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2. TOPOLINI, FORMAGGIO E CAMBIAMENTO

Post n°41 pubblicato il 04 Febbraio 2011 da francescalc.mi
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PERCORSO ATTRAVERSO LA SIMBOLOGIA NELLA FIABA CHI HA SPOSTATO IL MIO FORMAGGIO

La splendida fiaba di Spencer Johnson è una metafora dei vari atteggiamenti che gli individui assumono rispetto al cambiamento. C’è chi, guidato dall’istinto come Sniff, si avvia verso nuove soluzioni, chi come Scurry si attiva immediatamente all’azione, chi come Hem rifiuta il nuovo e chi come Haw, dopo un breve periodo di elaborazione, si muove verso ciò di cui sente necessità. Il formaggio rappresenta infatti il bisogno soggettivo di ciascuno e può riguardare qualsiasi sfera della vita di una persona: professionale, affettiva, sociale. In realtà, come ben sottolinea l’autore, i quattro personaggi possono anche descrivere, nel loro insieme, la complessità della personalità individuale e quindi, in questo senso, le modalità diverse che uno stesso soggetto mette in atto in ambiti differenti della sua vita o in tempi diversi della sua esistenza. Per quale ragione ai due ometti vengono affiancati dei topolini? Perché i roditori sono animali e quindi esseri guidati dalla proopria natura istintuale, viscerale, la quale, se non deve mai sostiture la cognizione razionale, di certo è auspicabile che sia in armonia con essa. Testa, cuore, pancia. La capacità di percepire le informazioni, raccolte in ogni distretto del nostro organismo, è sempre guida preziosa e veritiera nel percorso della nostra vita, specie nei momenti di dubbio o conflitto. In questi casi la ricerca spasmodica di un risolvimento, conforme alla sola ragione, può creare ulteriore confusione. Meglio fermarsi, guardarsi dentro. Ascoltare. Sarà più facile trovare una soluzione fedele a ciò di cui autenticamente abbiamo bisogno. La vita, nella fiaba è metaforcamente descritta come un labirinto, vale a dire una struttura architettonica estremamente complessa, composta da un'intricata sequenza di ambienti in cui risulta particalmente ostico orientarsi. Si tratta di una visione logocentrica dell'esistenza, in cui il ragionamento, la ratio, rappresentano le linee guida per districarsi nei menadri della vita. Nessuna sorpresa. Si tratta di una concezione antichissima, che affonda le sue radici nella cultura egizia, poi greca (si pensi al viaggio iniziatico di Teseo a Cnosso) e confluita infine nella spiritualità cristiana, in cui la redenzione è premio alla volontà umana di uscrire da una labirintica stroria di peccato senza direzione, né centro alcuno. Agli inizi del secolo scorso, qualcosa cambia. Il relativismo riaffiora in ogni ambito del sapere, scientifico (Einstein), letterario (Pirandello), artistico (surrealismo, astrattismo) si fa strada la convinzione che non esistano verità assolute a cui poter giungere attraverso un valido sforzo del pensiero. Wiettgenstein è tra i primi a sostenere che ogni nostra consapevolezza del mondo è frutto delle nostre percezioni e dunque soggiacente alla soggettività umana. Il labirinto assueme allora una connotazione diversa. Diviene zona ombra della coscienza (Freud), accessibile e sondabile solo parzialmente e non necessariamente con l'unico ausilio della ragione (es. sogni). Il labirinto di Johnson è un'esasperazione del concetto secondo cui l'esistenza va affrontata di petto. La vita ma morsa e , non a caso, lla capitale del mondo occidentale, è ancora per qualche tempo almeno, è la Grande Mela. Movimento e Celeberrimo il viaggio di Teseo nel labirinto di Cnosso è percorso iniziatico volto a sconfiggere il Minotauro, la Bestia famelica a cui venivano sacrificate le giovinette, producendo la rinascita di Creta.

