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I RESTAURI DEL "GIUDIZIO UNIVERSALE" NELL'ABSIDE DEL DUOMO DI FERRARA

Post n°195 pubblicato il 20 Novembre 2017 da marialberta2004
 
Foto di marialberta2004

Maria Alberta Faggioli Saletti 

I Restauri dell’affresco . 4

Già nel Settecento si odono le prime accuse degli storici ai restauratori che non hanno capito una pittura ormai distrutta da polvere, ragnatele e nero.

Nel 1852 si decide di pulire e restaurare il Giudizio. Il lavoro viene eseguito da Gregorio Boari.[1] Bastianino, come detto, era stato liquidato nel 1581 ma l’affresco della Volta venne scoperto solo nel 1584, perché si utilizzavano le impalcature per eseguire le decorazioni a stucco nel Coro, sotto l’affresco. Boari constatò che le scale usate dagli stuccatori avevano impresso nell’affresco profonde solcature.[2]

Anche il grande pittore ferrarese Giovanni Boldini ha visto l’affresco e si è ispirato alle sue pennellate grandi e veloci.

Nel 1944 (28 Novembre), durante l’ultima Guerra Mondiale, un bombardamento distrugge la Sacrestia del Duomo e danneggia l’Abside.

Restauro del 2000. Il Giubileo del 2000 con i finanziamenti erogati ha favorito Bastianino, con il restauro dell’affresco dell’abside del Duomo “Giudizio Universale” e del San Girolamo penitente alla Madonnina. Visite guidate hanno consentito agli interessati di ammirare da vicino l’Affresco restaurato prima che venissero smontati i ponteggi.

In quell’anno, il 2000, a Ferrara, si sono svolti un Convegno Internazionale di studi (a Palazzo Bonacossi) e un Ciclo di Conferenze sul Bastianino e la pittura ferrarese del Cinquecento. Il 2000 è stato definito “Anno bastianinesco”.

Il restauro del 2000 ha rilevato l’importanza del segno che fa la forma e la disfa (la forma annebbiata è una peculiarità del Bastianino). Un’altra novità dal restauro sono i corpi fantomatici (una specie di fantasmi).

La critica

-Icontemporanei hanno testimoniato il valore e anche la modernità di Bastianino.

Marc’Antonio Guarini pochi anni dopo la morte di Bastianino (1602), scrisse che era “differente da tutti”(1621).[3]

Girolamo Baruffaldi lo storico, nelle sue Vite, scrive: "Ma egli [il Bastianino] principalmente studiò di far uso del buon nudo in quelle tante e numerose figure sul gusto e sui disegni di Michelangelo portati da Roma [...] dalche poi è nata l'opinione che sia questo [il Giudizio Universale], se non un'opera del gran fiorentino, al certo una copia d'un valoroso scolare". Egli aggiunge: “ha la gloria che suole avvenire agli oracolid’essere più ammirati che intesi”.[4]

Cesare Barotti : “formò i suoi nudi come vetri in un sol fiatobuttati”.[5]

Alcuni studiosi, tra i quali Luigi Lanzi (gesuita, storico dell’arte, avviò lo studio delle scuole pittoriche regionali), considerano Il Giudizio un vero capolavoro,superiore, in qualità, alle opere della scuola fiorentina. Per il  Lanzi il Giudizio è“... opera sì vicina a quella di Michelangiolo, che tutta la scuola fiorentina non ne ha un'altra da porle a fronte. Vi è gran disegno, gran varietà d'immagini, buona disposizione digruppi, opportuno riposo all'occhio. Pare incredibile che in un tema occupato già dal Bonarruoti abbia il Filippi potuto comparire sì nuovo e sì grande.Vedesi che all'uso de' veri imitatori copiò non le figure del suo esemplare, ma lo spirito e il genio” (Bastianino nuovo e grande anche dopo Michelangelo).[6]

-Due sono i critici moderni che lo hanno scoperto e studiato, Roberto Longhi e Francesco Arcangeli. 

