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IL CRISTO PAGANO. Gesù e gli dèi della tradizione profana. Breve analisi di un sincretismo religioso.

Post n°41 pubblicato il 14 Agosto 2009 da marcalia1
 
Foto di marcalia1

      Per definire dogmaticamente il miracolo della nascita prodigiosa di Gesù, la Chiesa si è basata sugli scritti della Bibbia e sulle posteriori speculazioni della patristica cristiana, ma è ormai fatto accertato dalla moderna critica religiosa di orientamento laico che quei documenti su cui si fonda il credo cristiano universale sono del tutto inattendibili dal punto di vista storico, e che gli eventi personali riguardo alla storia terrena del Salvatore non hanno nulla di così singolare rispetto agli altri culti soteriologici dell'antichità.  Effettivamente, la vicenda religiosa di Gesù presenta sconcertanti rassomiglianze con quelle relative alle arcaiche divinità mediorientali e dell'area mediterranea che ugualmente, nei loro misteri escatologici, prevedevano la morte e la resurrezione del dio con un fine di salvezza redentrice, ben prima che il cristianesimo si affermasse nel mondo greco-romano. Come Adone, Gesù nacque nella grotta sacra di Bethlehem, «La Casa del Pane»[1] e, come Osiride dio del grano, allo stesso modo l'assiro Tammuz si identificò con la «resurrezione-rigenerazione» annuale delle piante: proprio a Tammuz (l'Adone dei Fenici) si dedicavano specie di giardini ornati che altro non erano se non un simbolo agreste di magia imitativa. Praticamente, la realizzazione di questi giardini fioriti, forniva la massima espressione di un rito propiziatorio che serviva ad incoraggiare la crescita delle messi. I cosiddetti giardini di Adone vivono ancora oggi nella speciale celebrazione chiamata dei «Sepolcri» durante il Venerdì Santo, in cui la guarnizione con spighe, fiori e piante sulla tomba-altare del Cristo lega ancora di più il dio morto ai rituali arborei di rinascita. Come Attis (nell'immagine del post), Gesù venne sacrificato durante l'equinozio di primavera e risorse dalla morte il terzo giorno. Come Dioniso, ascese al cielo per sedere alla destra del divino Padre.[2] Come Quetzalcoatl nel momento della sua morte sulla croce di frasche,[3] si verificò l'improvviso oscurarsi del cielo, in maniera del tutto analoga alla passione del Cristo crocifisso narrata dai Vangeli:[4] in ambedue i casi è la natura ad essere sconvolta dal sacrificio dell'uomo-dio, un motivo universale che appartiene al tema del subbuglio degli elementi in seguito alla morte cruenta della divinità.[5] Come Ermete Gesù incarnò poi il Logos, e come Mitra ed Orfeo lo si impetra tuttora attraverso gli epiteti Luce del Mondo e Sole di Giustizia. Infine come Baldr dei vichinghi, il Mahdi islamico e la decima incarnazione di Vishnu, Kalki, il Cristo tornerà all'epilogo del mondo per instaurare un nuovo regno di pace.

          Una trattazione molto vasta e rigorosa di questi argomenti è stata svolta agli inizi del XX secolo da John M. Robertson, uno studioso inglese che, nella seconda edizione del suo Pagan Christs pubblicata nel 1911, adottò criteri di analisi comparativa per dimostrare appunto come molti aspetti del culto misterico cristiano fossero già presenti in altre antiche religioni. Ecco quanto scrive Robertson, in un breve elenco dei punti comuni tra i più rilevanti:

Di fatto non c'è un concetto associato al Cristo che non sia comune a qualcuno o a tutti i culti del Salvatore dell'antichità. Il titolo di Salvatore, successivamente relegato a lui, fu nel Giudaismo attribuito a Yahweh, e tra i Greci a Zeus, a Helios, ad Artemide, a Dioniso, ad Eracle, ai Dioscuri, a Cibele, ad Esculapio; ed è il concetto fondamentale del dio Osiride; anche Osiride mondava dal peccato, ed è giudice dei morti nonché del giudizio universale [...] Come il Cristo, e come Adone ed Attis, Osiride e Dioniso soffrono e muoiono per risorgere; congiungersi a loro è la mistica passione dei seguaci. Tutto quanto di simile c'è nei loro misteri rende immortali; dal Mitraismo il Cristo prende le chiavi simboliche del cielo e dell'inferno, assumendo la funzione del nato-da-Vergine Mithra-Saoshyant, il Distruttore del Maligno. Come Mithra, Marduk, e l'egiziano Khonsu, egli è il Mediatore; come Khonsu, Horus e Marduk, è la persona di una trinità; come Horus, è unito ad una Madre divina; come Khonsu, si associa al Logos; e come Marduk, egli è accostato allo Spirito Santo, di cui uno dei suoi simboli è il fuoco. Negli aspetti fondamentali, dunque, il Cristismo è un paganesimo rimodellato: è solo l'evoluzione del sistema economico e dottrinale [...] a costituire i nuovi fenomeni nella storia religiosa.[6]