QUANDO IL CAMBIAMENTO PARALIZZA… QUANTE COSE RIUSCIREMMO A FARA SE A DOMINARCI NON FOSSE LA PAURA Ci sono cambiamenti che auspichiamo e cambiamenti che volentieri eviteremmo, ma che le circostanze ci costringono ad attuare. In entrambi i casi, quando subentra la paura rimaniamo bloccati, veniamo sommersi da pensieri catastrofici e, qualche volta, da crisi psicosomatiche (dagli attacchi d’ansia, alle reazioni allergiche, il nostro organismo è molto creativo…). Che fare dunque?? Come muoversi?? Proviamo a trovare delle risposte… Il cambiamento fa parte della vita. Nulla rimane invariato, il che, per alcuni aspetti, è rassicurante. Quando le cose vanno tragicamente male, possiamo consolarci, sapendo che niente è immutabile… Certo è, che quando siamo sereni o semplicemente quando cambiare ci incute timore, vorremmo che questo dato di fatto non fosse così vero. La cosa migliore che possiamo fare quando paura ed impasse (… sì perché la paura blocca l’azione) hanno il sopravvento, è – in primis – fermarci a riflettere sui motivi della nostra ansia.

LE RAGIONI DELLA NOSTRA PAURA 1 INUTILE NEGARLA Spesso i manuali o gli articoli che si occupano dell’argomento tendono a motivare la persona a guardar oltre, a non farsi prendere dal timore, anche la favola di Johnson sembra in alcuni tratti sottendere questo concetto. Crediamo invece che alla paura - così come ad ogni altra emozione che l’organismo manifesta – sia fondamentale dare ascolto. Per chiarire: come è possibile intraprendere un viaggio importante senza prima controllare che ogni componente dell’auto con cui lo affrontiamo sia nelle condizioni ottimali per condurci alla meta? Le emozioni negative sono segnali che l’organismo invia e che pertanto meritano attenzione. Più conosciamo della nostra “macchina”, più possibilità avremo di muoverci in tranquillità. E se poi ascoltandoci scopriamo che a dominarci è la paura? Che cosa la determina? Esistono più risposte al quesito 1. Alla base del timore a fare ci può essere un’ insufficiente autoefficacia. Con questa definizione si fa riferimento alla scarsa convinzione circa la nostra capacità di saper metter in atto i comportamenti adeguati in una situazione data. In altre parole riguarda la persuasione di non saper gestire in modo opportuno le eventuali difficoltà che si potrebbero palesare. Quando fin da piccoli in famiglia si respira una sorta di timore rispetto all’ambiente circostante o quando le figure significative dell’infanzia si sostituiscono regolarmente al bambino nella certezza che non è in grado di farcela da solo, egli sviluppa idee disfunzionali riguardo alle sue potenzialità, convincimenti del tipo: “da solo, non sono capace”. Inoltre, non mettendo mai in atto le sue risorse, non si permette di accrescerle, di affinarle e ciò – come in un circolo vizioso – alimenta il senso di impotenza. 2. La paura di agire può altresì essere causata da eventi traumatici che hanno segnato l’esistenza e che hanno “bloccato” la persona rendendola insicura. 3. Anche il conflitto psicologico causa resistenza al cambiamento. Come se, nel profondo alcuni individui alimentassero una contrapposizione tra la tendenza spontanea al fare ed una altrettanto forte a rimanere nell’immobilismo. Tale dinamica origina dal copione di vita, in particolare dalle decisioni inconsce che il soggetto ha preso fin da piccoli circa quale debba essere il suo destino (rimanere solo, non abbandonare qualcuno, evitare di crescere, di avere successo, di entrare in intimità..) Se la nostra difficoltà rispetto al cambiamento ci procura un disagio paralizzante ed in grado di compromettere seriamente la vita quotidiana e la salute, un breve percorso terapeutico di crescita personale può adeguatamente risolvere il problema. Attraverso il lavoro con il terapeuta è possibile infatti far emergere i motivi effettivi del blocco e procedere alla costruzioni di nuovi schemi cognitivo- affettivo più adattivi. Quando invece il nostro timore rispetto al cambiamento è meno debilitante, è importante che da noi stessi acquisiamo consapevolezza ed impariamo a rispettare e a prestare ascolto alla nostra paura. Conoscerne natura e confini ci consente di capire da dove partire per affrontare il nuovo con successo.

