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Stanotte ho saputo che c'eri ....

Post n°6 pubblicato il 03 Settembre 2014 da biancapellegrini
 

Stanotte ho saputo che c'eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d'un tratto, in quel buio, s'è acceso un lampo di certezza: sì, c'eri. Esistevi. È stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata. Mi si è fermato il cuore. E precipitare in un pozzo dove tutto era incerto e terrorizzante. Ora eccomi qua, chiusa a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri. E in essa mi perdo. Cerca di capire: non è paura degli altri. Io non mi curo degli altri. Non è paura di Dio. Io non credo in Dio. Non è paura del dolore. Io non temo il dolore. È paura di te, del caso che ti ha strappato al nulla, per agganciarti al mio ventre. Non sono mai stata pronta ad accoglierti, anche se ti ho molto aspettato. Mi sono sempre posta l'atroce domanda: e se nascere non ti piacesse? E se un giorno tu me lo rimproverassi gridando "Chi ti ha chiesto di mettermi al mondo, perché mi ci hai messo, perché? ". La vita è una tale fatica, bambino. È una guerra che si ripete ogni giorno, e i suoi momenti di gioia sono parentesi brevi che si pagano un prezzo crudele. Come faccio a sapere che non sarebbe giusto buttarti via come faccio a intuire che non vuoi essere restituito al silenzio? Non puoi mica parlarmi. La tua goccia di vita è soltanto un nodo di cellule appena iniziate. Forse non è nemmeno vita ma possibilità di vita. Eppure darei tanto perché tu potessi aiutarmi con un cenno, un indizio. La mia mamma sostiene che gliel'ho detto, che per questo mi mise al mondo. La mia mamma, vedi, non mi voleva. Ero incominciata per sbaglio, in un attimo di altrui distrazione. E perché non nascessi ogni sera scioglieva nell'acqua una medicina. Poi la beveva, piangendo. La bevve fino alla sera in cui mi mossi, dentro al suo ventre, e le tirai un calcio per dirle di non buttarmi via. Lei stava portando il bicchiere alle labbra. Subito lo allontanò e ne rovesciò il contenuto per terra. Qualche mese dopo mi rotolavo vittoriosa nel sole, e se ciò sia stato bene o male non so. Quando sono felice penso che sia stato bene, quando sono infelice, penso che sia stato male. Però, anche quando sono infelice, penso che mi dispiacerebbe non essere nata perché nulla è peggiore del nulla.

[Oriana Fallaci, Lettera a un bambino mai nato]

 
 
 

SIBILLA E DINO

Post n°5 pubblicato il 28 Agosto 2014 da biancapellegrini
 

Villa La Topaia – Borgo S. Lorenzo – domenica/lunedì – 6/7 agosto 1916

Dino,

Perché non ho baciato le tue ginocchia?
Avrei voluto fermare quell’automobile giù per la costa, tornare al Barco a piedi, nella notte, che c’è il tuo petto per questa bambina stanca. Tornare. Come una bambina, questa del ritratto a dieci anni. Non quella che t’ha portato tanto peso di storie di memorie affannose, che t’ha parlato come se stesse ancora continuando il suo povero viaggio disperato, come se non ti vedesse, quasi, e non vedesse lo spazio intorno, le querele, l’acqua, il regno mitico del vento e dell’anima. Tu che tacevi o soltanto dicevi la tua gioia. Sentivi che la visione di grandezza e di forza si sarebbe creata in me non appena io fossi partita? Nella tua luce d’oro. E non ho baciato le tue ginocchia. I nostri corpi su le zolle dure, le spighe che frusciano sopra la fronte, mentre le stelle incupiscono il ciclo. Non ho saputo che abbracciarti. Tu che m’avevi portata cosi lontano. Che il giorno innanzi ascoltavi soltanto l’acqua correr fra i sassi. Oh, tu non hai bisogno di me! È vero che vuoi ch’io ritorni? Come una bambina di dieci anni. È vero che mi aspetti? Rivedere la luce d’oro che ti ride sul volto. Tacere insieme, tanto, stesi al sole d’autunno. Ho paura di morire prima. Dino, Dino! Ti amo. Ho visto i miei occhi stamane, c’è tutto il cupo bagliore del miracolo. Non so, ho paura. È vero che m’hai detto amore! Non hai bisogno di me. Eppure la gioia è cosi forte. Non posso scriverti. Verrò il 19. dovunque. Il 14 resterò qui; a Firenze andrò poi per un giorno. Son tua. Sono felice. Tremo per te, ma di me son sicura. E poi non è vero, son sicura anche di te, vivremo, siamo belli. Dimmi. Io non posso più dormire, ma tu hai la mia sciarpa azzurra, ti aiuta a portare i tuoi sogni? Scrivimi.