          La prassi di modellamento del culto cristiano su altri preesistenti pagani, come ha indicato Robertson, possiede un nome ben preciso: sincretismo. Per l'erudito inglese, dunque, tutto il cristianesimo è una religione sincretica o, a seconda di quanto si possa essere sfacciatamente anticlericali, nient'altro che un miscuglio di miti e di credenze, testimonianze imprecise e contraddittorie, invenzioni (o alla meno peggio) resoconti di materiali assunti da altre tradizioni più antiche. Sembra pure che questo lento e graduale innesto del culto di Gesù sul residuo degli arcaici culti pagani non sia stato privo di qualche difficoltà sincretica: nell'iperborea lotta fra paganesimo e cristianesimo, il martello del dio scandinavo Thor diventò per esempio il simbolo eccellente della divina contesa a cui alludiamo: certamente esso è opposto e al contempo analogo alla croce di Hvíta Kristr, quel «Bianco Cristo» di cui il dio vichingo ne rappresenta ancora nel mito il principale antagonista.[7]


[1] James G. Frazer, Il ramo d'oro, Roma, Newton&Compton, 1992, p. 394: "Se [...] Adone era in realtà lo spirito del grano, non si sarebbe potuto trovare nome più adatto per la sua dimora che quello di Bethlehem, «Casa del Pane», e può darsi che in quella Casa del Pane egli fosse stato venerato secoli prima della nascita di colui che disse «Io sono il Pane della Vita»". Predica infatti Gesù: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete" (Gv 6,35); "Io sono il pane della vita; [...] questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia" (Gv 6,48); "In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12,24).

[2] Cfr. Robert Graves, I miti greci, Milano, Longanesi, 2004,  27,k. In traco-frigio nùsos significa "figlio", come il greco koûros : "Quindi Dioniso e Dioscuro sono termini equivalenti : 'figlio di Dio'", Ambrogio Donini, Breve storia delle religioni, op. cit., p. 140.

[3] La croce, diventata il simbolo primario della cristianità, non compare nell'arte sacra fino al VI secolo d.C. Le più antiche immagini di Gesù lo rappresentano infatti non inchiodato alla croce ma, come anche Osiride, in veste di Buon Pastore mentre porta un agnello caricato sulle spalle. Molto tempo prima della sua morte, la croce aveva comunque simboleggiato la religione di certe divinità asiatiche se è vero che essa appare anche nel mito sacrificale di Tammuz e nei rituali fenici di supplizio, che è uno dei motivi per cui la croce venne a rappresentare nel tempo l'emblema della sconfitta degli schiavi ribelli (per es. dei seguaci di Spartaco, 73 a.C.). In ogni caso, da periodi molto antichi, l'effigie di un uomo appeso ad una croce veniva anche innalzata nei campi con lo scopo di aumentare la resa dei raccolti e di proteggerli. Gli attuali spaventapasseri che i contadini collocano nei poderi possono solo essere la sopravvivenza di questo rito basato sulla magia sacrificale, e difatti secoli or sono essi stavano a rappresentare le immagini del re-sacro ucciso annualmente il cui sangue, incarnando lo spirito del grano, si supponeva fertilizzasse il terreno. Del resto, e i contadini lo sanno bene, mai nessuno spaventapasseri ha realmente impedito che gli uccelli affamati beccassero il frumento e gli altri tipi di raccolto (cfr. James G. Frazer, op. cit., p. 387; per i rimedi alternativi dei contadini contro i parassiti che infestano le messi cfr. ivi, p. 592 e segg.).

[4] Matteo 27,45; Marco 15,33; Luca 23,44. Il Vangelo di Giovanni non menziona l'anomalo evento.

