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Lettere di don Sante - 1

Post n°99 pubblicato il 25 Marzo 2013 da stefano.caldiron
 


cari amici,
in questi giorni, l'orrore a volte si faceva vivo, e mi veniva a trovare, in sogno, spesso, e, soprattutto, sempre nella mia amata solitudine.
Mi accompagnava, poi, anche nelle strade, nelle strade che mi portano a contatto con i miei simili.
Ma anche la medicina del silenzio mi era preclusa, perché lì, dove soglio trovare la pace, dove comunque appare prima o poi, ma sempre presto, la luce della gioia, ovvero nel silenzio, lì, ancor più, si manifestava l'orrore.
In sogno lo affrontai, e per quanto non piacevole, ha comunque una rapida fine: prima o poi, infatti, ci si sveglia, e, anche nel sogno stesso, la luce era indubitabile, e soccorrevole.
Ma la medicina, la cura, mi sembrava preclusa.
Ebbi a capire, infine, dato che in sogno mi apparvero le persone che mi fecero a suo tempo del male, e che mi accompagnavano nei pensieri quando ero solo; ebbi a capire che questo male, questo odio, aveva preso dimora dentro di me, e che queste persone si rafforzavano del mio soffrire. E capii che anch'io odiavo, che avevo preso a odiare loro, al pensiero di quanto male mi avevano fatto. E ancora mi facevano del male, molto male, in quanto questo cattivo pensare mi indeboliva, mi incattiviva. Rendeva inutile il mio tempo, e, per finire, mi prostrava il corpo stesso. Sottraeva la mia vitalità, sfiniva la mia carne.
E capivo quanto si alimentavano ancora di me, dopo essersi così tanto alimentati. Generando, ora, in me, confusi e sordi desideri di vendetta, o di sola rivalsa.
E allora, dopo avere ancora sofferto e meditato, ho ricordato che dovevo perdonare. E perdonare è difficile, sempre più difficile quanto più si ha chiaro quanto si ha sbagliato, ad amare chi non lo merita: perché, di questo, la colpa è solo nostra. Era solo mia.
Solo mia fu la colpa di dare le cose sante ai cani. Di credere alle lusinghe di chi mi faceva sorrisi falsi, di chi mi blandiva con continue promesse, mai mantenute. E, mio, l’errore di continuare a crederci, nonostante le evidenti stonature. Per quanto nascoste e subdole. Mia la colpa, mio l'inganno.
Mio, soprattutto, l'orgoglio di non ammettere subito di avere sbagliato.
Tanto più grande è l’errore, tanto più e difficile ammetterlo, a sé stessi. E questa volta, le aspettative erano grandi, ed enorme era lo sforzo profuso, l’investimento in vita, in affetti.
Certo, ricordai che dovevo perdonare, conoscevo il meccanismo, mi era chiaro; ma non funzionava. Perdonavo, sì, volevo smettere di odiare, ma l’orrore comunque mi circondava. La gioia era lontana, la serenità quasi nemmeno un ricordo.
Mi arrovellai quindi a lungo, a cercare una via d’uscita, una chiave per realizzare ciò che tanto mi era stato, prima, facile, e immediato, e spontaneo, naturale.
Il mio cuore era gonfio d’odio? Forse. Ma non credo, poiché, comunque, sinceramente, non volevo odiare. Ero solo perso in un labirinto, e non trovavo la via d’uscita, pur anelandovi con tutte le mie forze.
Gonfio, era, certo, il mio cuore, dei frutti dell’odio, nostro o altrui, non importa: paura, scoramento, debolezza. Infelicità.
Ancora, il mio pensiero era impantanato su quanto mi fosse difficile perdonare in quanto non era disinteressato, il mio perdono, ma mi era anzi utile: e necessario, per recuperare la mia pace, la mia forza, la mia salute.
Ma che diritto avevo di cercare il perdono per questo motivo? Comunque, sembrava chiara una chiave del perdono, e cioè il rispetto. Il rispetto per loro, in quanto esseri viventi, e in quanto persone libere, se vogliamo vederle libere, e cioè esseri umani, che cercano la loro strada nel mondo, come noi tutti. E soprattutto, ancor di più, come schiavi, e il rispetto per questo cercare una via nel loro dolore, nell'immenso dolore in cui vivono, che non ha via d'uscita, apparentemente, nella prigione del loro orgoglio e della loro solitudine infinita.
Mi tormentavo, quindi, con questi pensieri, poi, una notte, ebbi un sogno, in cui ricordai la gioia. E mi svegliai, colmo, di questa gioia, semplicemente, e con la gioia erano arrivati anche il distacco, ed il perdono.
Davvero non so dirvi quale sia arrivato prima, o se siano arrivati insieme, facce di un unico diamante.
Posso dire che arrivarono, frutto del desiderio, o del tormento, o della stessa grazia che ben conosciamo.
Comunque, all'improvviso è arrivato il perdono. Forse, dopo tanto cercarlo, e figurarlo, è arrivato e basta. Ed era il perdono anche per me. Perché anch’io avevo bisogno di perdono.
A un certo punto perdono e basta, perché ho diritto di perdonare e basta, sia o non sia amare e basta, perché ho diritto di liberarmi di questa schiavitù, e basta.
Ma è arrivato con la gioia. La chiave è proprio questa, ritrovare la gioia. Anche solo per un attimo.
Perché questa è la via, e non ce ne sono altre, e anche se è confuso sapere il perché, arriva e basta, per necessità dell'anima.
Che poi è l'anima, in realtà, che abbiamo costruito faticosamente; ma abbiamo dovuto farlo perché ci hanno malmenato, ci hanno addolorato, ci hanno sfruttato. E abbiamo dovuto trovare un senso a tutto questo. E anche questo dolore abbiamo dovuto portare.
Che è poi il dolore di tutti quelli che sono venuti prima di noi. Perché siamo costruiti anche di questo.
E, quindi, è nella natura dell'anima anche impazzire ed implodere, e poi liberarsi di tutto, per riesplodere verso l'unica via, che è la chiarezza. A partire dall'unica sorgente, che comunque esiste, ed è dentro di noi. Come è fuori di noi, ma solo se ci esplode dentro la possiamo trovare.

 
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