, intagliatore di marmi, amico grandissimo del Grasso, e giunto a lui così al barlume, disse: buona sera, Matteo, va' tu cercando il Grasso? e' se n' andò pur testè in casa. E così detto s' andò con Dio.

Il Grasso, se prima s'era maravigliato, udendo Donatello, che lo chiamò Matteo, smemorò, e tirossi in su la piazza di san Giovanni dicendo fra se: io starò tanto qui, che ci passerà qualcuno, che mi conoscerà, e dirà chi io sia. E così stando mezzo fuori di se, giunser quivi, com'era ordinato, quattro famigli  di quegli dell'unciale  dalla  mercatanzia, ed un mwaao, e con loro un che avea ad aver danari da quel Matteo, che 'l Grasso si cominciava quasi a dare ad intendere di essere;  ed accostatosi costui al Grasso, si volse al messo e a' fanti, e disse: menatene qui Matteo; questo è il mio debitore. Vedi ch'io tanto ho seguita la traccia, ch'io t'ho colto. I famigli,e 'l messo lo presono, e cominciarono a  menarnelo via. Il Grasso rivoltosi a costui, che 'l faceva pigliare, disse;  che ho io a far teco, che tu mi fai pigliare?Di', che mi lascino; tu, m' hai colto in iscambio,ch'io non sono chi tu credi, e fai una gran villania a farmi questa vergogna, non avendo a fare nulla teco. Io sono il Grasso legnaiuolo, e non sono Matteo e non soche Matteo tu ti dica; e volle cominciare a dare loro, come quello che era grande, e di buona forzai ma  egli presono  di subito, le braccia; e il creditore fattesi innanzi, e guatatolo molto bene in viso, disse:Come non hai a farenulla meco? Sì, ch' io non conosco Matteo  mio debitore,  e chi è il Grasso  legnaiuolo? Io t'ho scritto in sul libro e hotti la sentenzia contra al'arte tua, già fa un anno. Ma tu fai bene, come un cattivo, a dire che tu non sia Matteo; ma ti converrà a fare altro a pagarmi, che contraffarti. Menatenelo pure, e vedremo se tu sarai desso. E cosi bisticciando il condussono alla Mercatanzia. E perchè egli era quasi in su l'ora della cena, né per la via, né là non trovaron persona, che gli conoscesse.

Giunti quivi, il notaio finse di scrivere la cattura in nome di Matteo, e miselo nella prigione, e giugnendo d'entro, gli altri prigioni che v'erano avendo udito il remore, quando ne venne preso, e nominarlo più volte Matteo, sanza conoscerlo, giugnendo alla prigione, tutti dissero: Buona sera, Matteo, che vuol dir questo? Il Grasso udendosi chiamare Matteo da tutti coloro, quasi per certo gli parve esser desso, e risposto al loro saluto, disse: io debbo dare a uno parecchi denari, che miha fatto pigliare, ma io mi spaccerò domattina di buon'ora;carico tutto di confusione. I prigioni dissero: tu vedi, noi siamo per cenare; cena con noi, e poi domattina ti spaccerai; ma ben t'avvisiamo, che qui si sta sempre più che altri non crede.

Il Grasso cenò con loro, e cenato ch' egli ebbeno, uno di loro gli prestò una prodicella [Nota: Prodicella, dim. di proda, lat. sponda.  Per similitudine si dice eziandio l'orlo,  o l'estremità d' altre cose] di unsuo canile, dicendo: Matteo, statti stasera qui il meglio che tu puoi; poi domattina, te tu n'uscirai, bene fia, se no, manderai per gualche panno a casa tua. Il Grasso il ringraziò ed acconciossi per dormire, ed egli cominciò ad entrare in su questo pensiero, dicendo: che debbo io fare, se del Grasso io sono diventato Matteo, che mi pare essere certo oramai, che così sia, per tanti segni quant'io ho veduti? s'io mando a casa, mia madre, ed il Grasso sia in casa, e' si faranno beffe di me, e dirassi ch'io sia impazzito; e d'altra parte e' mi pare pure essere il Grasso. Ed in su questi pensieri raffermando in se stesso d'esser Matteo, ed ora il Grasso, stette infino alla mattina, che quasi mai non dormì; e la mattina levatosi, standosi alla finestrella dell'uscio della prigione, avvisando per certo quivi dovere capitare qualcuno, che il conoscesse; e così stando, nella Mercatanzia entrò un giovine chiamato Giovanni di messer Francesco Rucellai, il quale era di loro compagnia, ed  era  stato alla cena, e alla piacevole congiura, e molto conoscente delGrasso, al quale il Grasso faceva uno colmo per una nostra donna, e pure il dì dinanzi era stato con lui a bottega un buon pezzo a sollecitarlo, e avévagli promesso di dargli ivi a quattro dì quel colmo [Nota: parte alta di una tavola dipinta o il tondo di un polittico] compiuto. Costui entrato nella Mercatanzia, mise il capo dentro all'uscio, dove rispondeva la finestra de' prigioni, ch'era in quei tempi in terreno, alla quale il Grasso era; e veduto Giovanni, cominciò a ghignare, e riguardoso, e Giovanni guardò lui, e come mai veduto non l'avesse, disse: di che ridi, compagno? Il Grasso, parendogli che costui non lo conoscesse, disse: non d'altro no: conoscereste voi uno, che ha nome il Grasso, che sta sulla piazza di San Giovanni colà di dietro, e fa le tarsie? Come? il conosco, disse Giovanni, sì bene, ed è grande mio amico, e tosto voglio andare fino a lui per un poco di mio lavorio mi fa. Disse il Grasso: deh fatemi un piacere, poiché peraltro avet' a andare a lui, ditegli, egli é preso alla: mercatanzia un tuo amico, e dice che in servigio che gi faccia un poco motto. Dice Giovanni, guardandolo in viso continovamente tenendo con fatica le risa: io lo farò rdfcenrtierifc e partitosi inda a fate atte faccende.