[5] Cfr. Roger Caillois, I demoni meridiani, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, pp. 72-74.

[6] [But indeed there is not a conception associated with the Christ that is not common to some or all of the Saviour cults of antiquity. The title of Saviour, latterly confined to him, was in Judaism given to Yahweh, and among the Greeks to Zeus, to Helios, to Artemis, to Dionysos, to Heracles, to the Dioscuri, to Cybele, to Aesculapius; and it is the essential conception of the God Osiris. So, too, Osiris taketh away sin, and is judge of the dead, and of the last judgement (...) Like the Christ, and like Adonis and Attis, Osiris and Dionysos suffer and die to rise again; and to become one with them is the mystical passion of their worshippers. All alike in their mysteries give immortality; and from Mithraism the Chirst takes the symbolic keys of heaven and hell, even as he assumes the function of the Virgin-born Mithra-Saoshyant, the destroyer of the Evil One. Like Mithra, Merodach, and the Egyptian Khonsu, he is the Mediator; like Khonsu, Horus, and Merodach, he is one of a trinity; like Horus, he is grouped with a divine Mother; like Khonsu, he is joined with the Logos; and like Merodach, he is associated with a Holy Spirit, one of whose symbols is fire. In fundamentals, in short, Christism is but paganism re-shaped: it is only the economic and the doctrinal evolution of the system (...) that constitute new phenomena in religious history]; J. M. Robertson, Pagan Christs, London, Watts&Co., 1911 (ma I ed. 1903), pp. 205-206. La traduzione è mia. Un altro luogo abbastanza comune, in riferimento però agli epiteti attribuiti al Cristo, è quello di "nazareno". Dalla lettura di Matteo 2,23 si evince che il termine deriverebbe dalla città di Nazareth, "perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: «Sarà chiamato Nazareno»". Per quel che riguarda una città con tale nome, che esiste nel moderno Stato d'Israele, gli storici sostengono che le prime tracce in relazione ad essa datano a partire solo dal IV secolo d.C. Nazareth infatti non figura nelle mappe e nei documenti romani, né negli scritti di Paolo e tanto meno viene elencata come centro della Galilea dallo storico ebreo Giuseppe Flavio (37-103 d.C.). In realtà, si tratta di una confusione semantica: "Nazareno" può derivare da natzar (segreto, nascosto), da nēzer (rampollo) o da nasayā' (protetto da Dio). Non è escluso anche che il termine "Nazorean" poteva probabilmente identificare Gesù come uno dei Notsrim, ovvero appartenente alla setta dei "nazorei", uno insomma di coloro che mantenevano la vera tradizione, consacrato con voto solenne alla pratica della purezza e al culto della verità. Il termine aramaico naggar con cui si indicava Gesù è ambivalente: voleva dire tanto "carpentiere" quanto "erudito" o "studioso" di cose sacre, ed era applicato ai nazorei (o nazariti) perché i membri della setta erano uniti e si mantenevano l'un l'altro attraverso lavori di falegnameria (nel contesto evangelico il significato di "studioso" ha più senso, anche perché è dovuto al fatto che la parola naggar è usata solo quando la folla discute dell'erudizione di Gesù). Ambrogio Donini (op. cit., p. 250) ritiene che una confusione può anche essere stata fatta con la voce nazrath, che ha il senso originario di «guardiano», «custode» e forse, secondo alcuni, di «germoglio in fiore». Comunque, è da questi termini che è derivato il nome della città di Nazareth e non viceversa.

[7] "L'accanimento dei cristiani contro la figura di Thor fu causato dal permanere del suo culto che più d'ogni altro si contrappose a quello di Cristo", Gianna Chiesa-Isnardi,  I miti nordici, cit., p. 232. Nelle saghe nordiche si sostiene infatti che Gesù penetrò nelle regioni settentrionali d'Europa sotto le spoglie di un condottiero vittorioso che era in grado di sconfiggere anche la morte. Il martello di Thor, detto Mjöllnir, è un'arma magica capace di donare la fecondità e di resuscitare ma pure di fabbricare il fulmine letale. Come è raffigurato nell'iconografia, esso si presenta spesso in forma simile a quella di una croce, figura alla quale tende ad avvicinarsi sempre di più per il crescente influsso cristiano. Cfr. ivi, p. 32; p. 42, nota 44; p. 236; p. 269, nota 5.

 

 
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