TOPOLINI, FORMAGGIO E CAMBIAMENTO IL PUNTO DI PARTENZA Uno dei racconti più geniali riguardo a questo tema è il bestseller dal titolo “Who moved my cheese?” da cui è stata tratta e rielaborata la fiaba di questo libro. Secondo l’autore i topolini, guidati dal puro istinto, trovano la soluzione. Le personcine al contrario rimangono bloccate da pensieri ed emozioni. A tale proposito Johnson scrive “the two littlepeaple (…) used their complex brain, filled with beliefs and emotions, to search for a very different kind of cheese (…) beliefs and emotions took over and clouded the way they look at things. (Le due personcine (…) usavano il loro sofisticato cervello, pieno di molte convinzioni ed emozioni, per cercare un diverso tipo di formaggio (…) convinzioni ed emozioni assumevano il controllo ed offuscano il modo a cui guardavano alle cose). Certo, i pensieri disfunzionali - vale a dire quelle convinzioni non oggettive, ma basate su stereotipie mentali, su razionalizzazioni erronee e paure che non trovano affatto riscontro nella realtà – inficiano la nostra capacità di giudicare le situazioni e condizionano di conseguenza il comportamento in modo negativo. Tuttavia siamo in disaccordo con Johnson nell’associare tali convincimenti alle emozioni. Sensazioni, emozioni e sentimenti non appartengono alla sfera razionale della nostra psiche, bensì all’intuizione, vera “intelligenza dell’organismo” (F. Perls). Lo si ribadisce. Il fatto stesso di percepire un’emozione seppur spiacevole, qualsiasi essa sia (rabbia, paura, tristezza, vergogna, impotenza...), ha valore perché, per suo tramite, l’organismo ci sta manifestando un disagio. Passare oltre, non soffermacisi, non dare ascolto a ciò che accade dentro di noi, non è affatto una modalità funzionale al cambiamento. Viceversa, essere in contatto col proprio organismo ci permette di distinguere cosa ci procura tale emozione, quale significato essa abbia e l’assunzione piena di questa consapevolezza fornirà ottime indicazioni su COME muoverci verso il nostro obiettivo. Per evitare di rimanere in ambito puramente teorico, si immagini il caso di una persona che teme il volo. E’ probabile che svilupperà convinzioni disfunzionali nell’imminenza della partenza “se non riesce il decollo? se l’aereo precipita? Se mi viene un attacco d’ansia per via della claustrofobia? Se ci sono turbolenze forti?...” Questi sono pensieri disadattivi, infatti non tengono conto del dato di realtà (le possibilità di catastrofe sono irrisorie - e pari a quelle a terra! - alla mia ansia posso imparare a far fronte...) e inibiscono l’azione. Tali convincimenti disadattivi sono correlati ad emozioni (ipotizziamo di acuto timore, di impotenza...) e sensazioni fisiche (sintomi neurologici e neurovegetativi quali dispnea, tachicardia, insonnia…) che, se non ascoltate, se rimosse, è probabile che si attiveranno una volta in aereo, producendo conseguenze quali il classico (e spiacevolissimo!) attacco di panico. Se siamo noi quel passeggero, è presumibile che in futuro non ripeteremo l’esperienza tanto facilmente, convincendoci una volta di più di quanto terrificante sia volare. Il che significa alimentare ulteriormente le nostre convinzioni disfunzionali. Che fare? DAR SENSO AL PROPRIO VISSUTO Cosa mi sta succedendo? Cosa sto provando? E soprattutto: come posso farvi fronte? Dare risposta a queste domande rappresenta il primo passo per affrontare il cambiamento in modo adeguato.