Roberto Longhi nelle pagine di Officina Ferrarese rievoca la visione dei "titani cinerei e nebbiosi" che ha aperto la strada al moderno recupero del pittore e definisce poi le pennellate veloci e forti  del Bastianino “Lampi sublimi”, luci che lampeggiano tra ombre calde e dense.[7]

L’altro grande critico che lo ha studiato e descritto in modo ampio e appassionato è Francesco Arcangeli (Il Bastianino, monografia del 1963). La sua analisi è fondamentale perché riguarda tutto Bastianino, ed è stata condotta quando il pittore veniva confuso con Dosso Dossi (entrambi hanno raffigurato San Girolamo), anche perché le sue tavole erano ancora scurite dal fumo dei camini che servivano per il riscaldamento. 

Secondo Arcangeli, Bastianino è il vero interprete del tramonto del Rinascimento ferrarese, ed esprime “oltre che il suo sentimento personale, quello della Ferrara affascinante,triste ma dimenticata, di Alfonso II”.

Francesco Arcangeli afferma che Bastianino ha avviato il progetto di coniugare il gigantismo (di Michelangelo) con i colori veneti ed avverte nell’insieme del Giudizio “qualcosa di fluviale”,  come “un gorgo che si viene formando intorno aCristo” (simile  ai cerchi concentrici attorno a un sasso gettato nell’acqua). La ferraresitàdel pittore! [8]

Claudio Savonuzziha letto nel Giudizio come un senso di “morte per acqua”.[9]

Nel 1985, la Mostra “Bastianino e lapittura a Ferrara nel secondo Cinquecento”, Ferrara 1985 .

Catalogo,“Bastianino e la pittura a Ferrara nel secondo Cinquecento”, a c. di JadrankaBentini, Nuova Alfa Ed., Bologna 1985.

“L’impresa di Alfonso II”,  Saggi, di Jadranka Bentini, Luigi Spezzaferro, Adriano Prosperi, Nuova Alfa Edit., Bologna 1987.

Tra il 2014 e il 2015 Ferrara gli ha dedicato una Mostra presso la Pinacoteca Nazionale, intitolata “Lampi sublimi aFerrara. Tra Michelangelo e Tiziano: Bastianino e il cantiere di San Paolo” (13Dic 2014-15 Marzo 2015). Lo studio della pittura di Bastianino si è arricchito di nuovi contributi.

-Tuttii critici concordano nel rilevare come il Giudizio  risenta dei Pittori veneti, di Tiziano e dell’incontro con il carattere e la forza di Michelangelo. D’altra parte, in quegli anni, egli era orientato verso una maniera sfumata dai contorni evanescenti e verso il ricco colorismo di derivazione veneta, in particolare tizianesca.    

Non ci sono paragoni nei pittori contemporanei: Bastarolo (Giuseppe Mazzuoli, 1536-1589), Monio (Domenico Mona 1602), Scarsellino (Ippolito Scarsella 1550-1620).

●Lo stile personale e ben riconoscibile che emerge nelle opere degli ultimi 20 anni delCinquecento, nell’Abside del Duomo e nella Chiesa di San Paolo.

●La sua scena che non ha limpidezza e chiarore, ma effetti di luci, di ombre, di bagliori e di nebbie. Egli ha infatti,  usato un colore pastoso che avvolge e vela ogni cosa, con pennellate veloci e forti.

●Le sue figure ispirate a Michelangelo, che non hanno però la plasticità né la forza dei corpi e neppure l’umanità eroica michelangiolesca. E’ questa la scelta del pittore.

●Il rifiuto della supremazia del disegno e del contorno, con l’adozione di una tecnica pittorica definita “frangersi del contorno”, per realizzare forme aperte,“maestosamente dilatate”, molli e fluttuanti, legate fra di loro dai colori del fondale.

