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Angelo Ribelle

La Via Che Conduce All'Inferno E' Lastricata Di Buone Intenzioni? Piacere, Io Sono Il Pavimentatore...

 

 

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Onirico

Post n°207 pubblicato il 09 Novembre 2012 da Solo_Vita

Tu non puoi saperlo, ma dopo tanto tempo ti ho sfidato.

Stava diluviando nell'ennesima inutile notte che precede un giorno di festa immerso nella fine di ottobre. Gli occhi sbarrati nel buio impenetrabile che proiettavano senza pellicola il solito film che da mesi Morfeo dirige solo per me. Impossibile dormire, difficile dire se i tratta di sogno od incubo, troppo sottile il confine che separa l'ardita conquista dalla Caporetto della perdita.

E' stato allora che ho dossato gli immancabili jeans, le stan smith, la mia felpa preferita, quella sciarpa che profuma di lavanda e mi sono messo in macchina.

Sono uscito di casa nel silenzio ed ho respirato l'aria silenziosa della notte. Una notte sospesa in equilibrio sull'autunno adolescente che già brama di diventare un giovane inverno. L'irruenza nel bruciare degli zigomi sfregati dai sette, umidi gradi.

Quella stessa notte che una volta era alcova di risate e tenerezza mentre ora è capace soltanto di incubare ansia, senso di impotenza, rabbia. Immagini che si susseguono confuse e terribili sino all'approdo con uno dei tanti risvegli. Mettere la testa fuori dall'acqua un attimo prima dell'annegamento.

Quando ho avviato il motore una leggera vibrazione ha percorso il telaio, le singole viti, ogni singolo bullone, trasmettendo al volante una sensazione molto vicina ad un soffio vitale.

Quella vecchia auto sembrava volermi dire -sono pronta, di nuovo. dimmi dove si va- e probabilmente c'ho creduto senza pensarci due volte.

Come alle favole raccontate dai saggi con le rughe scavate in volto e la pelle che pare filigranata.

Finalmente, col cervello spento e il corpo ancora intorpidito nelle sue estremità, mi sono concesso di cavalcare quell'onda emozionale che per troppo tempo si è dovuta frangere contro barriere costruite con sacchi di senso di responsabilità, colpa, piombo e sale. Tutto è debordato, incotrollabile ed intenso.

Una vita, di colpo, nuovamente in balìa della corrente.

E' stata strada, ancora una volta. Asfalto che corre veloce nella corsia di sorpasso, con le sconnessioni che senza filtri arrivano alla schiena, mentre dalla radio spande nell'abitacolo la seta che Ludovico Einaudi tesse col suo piano.

Cantieri, luci lampeggianti, guard rail e grossi camion guidati da uomini piccoli, eppure pieni di coraggio. Quanto ci sarebbe da imparare.

Tramezzini, cornetti stantii, casellanti con la faccia stropicciata e gente che mi guarda con una strana espressione quando mi sente parlare. Ma io sarò zitto ed invisibile.

Caffè fumante, la musica che sembra non poter mancare nelle nostre vite, la sensazione di groppo allo stomaco che regalano le imprese folli ed un pò irresponsabili. Quelle che sono destinate a fallire sin dal loro concepimento ma che in fondo va bene così, che altrimenti che gusto c'è?

Il sogno, quello che abbiamo sempre bisogno di accarezzare, specie quando il cielo si fa scuro, le giornate si accorciano e le foglie gialle degli alberi si fanno tappeto sotto ad un passo stanco. Ecco cosa ci muove, il sogno.

La gente intorno a te muore, la falce fienaia ti manca di un pelo e tu, mentre ancora gli occhi sono lucidi, torni a pensare al sogno.

Chi potrebbe vivere senza? Io no, per questo da mesi non vivo. Sono sveglio sì, ma non vivo. Come uno che prende in affitto la vita, invece di occuparla a pieno diritto.

Il sogno. Eccolo, proprio lì, sospeso a mezz'aria tra il frigo e il tavolo di cucina. Se allunghi una mano puoi quasi toccarlo. Per poi prendere la scossa.

Eppure a volte ci sfugge, scivola via dalle mani come un pesce che elude la presa, per poi tornare in acqua, in un guizzo argentato. Rimane impresso negli occhi a vita, eppure se ne va.

Più spesso però siamo noi a laciarlo andare, a pensare che tanto lo possiamo riagguantare quando crediamo, che basterà un pò di fatica in più, acido lattico, sudore, lascrime, magari allungarsi sulla punta dei piedi per poterlo fare nuovamente nostro. Ma non è così.

Quale essere umano non ha commesso simile peccato di presunzione?

Ma il Fato è galantuomo, destinando a tutti coloro che osano avvicinarsi troppo al sole la medesima punizione spettata ad Icaro.

Una gran botta e ci si ritrova col culo per terra. E alla fine sono arrivato. C'ho messo mesi, non è stata certo una questione di ore. Tempo che si restringe e si dilata come metallo al contatto col calore o col gelo. E ora è tempo di gelo, di catene che si fanno meno serrate, di pensieri che infilano il cranio tra le grate nel tentativo di fuga.