ULISSE, IL SERF ED I PASSI VERSO L’AZIONE Johnson ritiene che la capacità di adattamento al continuo mutamento dell’esistenza sia un requisito indispensabile per sopravvivere. In quest’ottica i due topolini, che cominciano ad annusare e correre nel labirinto, non appena scoperta la sparizione del formaggio, adottano la strategia migliore. C’è del vero. Saper stare nel qui e ora di quanto ci accade, tener ben saldo il volante della nostra metaforica vettura per indirizzarci nella direzione migliore è un validissimo punto di vista. Per cui, traduciamo volentieri il consiglio di Johnson in regola: 2 STARE CENTRATI SU QUANTO ACCADE NEL PRESENTE (DEL PASSATO NON SI PUO’ DISPORRE E SUL FUTURO NON E’ DATO INTERVENIRE) Ma che c’entra Ulisse con tutto ciò? Secondo F. Julien, l’astuzia e l'abilità dell’uomo Ulisse consistevano nel saper individuare i lati favorevoli della situazione per poi trarne frutto. Il che significa rimaner vigili ed attenti rispetto a quanto ci accade dentro ed intorno. 3 ASCOLTARE E DAR SIGNIFICATO ALLE NOSTRE SENSAZIONI/EMOZIONI Se siamo distratti dalle nostre ipotetiche strategie mentali o siamo assorbiti in congetture circa il passato o il futuro, rischiamo di perderci i vantaggi, sfruttabili, del presente. Ancora. Gli antichi greci avevano identificato in Metis la dea del fiuto. Zeus l'aveva fatta sua sposa e poi divorata per impossessarsi della sua dote... ed in effetti trattasi di qualità divina! Saper fiutare attorno, saper surfare (Julien) la vita, saper cogliere ciò che di positivo avviene per trarne beneficio e ciò che vi è di negativo per poterlo rimuovere ove possibile, è il modo migliore per avviare saggiamente il cambiamento. E saper riconoscere ciò che per noi è nutriente o velenoso implica, al contempo, il sapersi ascoltare. Questo concetto non pare corrispondere alla flessibilità così come la descrive Johnson, secondo cui essere adattabili al cambiamento sembra significare sapersi gettare di corsa nel fare, essere assolutamente plasmabili, duttili e pronti ad ogni modificazione ambientale e… the sooner the better, il prima possibile (così fanno i due topini Sniff e Scurry). Il concetto espresso da Julien è, a nostro avviso, più sottile: Immaginiamo di aver individuato l’esigenza di intraprendere un cambiamento. Immaginiamo poi di aver ascoltato quali emozioni proviamo rispetto a tale novità. Immaginiamo ancora che esse siano di timore. Immaginiamo di avergli dato autenticamente ascolto e di aver scoperto che alla base vi sia la nostra convinzione di non saper dominare ciò che accadrà. Infine immaginiamo… di non saper come gestire le emozioni di paura emerse e quanto abbiamo capito di esse!!: A volte rimanere nella confusione è più saggio che intraprendere immediatamente un’azione “Se riesci a diventare consapevole di ogni volta che entri in uno stato di confusione, è proprio questo il fattore terapeutico. E anche in questo caso, è la natura a prender in mano la situazione. Se capisci questo e resti con la tua confusione, la confusione si dissolve da sola. Se invece cerchi di dissolverla, pensi come potresti farlo, se mi chiedi una ricetta per farlo, non fai che aggiungere confusione alla confusione.” (Perls). S'intenda, non intendiamo certo fare un elogio dell’immobilismo, riteniamo però che agire con troppa rapidità possa, in talune circostanze, essere controproducente. Pensiamo però che muoversi secondo il proprio ritmo personale sia invece la mossa più appropriata. Kenneth Blanchard nella prefazione di “Who moved my cheese?” scrive: “While in the past we may have wanted loyal employees, today we need flexible people who are not possessive about the way things are done around here” And yet, you know, (…) the changes occurring all the time at work or in life