●Il gusto per lo sfumato dai contorni leggerissimi si accentua nelle ultime opere, particolarmente nel Giudizio e in quelle per la Chiesa di San Paolo, e si accompagna allo splendido colorismo che lo ha caratterizzato. Il rosso del Bastianino ha una tonalità particolare (ad esempio nel manto diMaria).

●La sua capacità di rifacimento dell’immagine  classica che ha toccato punte assolute, nel Giudizio Universale è indiscussa, tanto che gli studiosi del Bastianino hanno fatto scomodare i nomi di grandi artisti successivi come Goya (1746-1828), Fussli (1741-1825), William Blake (1757-1827), Francis Bacon (1909-1992), le sculture di Medardo Rosso (scultore impressionista 1858-1928).

 



[1] Gregorio Boari, Descrizione,cit..

[2] Gregorio Boari, Descrizione,cit..

[3]M. A. Guarini, Compendio Historico dell’origine, accrescimentoe prerogative … delle Chiese di Ferrara, Eredi di Vittorio Baldini, Ferrara  1621.

[4]G. Baruffaldi, Vite de’ pittori e scultori ferraresi, cit..

[5] CesareBarotti, Pitture e scolture che sitrovano nelle chiese, luoghi pubblici e sobborghi della città di Ferrara, Ferrara 1770, rist. anast.Arnaldo Forni, Bologna 1977, p. 15.

[6] Lanzi Luigi Antonio, Storia pittorica dell’Italia, Remondini, Bassano (1796),1809 in 6 volumi e Indici.

[7]Roberto Longhi, Officina Ferrarese (1934-1955), a c. di A.Boschetto, Sansoni, Firenze 1980.

[8]Francesco Arcangeli,  Il Bastianino, cit...

[9] Claudio Savonuzzi, Ottocento ferrarese, Ferrara 1971.

 
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Il duca Alfonso II d’Este e il Castello di Mesola. Il Senato veneziano, il doge e il Taglio di Porto Viro

Post n°193 pubblicato il 30 Giugno 2015 da marialberta2004
 

Maria AlbertaFaggioli Saletti

Il duca Alfonso II d’Este e il Castello di Mesola. Il Senato veneziano, il doge e il Taglio di Porto Viro (l’antico Po delle Fornaci). Il nuovo territorio di Taglio di Po, Porto Tolle, Ariano nel Polesine, Portoviro

Durante la seconda metà del Cinquecento, gli Este,Signori del Ducato di Ferrara, confinante con la Repubblica di Venezia, decidono di incrementare la loro presenza nel Delta del Po, in un’area acquistata fin dal Quattrocento e tenuta come riserva di caccia.

Il duca Alfonso II d’Este fa costruire (1578), nell’area di Mesola, “vicino al mare, presso il Po di Goro e di Ariano”, un castello con quattro torri ed edifici di servizio (abitazioni, depositi, ampie stalle, alloggi per la caccia e la pesca), in uno spazio di nove miglia cinto da mura e fosse (Ludovico Antonio Muratori, Delle Antichità Estensi ed Italiane, Modena 1740, vol. 2°, p.406).

L’ampia area verso il mare è già stata sistemata con la realizzazione di canali.

La nuova costruzione viene presentata come ‘Delizia’ estense (residenza di vacanza),ma l’ampiezza (9 miglia) e la presenza di capaci mura protettive fanno allarmare i veneziani: il duca d’Este forse progetta di espandersi nel mare Adriatico. I lavori che si protraggono per cinque anni destano il sospetto che si stia costruendo una nuova città sul Po, presso il porto di Goro. La Repubblica di Venezia invia spie ed esperti idraulici e militari (Francesco Ceccarelli, La città di Alcina. Architettura e politica alle foci del Po nel tardo Cinquecento, Il Mulino-Biblioteca storica,Bologna 1998, pp. 161-178. Lo studio si avvale di documenti d’archivio e di studi storici, d’ambito estense, veneziano e pontificio).

