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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)
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Post n°912 pubblicato il 26 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918) L'un e l'altr'occhio un novell'istro, un Xanto L'alma d'aspri sospir selv'atra e quanto Si sfronda più, più germogliar si sente. Ne 'l foco immenso è d'essiccar possente L'amaro umor de l'angoscioso pianto, Né le lagrime puon tanto, né quanto Dar refrigerio al fiero ardor cocente. Ma quanto cresce l'un, tanto sormonta L'altro contrario e 'n un soggetto istesso Estremo caldo e freddo estremo alloggia. E 'n un sol punto e quelli e questi poggia Tal che avvampa gelata e gela spesso L'alma avvampata al suo martir sì pronta. [2 Di Carlo Coccapani] Del medesimo Qual puro ardor, che da fatali giri Di due stelle serene in me discese Sì soave alcun tempo il cor m'accese Che ne' pianti giova e ne' sospiri. Come minacci Amore come s'adiri, Quali sien le vendette e quai l'offese Per prova seppi, né più mai s'intese Che beassero altrui pene e martiri. Hor ch'empia gelosia s'usurpa il loco Ove sedeva Amor solo in disparte E con le dolci fiamme il ghiaccio mesce. M'è l'incendio noioso e 'l dolor cresce Sì, ch'io ne pero (ahi lasso!) e con qual'arte Se temprato è dal giel, più m'arde il foco! [3 Di Carlo Coccapani] Del medesimo Donna, per cui trionfa Amore e regna, Merti tu ben che 'l capo a te circonde Nobil corona; ma qual fia la fronde, O qual fia allor cui tanto onor convegna? A gran ragion da te si schiva e sdegna Fregio men bel che si ricerchi altronde Poiché sol l'or de le tue treccie bionde Può far corona che di te sia degna. Questi s'avvolge in cotai forme e tesse Che la fenice omai sola non fia Che di diadema natural si vanti. Così, o nuova fenice, a te piacesse Scoprire il sen; come vedrian gli amanti Che gli è monil la tua beltà natìa. [4 Di Carlo Coccapani] Del medesimo Luci, sovr'ogni luce adorne e liete, Poiché voi stesse di mirar m'è tolto E gioir di quel ben ch'è 'n voi raccolto E di quei pregi onde sì ricche siete, Con sì nov'arte almen deh! non tenete Vostro splendore a me chiuso et involto Qualor con gli occhi e col pensier son volto Là 've a' raggi d'amor lucenti ardete. Forse invidiate voi che sì felice In fruir vostra vista altri divegna Se pur fruirne in parte a voi non lice. Deh! che s'un dì mi foste a pien concessi Farei in virtù vostra opra sì degna Che mirar vi potreste ivi entro espressi. [5 Di Carlo Coccapani] Del medesimo Facelle son, d'immortal luce ardenti Gli occhi che volgi in sì soavi giri E fiamma è l'aura che tu movi e spiri A formar chiari, angelici concenti. E fuoco son le lagrime cadenti Che talor versi e foco i tuoi sospiri. E quanti tu col dolce sguardo miri, E quanti rendi al dolce suono intenti. Io solo ai vivi raggi et a le note Onde avvampa ciascun, nulla mi scaldo Né trova onde nutrirsi in me l'ardore. Né già son'io gelido marmo e saldo; Ma consumato in altro incendio il core, Or che cenere è tutto arder non puote. [6 Di Carlo Coccapani] Del medesimo Poi ch'Apollo m'è scarso, e che non spira Più ne la lingua mia l'usata aìta, Che se pur move a l'altrui lodi ardita, Erra lungi dal segno ov'ella aspira. Tempra al canto, Guerin, la nobil lira, E sia intorno al sonar Leonora udita, Che per chiaro soggetto or te l'addita Febo, che in lei sua luce espressa mira. Dì com'è casta, e saggia, e loda e scegli Pari al suo merto e al bel nome intanto Qual eco al replicar la fama impari. Forse sì come augel, che gli astri svegli A salutare il sol, desti al tuo canto Mille cigni udirai famosi e chiari. Tratte da: Rime inedite del cinquecento (Bologna, Romagnoli - Dall'Acqua, 1918) |
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