Ho abbandonato la strada principale, svoltando. Nel frattempo la notte continuava ad avvolgermi e proteggermi con una pioggia sottile e fredda, fatta di mille punte di spillo.

Ho intravisto il laghetto sulla destra e al primo piccolo spiazzo ho fermato la macchina, togliendole vita con un mezzo giro di chiave. Deciso, intenso, fatale. Ci sarebbe da imparare anche da questo.

Tutto taceva. Di colpo la colonna sonora era fatta dal ticchettìo leggero del metallo del tetto contro le punte acuminate delle goccioline.

Ho indossato un kway e sono sceso. Il cappuccio calato a proteggermi, come una cassa di risonanza delle microscopiche percussioni, che mano a mano si facevano più grosse. Dal rullante ai colpi di grancassa su un indifeso sempre più cofuso e determinato.

Un passo dopo l'altro e via, sulla piccola stradina. Nulla aveva potuto la pioggia contro l'odore di autunno presente nell'aria: foglie marce, aghi di pino, il profumo della terra che si rigenera e si prepara al sonno prima della rinascita.

Ogni passo un pensiero, ogni pensiero un viaggio. Ogni viaggio volti, sensazioni, carezze, immagini.

E' incredibile come percorrendo a piedi una strada, questa possa restituire particolari inattesi e mai notati: la vernice scrostata di una ringhiera, un piccolo alberello che cresce, le imperfezioni dell'asfalto, i piccoli sassolini al limite della carreggiata.

Ho tirato dritto al crocicchio, ignorando il cartello di strada chiusa: che cosa mi importa dell'avviso quando la strada senza fondo contiene la mia meta?
Ansimando un pò ho costeggiato gli abeti, quasi inebriandomi per l'odore di resina che riuscivano comunque a regalarmi. Ho ripensato a quella sera, col finestrino semiaperto che ne lasciava entrare prepotente l'aroma.

Poi, trattenendo il respiro mi sono voltato verso di te.

Ho sotteso con lo sguardo un arco che valicasse il giardinetto e puntasse dritto verso la tua finestra. Poi ho scoccato trattenendo il fiato.

Ho danzato nuovamente sul terrazzino, ho riscoperto stupito il panorama che si scorge da lì, ho immaginato di valicare i monti ed arrivare sino al mare.
Ho passato nuovamente in rassegna i tuoi libri, il camino, la cucina, la camera da letto col soffice piumone, il modo con cui la tua voce rimbalzava sulle pareti colorate.

Ricordi come lame sulla pelle. Sangue, lacrime e pioggia acida: tutto impastato assieme mentre la notte continuava a celarmi, io ladro di vita.

Ho rivissuto il tuo profilo, ho sincronizzato l'anima col tuo respiro, la pelle, i baci, le apnee, i sogni.
Ti ho baciato i capelli, accarezzato le gambe, sono stato a contemplarti in silenzio per un'eternità di attimi.

Poi la vita, quella vera, si è manifestata sotto forma di un brivido che piega le gambe. La testa che gira, la vista che perde fuoco e due sagome che si intravedono dietro ad una finestra. Sembrano felici, sorridenti, sintoniche. Anzi, certamente lo sono.

Il contatto visivo che si perde mentre torno un qualsiasi pazzo sconosciuto in un una sera di pioggia, i passi a ritroso sino alla macchina, la paura di far scoppiare il cuore, la terribile consapevolezza di non esserci riuscito.

La radio che improvvisamente passa soltanto note distorte e spigolose. Il silenzio rotto e non più accarezzato. Una volante dei carabinieri che chiede informazioni ad un pazzo che passeggia di notte e lo invita ad allontanarsi, pena l'arresto.

Mi pare di raccontare una barzelletta quando spiego al Carabiniere Scelto Cafiero che le manette ai sogni non può metterle nessuno, neppure lui, nonostante la rivoltella lucida e la Bravo revisionata di fresco.

Se solo potessi farvi vedere la sua espressione stupita.

Buona fortuna.

"...Avete qualcosa negli occhi,voi donne, che mica l'ho capito. Pare una luce, una scintilla cristallina, un capriccio piantato nel bel mezzo di un domenica pomeriggio immaginata lenta e senza intoppi.
Credo sia vita, voluttuosa come un ricciolo sull'occhio, scandalosa come uno sguardo lanciato in una chiesa, intensa come il profumo di ragù della mamma.
E allora non stupitevi se proviamo a toccarvi come i bimbi fanno con le farfalle, che poi si sa, non volano più.
Non siamo cattivi, siamo solo incapaci di creare vita, presi come siamo dal mostrare molto i muscoli e poco il cuore. Basterebbe dirci che il cuore stesso è un muscolo..."

 

 
 
 
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INFERNO, CANTO V, VV. 127-138

Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lanciallotto, come amor lo strinse:

soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso

esser baciato da cotanto amante,

questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi baciò tutto tremante.

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante.

 

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