Nel 1586, il Senato veneziano affida ai Savi delle Acque l’incarico di redigere il progetto operativo perla deviazione a sud del ramo principale del Po, allo scopo di preservare la Laguna Veneta e i suoi porti dall’interramento.

La deviazione verso sud (un nuovo canale di 7 chilometri) riguarderà il tratto terminale del Po delle Fornaci, il ramo di Tramontana (nel territorio dell’attuale Porto Viro), la cui foce è ormai talmente vicina a quella dell’Adige, da contribuire all’ammasso dei depositi alluvionali nella Laguna Veneta che ne causano l’inesorabile interramento (Claudio Mancin, Il Delta del Po, genesi di un territorio, Arti grafiche Diemme, Taglio di Po 2002. Lo studio è basato su numerosi documenti d’archivio).

Il taglio del fiume viene detto Taglio diPorto Viro, dal nome del luogo in cui fu realizzato: l’antico Portus Veterus, porto fluviale diorigine romana, un piccolo insediamento sul mare Adriatico, a est dei cordonidi dune fossili, alla foce del Gaurus, uno dei tanti fossi-canali che siintrecciavano nella zona (www.comuni-italiani.it/029/052/).

Inquegli anni di fine Cinquecento, la morte del Duca Alfonso II d’Este senzaeredi, con il conseguente estinguersi della linea dinastica estense nel 1597, impone un fondamentalecambiamento politico:  la Devoluzione del 1598 con il ritorno delDucato di Ferrara allo Stato dellaChiesa. Il nuovo confinante, minaccioso e potente, induce il Senato veneziano e il Doge (MarinoGrimani 1595-1605) ad assumere la decisione di attuare il progetto (Ceccarelli,cit., pp. 205-227).

La grande opera di ingegneria idraulica deiveneziani (1600-16 settembre 1604) realizzata con successo, fanascere nuovi territori determinantiper l’attuale conformazione di questa parte del Delta del Po, come il territorio di Taglio di Po, Porto Tolle, Ariano nel Polesine, Portoviro (www.bonificaferrara.it/.../63-evoluzione-del-territorio-e-della-fascia-cost...).

Vi sistabiliscono pescatori, cacciatori e pastori fedeli a Venezia.

Senel Seicento i Veneziani si limitano a insediare persone fedeli alla Repubblica diVenezia e contrarie allo Stato Pontificio, nel Settecento si impadroniscono del territorio e scavano lo Scolo Veneto, tracciando così un nuovoconfine sull’Isola di Ariano (nel territorio di Taglio di Po, lungo lo Scolo, ci sono ancora i Cippi Confinari, invia dei Pilastri) (www.comune.tagliodipo.ro.it/.../hh_anteprima_argomento_home.php?)

Contemporaneamente,nella prima metà del secolo 18°, si insediano alcune famiglie nobili veneziane (Vendramin, Corner, Contarini, Farsetti,Venier,…) che fanno edificare casecoloniche, casini di caccia epalazzi, man mano che procede la bonifica dei terreni paludosi.

Quantoal territorio di Mesola, esso vieneallontanato dal mare, a causa dell’interramento delle foci del Po di Goro e diAriano, un processo che crea nuovo territorio paludoso da bonificare alla focedel Po di Goro e  ne rimpicciolisce laSacca (l’insenatura), allontanando sempre più il Castello di Mesola dal mare.

 
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MARIO LUZI, LE POESIE ALLA MADRE

Post n°192 pubblicato il 24 Marzo 2014 da marialberta2004
 

Maria AlbertaFaggioli Saletti

8. MARIO LUZI, LE POESIE ALLA MADRE (Un brindisi-1941, da “Un brindisi”; Alla madre-1946, da “Un brindisi”; Parca-Villaggio-1951, daIl giusto della vita”; A mia madre dalla sua casa, da “Onore del vero”-1957; Siesta,da “Dal fondo delle campagne”-1965; Il duro filamento, da “Dal fondo delle campagne”-1965; Tre Poemi, Nel corpo oscuro della metamorfosi, da “Su fondamenti invisibili”  1960-1979; Madre, madre mia, da “Per il battesimo dei nostri frammenti”-1985; Luoghi della mia anima, da “Frasi e incisi di un canto salutare”-1990; Incolmabile il vuoto, da “Frasi e incisi di un canto salutare”-1990).