can be stressful, unless people have a way of looking at change that helps them understand it.” (Se in passato venivano richiesti dipendenti fedeli, attualmente ciò che cerchiamo è la flessibilità nelle persone, gente non possessiva circa la propria posizione. E ancora, si sa, (…) il cambiamento che capita in ogni momento della vita professionale e privata può essere stressante se gli individui non guardano ad esso in modo da capirlo. Il quadro descritto da Blanchard è davvero puntuale e realistico. Purtroppo, aggiungiamo noi. La società attuale plaude all’abilità di adattarsi all’incertezza (professionale, affettiva, pubblica), ma questo non significa che ciò sia necessariamente un progresso. Tale vorticoso dinamismo sociale, che è di fatto realtà, non avvantaggia l’uomo e la qualità della sua esistenza. Se è pur vero che vivendo in questo contesto è importante saperci “navigare”, è altrettanto doveroso riportare al centro la persona, rispettandone le dinamiche organismiche e tener dunque in debito conto: il bisogno della natura umana, teso ad un minimo di stabilità i tempi fisiologici necessari all'organismo per effettuare il cambiamento. HAW ED HEM – COME MUOVERCI VERSO IL CAMBIAMENTO Riassumendo: per effettuare un cambiamento efficace e duraturo, è utile “ascoltarsi” al fine di individuare quali siano gli eventuali blocchi emotivi che ci impediscono di procedere in direzione dell’obiettivo e provvedere a smuoverli poter assumere consapevolezza dei nostri schemi cognitivi disadattivi per innescarne di nuovi più funzionali rimanere vigili nel qui e ora, centrati sul presente, per poter cogliere quanto di positivo ed allontanare, nelle nostre possibilità, quanto di negativo notiamo attorno a noi rispetto al cambiamento che vogliamo intraprendere Con questo bagaglio di consapevolezze siamo pronti a muoverci…come? 4 SEGURE IL FLUSSO Riteniamo che non vi sia una strategia valida per tutti. Di più. Riteniamo che pianificare una strategia non sia la scelta più saggia: Immaginiamo di pensare in astratto ai passi da compiere in vista dell’obiettivo. Di farlo con cura e scrupolosità (esistono fior di manuali ed articoli anche su questo tema). E poi di iniziare ad attuare tale strategia nella pratica. La realtà in cui ci troveremo ad agire non potrà mai corrispondere a quella ipotizzata. Gli imprevisti, gli inconvenienti ci costringeranno a modificare, adattare, rallentare o accelerare il nostro progetto iniziale. Se siamo fortunati, la nostra astrazione sarà attuabile. Ma esiste la non remota possibilità di andar incontri a delusioni e frustrazione qualora non lo sia. Quante volte abbiamo infatti sentito ripetere la frase “che sfortuna, non doveva andare così”. E’ probabile che la fortuna c’entri relativamente: siamo abituati a mettere a punto strategie a priori, vale a dire a formulare un’esatta immagine della situazione in cui andremo ad attuare il piano, basandoci sull’implicita presunzione di poter esercitare il controllo su ciò che avverrà senza renderci conto che il fallimento non è dato dalla sfortuna, bensì dall’essere partiti da questa prospettiva fuorviante: forse è meglio realizzare che, sugli eventi della vita, il controllo che possiamo esercitare è assai ridotto... Esistono modalità alternative di gran lunga più efficaci. Un esempio. Se ci limitassimo a rimanere centrati su noi stessi e sull’ambiente circostante; se prestassimo attenzione e prendessimo coscienza dei nostri timori per poter dar loro risposta adeguata, potremmo disporre di una serie di risorse estremamente valide e bastanti ad intraprendere il viaggio verso il cambiamento, sperato o necessario. Allora, qualsiasi cosa accadrà, la centratura su ciò che avviene in noi ed attorno a noi, ci farà essere accorti e capaci di