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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Piccola biblioteca romanesca (I miei libri in dialetto romanesco)
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Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)
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Post n°916 pubblicato il 27 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
Il Dittamonado di Fazio degli Uberti LIBRO TERZO CAPITOLO V Poi ci partimmo da Melan, quel giorno in vèr Pavia prendemmo la strada, notando ognor le novitá d’intorno. Esperti eravam noi de la contrada, dove Adda fa il suo lago, e stati a Commo, 5 che qual va lá sotterra par che vada; e cercato per tutto su dal sommo de lo Lago maggior, che fa ’l Tesino, io dico da Margotto in fine a Sommo; ed a Castino udito, in quel cammino, 10 de’ fiorin che Riccieri, ch’è un demonio, prestò sopra Giovanni a Conichino. Io tenea prima li scongiuri a sonio, ma non da poi ch’udio da’ piú contare come Riccier Giovanni giunse al conio. 15 E questo ancor mi fece ricordare che visto fu ne l’oste del buon Carlo uno esser preso e portato per l’a’re: per che ’l ghiottone, di cui ora parlo, promise al suo cugino in su la morte 20 vendere il suo e a’ poveri darlo. Oh quanto l’uom dee prima pensar forte che altrui imprometta e, se pur impromette, non mai serrare a le ’mpromesse porte! Da man sinistra a dietro ci ristette 25 quella contrada, la qual s’incomincia dove il Tesino giú dentro Po mette. E noi ancora per quella provincia eravam iti e cercato ogni foro e ’l Tar passato, ove piú grosso schincia; 30 similemente stati fra coloro che ’n su la Parma con gran reverenza alcuna volta festeggiano il Toro, e sopra ’l Crosto; e, passati l’Enza, vedemmo la cittá u’ Prosper giace, 35 che fu al mondo un lume di scienza. E fummo dove il Leone ora tace, che soleva a Melan mostrar la branca, come dicesse "posa e sta in pace"; e ’n quella a cui la Secchia bagna l’anca 40 e ’l Panaro, ove alcun quel corpo crede che col suo stil cacciò l’anima franca. In tra Savena e Ren cittá si vede sí vaga e piena di tutti i diletti, che a caval vi va tal che torna a piede. 45 Quivi son donne con leggiadri aspetti, e ’l nome de la terra segue il fatto; buon v’è lo Studio e sottil gl’intelletti. Così per tutto questo lungo tratto cercando era ito insieme con Solino le novitá di quelle genti e l’atto. Ma qui ritorno al nostro cammino, come quel giorno giungemmo in Pavia, dove giace Boezio e Agustino. Poi in vèr Piemonte prendemmo la via, 55 cercando s’io trovassi in alcun seno filo da tesser ne la tela mia. Giunti a Mortara, quivi udimmo a pieno che per i molti morti il nome prese, quando li due compagni vennon meno. 60 E cosí, ricercando quel paese, passammo il Sesia, Novara e Vercelli, che Pico in prima a fabbricare intese. Tutto ’l paese è in piano e monticelli, come suona il suo nome, e pieno ancora 65 di pan, di vin, di fiumi grandi e belli. La Dora, Astura, l’Agogna e la Mora passammo e ricercammo Monferrato, dove un marchese largo e pro dimora. Saluzzo, Canavese e Principato 70 trovammo e sí vedemmo Alba e Asti, che ’l Tanar bagna e tocca da l’un lato. E benché i muri siano vecchi e guasti d’Acqui, non è però da farne sceda per Pico, che la fe’ ne’ tempi casti, 75 e per li bagni, onde si correda, sani e buoni, benché ora poco par che ne caglia al Signor che n’è reda. Or per veder Italia in ciascun loco, attraversammo i monti a Ventimiglia, 80 che vede la Provenza, se fa foco. Genova stende lo suo braccio e piglia in vèr ponente tutta quella terra e Monaco e San Romolo e Oniglia. Io ero stato al tempo de la guerra 85 de lo doge da Murta per que’ valli, sí ch’io sapea ’l cammin di serra in serra. "Guarda, disse Solin, che tu non falli, ch’io so la via del mar, ch’è tutta bona, e lasciamo l’andar per questi calli". 90 E io a lui: "Da Porto ad Andona la strada so, ma convien ch’uom si spoltri, e come va da Finale a Saona, da Albingano, da Noli e da Voltri in fine a Genova". E Solino rise; 95 poi disse: "Va, ché del cammin qui m’oltri". Per que’ valloni e per quelle ricise andammo, in fin che fummo dove Giano, dico l’antico, prima pietra mise. Questa cittá è tutta in poggio e in piano, 100 racchiusa tra Bisagno e Poncevere, con bei palagi e ’l sito dolce e sano. E se vi fosse cosí Po o Tevere, non si potrebbe dire il lor piacere; sobrii sono nel mangiare e nel bevere. 105 Io fui in San Lorenzo, per vedere la testa del Battista e la scodella, ch’ è di smeraldo e vale un grande avere. E vidi un’altra novitá in quella cittá, che dura da la state al verno, 110 che strana pare, quando si novella: io dico che i demoni de lo ’nferno non son sí neri, come stan dipinte le donne qui, ché piú non ne discerno che gli occhi e i denti, sí son forte tinte. 115 |
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