Alla madre, Luzi ha dedicato, dal 1946 al 1990, componimenti nei quali è espressa la rammemorazione del paesaggio poetico dell’infanzia cosparso di simboli preziosi, di originale liricità e di parolesignificative del quotidiano.

Figura centrale nella sua esistenza e nella produzione poetica, è la madre, che gli è stata altresì ispiratrice del senso religioso della vita, come egli stesso afferma: “un mondo di religione contadina ed elementare ma introflesso e pensato e molto intensamente vissuto.Questo mi ha incantato in lei, al di là del grande affetto che ci legava, Mi affascinava il suo trasportare tutte le cose in una interiorità che forse la società modesta in cui si viveva allora non sentiva come bisogno primario” (M.Luzi, Discorso naturale, Garzanti 1984).

La realtà umile e povera della campagna materna  viene dunque affrontata con autentica volontà di identificazione, non solo per i valori religiosi, ma anche per le qualità umane che essa preserva (M’accoglie la tua vecchia, grigia casa/ steso supino sopra un letto angusto,/ forse il tuo letto per tanti anni, in A mia madre dalla sua casa, da“Onore del vero”-1957).

Montagne e paesi antichissimi della Toscana e dell’Umbria fanno da sfondo ad una lettura scarnificata e intensa della realtà contadina minacciata nella sua autenticità dalle tentazioni del moderno.

Il valore della madre viene esaltato già in una poesia del 1941 che prefigura la violenza della guerra: “Dolori informi, grida, preghiere inoggettive!/  Dimenticata splende nella polvere /degli angoli la madre inaridita,/ la sua voce cattolica prodiga di speranze, / il nero del suo sguardo di rondine tramortita,/ il tepore continuo del suo latte già livido/ rapito dal furore della notte,/ il suo corpo squassato e in un riverbero / luminoso ritrattosi nell’ombra” (Un brindisi-1941, in M. Luzi, Tutte le poesie, Garzanti-Gli Elefanti, cit., p. 100).

In questa poesia, sostiene un critico attento, “La figura della madre priva di latte … è il simbolo più dolorosamente offerto alla meditazione del lettore sulla guerra che, con l’odio e la disperazione, induce alla totale disintegrazione, morale e fisica,dell’individuo. L’odio non permette di mirare all’unità perché rompe i legami su cui si regge invece l’amore” (Silvio Ramat, La poesia di Mario Luzi, pp. 103-113, in “Sentieri poetici del Novecento”, a cura di Giuliano Landolfi,Interlinea edizioni, Novara 2000, p. 107).

Il volume che raccoglie l’opera poetica di Luzi dal 1935 al 1957, “Il giusto della vita”, è dedicato “Alla memoria di mia madre” ed inizia con un componimento del 1951, in cui la madre,custode delle memorie familiari (i ricordi autobiografici), è anche Parca (divinità mitologica), la “vecchia donnaguardiana del tempo, ed entrambe, insieme, lo rassicurano sulla sua capacità di proteggere la continuità fra generazioni: “A lungo si parlò di te attorno ai fuochi/ dopo le devozioni della sera/ in queste case grige ove impassibile/ il tempo porta e scaccia volti d’uomini./…/ Io vecchia donna in questa vecchia casa, / cucio il passato col presente, intesso / la tua infanzia con quella di tuo figlio /che traversa la piazza con le rondini” (Parca-Villaggio-1951,daIl giusto della vita”, in M.Luzi, Tutte le poesie, Garzanti-Gli Elefanti, cit., p. 11).