muoverci seguendo il flusso in modo adeguato. Qualsiasi ostacolo o pericolo, reale o immaginario incontreremo, la consapevolezza circa le nostre paure e le nostre potenzialità ci favorirà nel superarli. Seguire il flusso dunque... facile a dirsi… ma anche a farsi! Riflettiamoci con l’aiuto di un esempio: alla guida dell’auto è perfettamente inutile che ci si concentri sulle curve che si dovranno affrontare a 200km dalla tangenziale in cui ci si trova al momento. Rimanere nel presente, vigili e pronti rispetto a ciò che sta accadendo ora in tangenziale (magari prestando attenzione al traffico attorno a noi!), questo solo ci permetterà di arrivare sani e salvi alle curve fatidiche. Se siamo altrove rispetto a quanto accade, se siamo “avanti” rispetto a ciò che stiamo vivendo ( o anche proiettati indietro!), possiamo distrarci rispetto a quello che nel qui e ora sta succedendo, e QUESTO può essere fatale. Stare nel flusso significa evitare che ciò accada. 5 FIDARSI DI SE STESSI Fidarsi di se stessi, delle proprie risorse, ma anche conoscere i propri limiti è una maniera ottimale per affrontare il cambiamento. Torniamo all’esempio della guida. Se impariamo a conoscere la nostra auto, a riconoscerne punti di forza e debolezza, ciò renderà certo più sicuro il nostro viaggio. Essere consapevoli circa quel problemino ai freni della nostra vettura può salvarci la vita! Non conta che la vettura sia vecchia o nuova, potente o meno, conta che, qualunque auto sia, il conducente ne conosca ogni segreto. Questo lo porterà tranquillamente a destinazione. Lo stesso vale per il nostro organismo. 6 MUOVERSI A MODO PROPRIO La bella favola di Johnson è costruita sulle diverse modalità con cui i due topini e le due personcine affrontano il cambiamento quando viene sottratto loro il formaggio. L'autore ha proprio ragione. Che ci piaccia o no, non ci è dato di rimanere comodi ad impigrirci nella buona sorte… prima o poi il formaggio, come qualsiasi cosa ci stia a cuore, può venir meno, il che ci costringerà a dover cambiare e ricercare altrove ciò di cui necessitiamo. Se Scurry, il primo topolino, indossa pronto le scarpette da ginnastica e comincia a correre nel labirinto, se Sniff inizia a percorrere i corridoi sconosciuti annusando in giro per orientarsi verso il suo obiettivo, le due personcine, in modo particolare Hem, hanno reazioni che Johnson in parte o totalmente non sembra reputare congeniali al raggiungimento della meta. Prima osservazione. Entrambi si sono fatti trovare impreparati: nessuno dei due aveva notato che il formaggio da giorni scarseggiava. Rimanere vigili significa aver occhi per guardare. Capita sovente che non si utilizzi questa risorsa di cui tutti disponiamo. Eppure, se ce ne servissimo, potremmo evitare il panico di dover effettuare il cambiamento all’improvviso, il che può essere destabilizzante. L’autore descrive efficacemente le reazioni dei due. Hem non si muoverà mai dalla sua postazione, convinto che il formaggio gli debba essere restituito e spaventato dal dover vagare in un territorio a lui ignoto come il labirinto. Haw, dopo aver analizzato la situazione a lungo… “finally one day began laughing at himself. “Haw, Haw, look at us. We keep doing the same things over and over again and wonder why things don’t get better” (…) He asked Hem “where did we put our running shoes?” (finalmente un giorno Haw cominciò a ridere di se stesso. “Haw guarda come siamo messi. Continuiamo a fare le stesse cose sempre allo stesso modo e ci meravigliamo che la situazione non migliori” (…) Haw chiese a Hem “dove abbiamo messo le nostre scarpette da corsa?”). Da quel momento in poi, prima con riluttanza e paura e poi sempre più confidente, egli andrà alla ricerca del formaggio fino a che lo troverà.

