Creato da Solo_Vita il 10/08/2006

Angelo Ribelle

La Via Che Conduce All'Inferno E' Lastricata Di Buone Intenzioni? Piacere, Io Sono Il Pavimentatore...

 

 

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La Muta

Post n°206 pubblicato il 02 Novembre 2012 da Solo_Vita

Che poi nessuno lo capisce come va.
 
Cammini per la città, il passo lento di chi pur non avendo una meta intende celarlo al mondo. Gli occhi scivolano sulle inutili vetrine di un'Italia martoriata dalla crisi della terza settimana, ma non vedono oltre il naso.

Nelle narici odore di pizza cotta a legna, il viso è accarezzato dall'aria gentile di fine estate.
Il sole di tarda mattina pare incorniciare Arezzo nelle sue viuzze, nei viali alberati, nei palazzi storici. Con la stessa delicatezza si distende su arcigni figuri in travertino e sulle rughe che solcano il viso dei pensionati sulle panchine.
I temporali sono soltanto cento chilometri più in là, ma qui ancora è terra di shorts e tshirt colorate.

Si rubano baci i ragazzi sulle panchine adesso che è ricominciata la scuola. Alcuni fumano spavaldi sui motorini parcheggiati davanti agli istituti con le facciate rovinate dal tempo e condannate ad invecchiare a dispetto di quel popolo che li abita e rimane eternamente giovane.

Una signora esce dalla panetteria, tra mezz'ora il figlio sarà a casa per pranzo ed è perfettamente consapevole dell'enorme rischio di non potergli far trovare in tavola un bel piatto di spaghetti fumanti. Tutta colpa della vicina che l'ha trattenuta a chiacchiera sulle scale. Ma che brivido regala lo spettegolìo, irresistibile commentare la signora del terzo piano che ha delle corna note a tutti tranne che a lei. Mica serve per forza una vita propria, a volte basta anche quella degli altri.

Nel frattempo i tuoi passi si susseguono. Uguali, cadenzati, perfettamente sincronizzati alla velocità del mondo che trotta attorno. E' un meccanismo di mimetizzazione, perfetto camaleonte urbano.

Un vigile finisce di scrivere un verbale di divieto di sosta giusto un attimo prima dell'arrivo del signor -Lei non sa chi sono io-. Qualche istante dopo Mister Giaccaecravatta salirà a bordo del suv sbraitando e, dopo essere partito sgommando, chiamerà la moglie dicendo che arriverà in ritardo, per poi fare rotta verso il suo fornitore personale di coca. Tutto si risolverà per il meglio, leggero e sospeso come lo sbuffo del gesso sollevato da un bambino di fronte alla lavagna.
Odore di kebab adesso, misto al gasolio incombusto sparato fuori dallo scarico di una vecchia station col proprietario dalla faccia torva.

Anche la provincia delle lasagne alla domenica è diventata multietnica, non è più lei coi money transfer aperti sino alle undici di sera, sabato e domenica compresi.
-Una volta non sarebbe accaduto-, -Era meglio quando era peggio- subito c'è chi spara la sentenza. Echeggia sul lastricato che ricopre il centro storico, ci scivola sopra come una serpe pronta a mordere la lingua di chi osasse dissentire, per poi nascondersi in un capannello di teste poco distante.

Che poi alla fine la città è sempre quella. E poi ci siamo noi. Noi forse non siamo sempre NOI?
Quelli che giocavano a nascondino sino a mezzanotte nelle sere d'estate per poi andare di corsa a casa, delle infinite partitelle al pallone sfidando l'ira di chi aveva parcheggiato la macchina in zona, delle sigarette fumate di nascosto e dei videogiochi al bar della parrocchia con le mille lire scambiate in pezzi da duecento.
Noi che andavamo al mare tutto il mese d'agosto pur essendo in famiglie dove lavorava soltanto uno dei due genitori.
Bei tempi quelli in cui la regola era avere un solo padre ed una sola madre, non una moltitudine di comparse pronte a compensare amore mancante con un carnet di doni senz'anima.

Non siamo forse sempre noi?

Quelli che si emozionavano per una mano che ci sfiorava, che perdevano il sonno per sognare come sarebbe stato il primo bacio, che immaginavano cosa avremmo fatto la prima volta alla guida del motorino, in sella ad un cavallo che avrebbe permesso di dilatare di botto i confini del mondo conosciuto.

Ed ora eccoci.

Abbiamo una trentina d'anni, abbiamo smesso di scroccare le sigarette eppure spesso fumiamo ancora di nascosto.
Qualcuno ha una Bmw, altri un'Audi, molti hanno fatto un viaggio a Cuba e quasi tutti possiedono un Iphone e grandi occhiali scuri pronti a celare stati d'animo sconvenienti e poco opportuni.

Spesso non ricordiamo quanto fossimo belli quando tutte queste cose mancavano, autoconvinti come siamo che senza non potremmo vivere. Senza Visa, senza intimo D&G, senza questo enorme cratere al posto del cuore che negli anni abbiamo riempito di rifiuti come una discarica: letti sfatti, cicche, cravatte dal nodo malfatto, stravecchi bevuti alle dieci di mattina, galoppate autostradali sul filo dei duecentodieci, facce che si dissolvono nei ricordi annacquati di serate sopra le righe.

Ognuno con qualche scheletro dentro l'armadio che nelle sere ventose di novembre pare voler uscire tanta è la rabbia del sibilo sinistro suonato dalle stecche di legno delle imposte sfatte.

Feti di amori rimasti allo stato embrionale per colpa di aborti determinati dalla paura di lasciarsi andare, pronti a tormentare l'anima non appena qualcosa si allenta nel meccanismo perfetto che mantiene le giornate piene di impegni inutili. Chissà cosa sarebbe successo se...

Rimpinzati di futile da genitori bramosi di colmare nei figli le mancanze patite, eletti principi di case, villette, appartamenti e aziende di famiglia.
Educati ad amare così tanto noi stessi e così poco il prossimo, abbiamo un cassetto con stipate le foto che ci ricordano chi eravamo.
Un cassetto sempre chiuso, come il vaso di Pandora, ma col perpetuo rischio di deflagrare ogni qualvolta la piccola scheggiatura sul parabrezza si allarga un pò e diventa una crepa. Ogni giorno sempre più impercettibilmente grande. Ogni giorno scientificamente ignorata sino al momento dello schianto che travolge e inginocchia, come un'estate che sta per morire ma del cui stato nessuno si accorgerà sino a che non sarà troppo tardi. -Ah, è già inverno...-

Poi, di colpo, girato un angolo, il vuoto intorno.
 
Il silenzio portato dal vento amplificava l'eco della resa di quell'estate ormai esanime.
Gli ultimi rantoli rabbiosi bestemmiavano contro i grandi nuvoloni in arrivo da est, carichi di pioggia e di elettricità, aria fredda e giornate da trascorrere davanti al caminetto.
 
Tutto scorreva perfettamente uguale al giorno  precedente, ogni attore ed ogni comparsa avevano ormai perfetamente imparato il copione, qualcuno ormai addirittura riusciva ad abbozzare un sorriso mentre recitava.
 
Era uno splendido sabato mattino ad Arezzo, l'ultimo prima della fine dell'estate. Ricordo che stavo passeggiando in centro. Poi, il buio.

Giusto un attimo di cristallina felicità. 

Nessuno si era accorto di noi.
 
Buona fortuna.

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INFERNO, CANTO V, VV. 127-138

Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lanciallotto, come amor lo strinse:

soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso

esser baciato da cotanto amante,

questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi baciò tutto tremante.

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante.

 

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