Sibilla 

 
 
 

In un'auto presa in prestito

Post n°4 pubblicato il 26 Agosto 2014 da odio_via_col_vento

 

 

In un'auto presa in prestito, di recente, c'era questo biglietto un po' spiegazzato.
Come se chi l'aveva ricevuto (o trovato), l'avesse prima appallottolato per buttarlo via, contagiato forse dalla rabbia che traspare attraverso le parole.
E poi avesse deciso invece di conservarlo, stirandolo un po' con le mani, per rileggerlo, forse percependone l'amore che sta alla base dello sfogo.
Spero non per recriminare.

Ma in amore c'è anche questo: ci sono anche questi sfoghi di gelosia, queste arrabbiature improvvise, queste difficoltà a superare qualcosa che accade e che, a torto o ragione, percepiamo come un attacco alla nostra dignità.

C'è chi riversa gelosia e rabbia come un torrente in piena, attraverso tante parole, grida, pianti e scene madre.
Chi invece parla appena, una frase che esce tagliente e sottile come un sibilo. Magari appena colorita di dialetto, sì, perché non puoi certo stare a censurarti o a paludarti nel momento in cui l'emotività ti sopravanza.

Ed è comunque amore. 
Sentirsi feriti da chi si ama. Ma anche amare se stessi con una consapevolezza del proprio valere come individuo e come attore della scena.

Speriamo che avere conservato questo biglietto significhi che poi un chiarimento è avvenuto, che qualcuno ha fatto ammenda, che è tornato il sereno.

 

 
 
 

L'ultima lettera di Nicola Sacco al figlio Dante

Post n°3 pubblicato il 24 Agosto 2014 da SandaliAlSole
 

Credo di non conservare lettere d'amore, né di averne scritte di così pregevoli da essere conservate da altri. A distanza, ma credo che questo sentire non sia solo mio, le ho sempre trovate quasi imabrazzanti. O forse era semplicemente la distonia del sentire tra un tempo e un altro.
In ogni caso porto il mio piccolo contributo. E lo faccio con un testo che la data rende non casualmente scelto. Nella notte del 23 agosto del 1927 Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti furono giustiziati per un delitto che non avevano commesso. Toccanti le loro lettere dal carcere. Questa è l'ultima, scritta da Nicola a suo figlio, due giorni prima della morte. Credo che valga quanto una lettera d'amore...

Mio caro figlio e compagno,
sii forte per poter consolare tua madre, e quando vorrai farle dimenticare la scoraggiante solitudine voglio dirti quel che facevo io. Portala a fare una lunga passeggiata in campagna, cogliete qua e là dei fiori selvatici, riposatevi all’ombra degli alberi. Sono certo che lei ne godrà e anche tu sarai felice.
Ma ricordati sempre, Dante, nel gioco della felicità, non prendere tutto per te, ma scendi un gradino e aiuta i deboli che chiedono soccorso, aiuta i perseguitati e le vittime perché sono i tuoi migliori amici…In questa lotta della vita troverai molto amore e sarai amato.

 

 
 
 

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Post n°2 pubblicato il 23 Agosto 2014 da occhiodivolpe2

aggio ditto a 'o core .....
Post n°1564 pubblicato il 18 Luglio 2014 da occhiodivolpe2

Aggio ditto a 'o core
ca nun v
e voglio bbene ,
ca mme ne vulesse ì 
addò nun penzo a vvuje ...

aggio ditto a 'o core
ca voglio stà cuieto ,
guardarme 'e piére stiso
e 'mmano 'nu cafè ...

aggio ditto a 'o core
'e me scurdà 'e vuje ,
'e me cercà a n' ata
ca mme vulesse bbene ...

aggio ditto a 'o core
ca tutto passa e va ,
pure l ammore vuosto
putesse ì a fernì ...

ma tengo 'nu penziero
ca 'a notte dinto 'o lietto
po' me sentesse sulo
senza 'e ve puté abbraccià ...

ma tengo 'nu penziero
'e tutte chille juorne
ch' ammo passato assieme
e annanze all' uocchie vèneno ...

ma tengo 'nu penziero ...
ca nun vulesse maje
stà sulo senza 'e vuje
a mme piglià 'o ccafè .

 
 
 
 
 

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