COME EFFETTUARE IL “DECOLLO”? Chi dei quattro personaggi ha attuato la scelta migliore? Chi è stato più saggio? Scurry, che è passato subito all’azione cominciando a correre nel labirinto senza pensare? Sniff, che ha seguito l’istinto fino al formaggio? Haw, che dopo lunghe analisi, pur spaventato, ha seguito gli altri? Hem, che è rimasto a protestare barricato nella postazione, aspettando che il formaggio in futuro ricompaia? Ciascuno di noi ha una sua risposta a tali quesiti. Ed ogni risposta è legittima. Ognuno ha diritto a muoversi secondo la propria indole: Johnson giustamente sottolinea che le elaborate analisi di Haw gli hanno fatto perdere solo tempo (la descrizione dei meccanismi mentali della personcina è mirabile!). Alla fine ha dovuto assumere consapevolezza circa le origini delle sue paure e, sulla base di tale consapevolezza, muoversi comunque nel labirinto. Ancora Johnson è nel giusto quando descrive Scurry e Sniff - che per primi arrivano a trovare una nuova scorta di formaggio – come i più sagaci tra i quattro protagonisti. Infine Johnson ha ragione quando suggerisce che il comportamento di Hem - tutto preso a lamentarsi ed imprecare perché “It’s not fair!” “Non è proprio giusto!” - non lo condurrà al nuovo cibo, può solo confidare che qualcosa, indipendentemente da lui, accada. Se è dunque vero che ognuno ha diritto a muoversi secondo i propri tempi e la propria indole, ciò deve accadere: 7 A PATTO CHE CI SI ASSUMA LA RESPONSABILITA’ DI CIO’ CHE SI SCEGLIE. Il termine inglese responsability come amava precisare Perls, deriva da response ability, capacità di risposta. E’ importante che ciascuno di noi, si muova verso il cambiamento nella maniera che ritiene più confacente alla sua attitudine, perché ciò che conta è la “capacità di essere quel che si è”, senza dover adottare una modalità comportamentale perché “è la più giusta (per altri)”, perché “sarebbe opportuno”, perché “da vincente”, perché “si deve” o ancora per essere accettato, per paura di essere respinto, per ricevere riconoscimento... sono tutte zavorre!! Se le portiamo con noi saremo già carichi all'inizio del viaggio. Bene. Eppure è altrettanto importante essere consapevoli che, qualsiasi sia la nostra personale scelta circa il come muoversi, essa è anche una NOSTRA PERSONALE RESPONSABILITA’. La fortuna, il destino, il fato non c’entrano nulla. E allora spazio al silenzio. Al vuoto fertile. All’ascolto di quanto accade dentro. Amorevolmente, disposti ad “accogliersi” e muoversi in modo naturale, seguendo il flusso di quanto accade dentro e fuori di noi 8 IO SONO QUELLO CHE SONO (Perls) E decido di evolvere al mutamento a modo mio o persino di rimanere immobile assumendomene la responsabilità ed accettando le conseguenze. Questo il primo grande “cambiamento” , un cambiamento di prospettiva. Forse alla fine del viaggio avremo trovato ciò di cui abbiamo necessità… forse altro, che non avevamo contemplato, ma che si può rivelare altrettanto nutriente per noi… di certo ogni viaggio porta a qualcosa di nuovo. A tale proposito, in chiusura, la bella introduzione della favola, scritta da A.J. Cronin

Life is not and easy corridor along Which we travel free and unhampered, But a maze of passages, Through which we must seek our way, Lost and confused, now and again Checked in a blind alley. But always, if we have faith, A door will open for us, Not perhaps one that we ourselves Would ever have though of, But one that will ultimately Prove good for us.”*

*La vita non è un corridoio dritto e semplice da percorrere liberamente e senza ostacoli, ma un labirinto di passaggi, attraverso cui dobbiamo cercare la nostra strada, persi e confusi, in continuazione, verificando anche i vicoli ciechi. Ma sempre, se abbiamo fiducia, una porta prima o poi si apre per noi, non forse quella che speravamo, ma una che, alla fine, si rivela essere buona per noi.”

 
 
 
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