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Angelo Ribelle

La Via Che Conduce All'Inferno E' Lastricata Di Buone Intenzioni? Piacere, Io Sono Il Pavimentatore...

 

 

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Parole

Post n°189 pubblicato il 21 Agosto 2010 da Solo_Vita
 

Parole, parole, parole.

Parole che scivolano come sabbia tra le mani, mentre una città timida si ripopola e si prepara all'imminente fine dell'estate, quasi fosse una sorta di rito collettivo al quale è obbligatorio partecipare.
I volti perdono colore giorno dopo giorno, i copioni delle giornate si fanno standard, i giri di amicizie tornano quelli di sempre senza inutili stravaganze esotiche. I centocinquanta chilometri che separano dal mare improvvisamente è come se fossero elevati alla seconda tanto sembrano insormontabili.

E' sempre così l'estate, come una bella donna che ti fa l'occhiolino, si fa invitare a bere e poi dice che ha mal di testa e scappa via lasciandoti in compagnia dell'ennesimo tuo film.
Sono ormai poco più che pulviscolo di stelle i ricordi di quelle estati bambine che duravano una vita, coi cartoni al mattino, le interminabili partite al pallone nel campetto della parrocchia, la mamma che chiamava a perdifiato dal balcone per far rientrare all'ora di cena.

Oggi è diventata cinica, spietata, veloce, non si innamora più come faceva una volta. Non facciamo più l'amore con quella porca dolcezza fatta di oscenità sussurrate.
Lei arriva, ammicca, riscalda prima l'aria e poi il cuore, per poi sparire nascosta tra le righe vuote di un sms che non arriva più.

Rimani così, impotente, ad osservare dall'alto le luci di questa città che non ti ha mai capito, coi suoi riti pagani fatti di aperitivi e cene che non hai mai adottato, le sue persone omologate a mode dettate dal negozio "in" e i pellegrinaggi nei locali preventivamente approvati dai tipi "giusti".

Sei stanco.

Ed anche fermamente convinto che l'assenza di amore e di sole siano quasi completamente sovrapponibili.
Il colorito si attenua, la vitalità è ridotta, diventa difficile difficile distinguere il momento del sonno da quello della veglia. Tutto si fa più complesso, macchinoso, innaturale.

A giugno tutto sembra eterno, indistruttibile, con l'inverno lontano mille anni e il tuo sogno da cavalcare senza difficoltà.
Ci sali davvero su quell'onda, ne godi la spuma, ti inebri del suo aroma salato, ti sembra quasi di poterla gestire, governare. D'un tratto però la tavola vibra sotto i tuoi piedi e tu ti trovi scaraventato in un ambiente ostile, innaturale, privo di ossigeno. Non sei nato pesce, ma uomo: non hai branchie, nè tantomeno pinne che possono farti tornare su. Ti devi dimenare sperando che la Vita possa notarti, gettandoti una cima per tornare su. Puoi urlare se vuoi, ma non servirà.

Arranchi un pò prima di renderti conto che a settembre i sogni finiscono, la realtà reclama il suo spazio e tu sei nuovamente solo a giocare alla vita.

Lei si è divertita come il gatto -sazio- col topo che viene torturato sino alla morte ma mai mangiato, al più esposto come trofeo di una caccia senza dignità. Tu preda impotente.

Vaghi così per una notte vuota di fine estate, immaginando i dialoghi delle coppie che trovi nelle altre auto lente per la città, senza meta come te ma piene di parole caricate di illusioni tipiche delle storie che nascono.
Ci saranno promesse, giuramenti, dichiarazioni destinate ad essere completamente stravolte, ma nel gioco è compreso anche questo. Tu lo sai.

Ti tornano alle mente le sue bugie così vere e trasparenti da sembrare di cristallo, le sue mani fatte di carezze ed il suo corpo coperto di baci infiniti.

Sorridi amaro: nonostante tutto basterebbe un suo cenno e tutto ricomincerebbe splendidamente da capo, ma non accadrà. La buona sorte talvolta si manifesta attraverso percorsi tortuosi, ogni peccato richiede sempre adeguata espiazione.

Buona fortuna.

"Più continuo a deridere te e la tua gente e più stai lì ad attendermi, come una donna stupidamente innamorata dell'uomo sbagliato. Sai che non ti voglio eppure anche stasera eccoti, avvolta nell'abito discreto di chi non ostenta, col trucco leggero fatto di poche luci al neon, col tuo Duomo arrampicato sulla punta del centro storico in paziente, secolare attesa di preghiere rubate alle imprecazioni di un popolo abituato da sempre a far lavorare molto più la testa del cuore. Anche stavolta però sono tornato...e tui sempre ad attendermi. -Cin Cin Arezzo- allora, sei rimasta una delle poche..."

 
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INFERNO, CANTO V, VV. 127-138

Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lanciallotto, come amor lo strinse:

soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso

esser baciato da cotanto amante,

questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi baciò tutto tremante.

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante.

 

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