Rimaso il Grasso alla finestra della prigionia infra se medesimo diceva: oggimai poss'io essere certo, che io non sono più il Grasso, e sono diventato Matteo,che maledetta sia lamia fortuna; che se io dico questo fatto io sarò tenuto pazzo , e correrannomi drieto i fanciulli; e se io nol dico, ne potrà intervenire cento errori, come fu quello di iersera d'essere preso; sicché in ogni modo io sto male. Ma veggiamo se il Grasso venisse, che s'ei viene, io lo dirò a lui, e vedremo quello che questo vuol dire. Ed aspettato un gran pexzo, che costui venisse, con questa fantasia, non venendo vi tirò dentro per dar luogo a un altro, guardando lo ammattonato, e quando il palco colle mani commesse. Era in quei dì nella detta prigione sostenuto un giudice assai valente uomo, lo quale per onestà al presente si tace; il quale, posto che non conoscesse il Grasso, pure veggendolo così maninconoso, credendo avesse tal maninconia per rispetto del debito, s'ingegnava di confortarlo assai bene, dicendo: deh Matteo, tu stai sì maninconoso, ch'e' basterebbe se tufossi per perdere la persona; e secondochè tu dì, questo è piccolo debito. Ei non si vuolenellefortune così abbandonarsi. Perchè non mandi tu per qualche tuo amico, o parente, e cerca di pagarlo, o d' accordarlo in qualche mode, che tu esca di prigione, e non ti dare tanta maninconia? Il Grasso, udendosi confortare così amorevolmente, diliberò di dirgli il caso intervenutogli, e trattolo da un canto della prigione, disse: messere, postochè voi non conosciate me, io conosco ben voi, e so che voi sete valente uomo. Il per che ho diliberato dirvi la cagione, che mi tiene così maninonoso, e non vo' che voi crediate, che per un piccolo debito istessi in tanta pena; ma io ho altro. E cominciato dal principio del suo caso fino alla fine, gli disse ciò che intervenuto gli era, quasi tuttavia piangendo, e di due cose pregandolo; l'una, che di questo mai con persona non parlasse; l'altra, ch'egli gli desse qualche consiglio, o rimedio in questo caso, aggiugnendo: io so, che voi avete lungamente letto in istudio, e letto di molti autori ed istorie antiche, che hanne scritto molti avvenimenti; trovasti ne voi mai niuno simile a questo? Il valente uomo, udito costui, subito considerato il fatto, immaginò delle due cose esser l'una, cioè, o che costui fosse impazzato, o che ella fosse par beffa, come ella era, e presto rispose, lui averne molti letti, cioè l'esser diventata d'uno un altro, e che questo non era caso nuovo. A cui il Grasso disse: or ditemi, se io sono divenuto Matteo, che è di Matteo? Rispose il giudice: è di necessità, che sia divenuto il Grasso. A cui il Grasso disse: bene; lo vorrei un poco vedere per isbizzarrirmi.

Edizione di riferimento
Novelle scelte dei più celebri autori italiani rischiarite con note, ad uso della gioventù, tomo primo, Vedova Pomba e figli, Torino, 1831.

Fonte: Biblioteca dei Classici Italiani di Giuseppe Bonghi da Lucera

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