Le emozioni sofferte per la morte della madre (1959) dettano al poeta meditazioni sulla “inessenzialità dell’esistere”, e sull’alternativa della trascendenza cristiana: Mia madre, mia eterna margherita/ che piangi e mi sorridi/ viva ora più di prima,/ …/ è un altro il segno/ a cui dovrò tenere fronte, segno/che ferisce, passa da parte a parte (Siesta, da “Dal fondo delle campagne”-1965).

In questa silloge del 1965 (“Dal fondo delle campagne”), l’immagine familiare della madre rappresenta per Luzi il punto fisso di speranza e di paragone a cui il poeta può rivolgersi,quando l’angoscia del fluire del tempo è vinta dalla certezza di una eternità. Si tratta di un’eternità doveil cammino verso la verità è guidato dal contatto spirituale con i propri morti.

Nella bellissima poesia Il duro filamento, l’elemento autobiografico (volgi un pensiero al tempo ch’eravamo ancora tutti) accentua il senso di continuità tra vita (risveglio al mattino) e morte (notte e sonno): Solo / la parola all’unisono di vivi / e morti, la vivente comunione / di tempo e eternità vale a recidere / il duro filamento d’elegia./ E’ arduo. Tutto l’altro è troppo ottuso. Nel contempo, lo stesso dato autobiografico, con il ricordo toccante del risveglio familiare in cui il latte caldo fa vincere il freddo del mattino, si trasforma in una tensione cristiana e nel raggiungimento di quella carità a lungo cercata tragli uomini chiusi nella scorza dell’indifferenza e dell’egoismo: Nel grumo di calore che è più suo,/nella bolla di vita ch’è più tenera/per lei cresciuta alla pazienza interre/povere, pie, l’ascolto, voce fievole,/tendersi a queste ancora grevi, ancora/ appannate dal lungo sonno, chiedere/asilo, volersi mescolare./Dico: abbi pace, abbi silenzio. Dico…//(Il duro filamento, da “Dal fondo delle campagne”-1965)

L’omaggio alla voce della madre, la voce del diverbio in cucina, e della preghiera sulle scale, è un invito struggente a non ignorare la dolcezza, a non tradire nessuna memoria (Tre Poemi, Nel corpo oscuro della metamorfosi, da “Su fondamenti invisibili”  1960-1979).

”Madre e figlio”si intitola una sezione della silloge “Per il battesimo dei nostri frammenti”che raccoglie le poesie dal 1978 al 1984 con versi intensi di nostalgia della maternità che sa renderci esseri “molto amati”, perché sa prenderci e tenerci stretti, o accoglierci se ce ne allontaniamo, nelle sue “azzurre cune” (Madre,madre mia,da “Per il battesimo dei nostri frammenti”-1985; Luoghi della mia anima, da“Frasi e incisi di un canto salutare”-1990).

Incolmabile il vuoto (da“Frasi e incisi di un canto salutare”-1990) rende in modo inimitabile il dolore del figlio per la perdita della madre, un’assenza smisurata, eppure incorreggibile.

Ricordiamo che il poeta, per sua volontà, è tumulato nella natìa Castello(periferia nord di Firenze), vicino alla tomba della madre. 

Di seguito alcuni versi dedicati alla madre.

Alla madre

Forse, infranto il mistero, nel chiarore/ del mio ricordo un’ombra apparirai,/ un nonnulla vestito di dolore./ Tu, non diversa, tu come non mai://solo il paesaggio muterà colore./ In un nembo di cenere e di sole/ identica, ma prossima al candore/ del cielo passerai senza parole.// Io ti vedrò sussistere nel vago/ degli sguardi serali, nel ritardo/dei fuochi che si spengono in un ago/ di luce rossa a cui trema lo sguardo (da “Un brindisi”-1946, in M. Luzi, Tutte le poesie, Garzanti-Gli Elefanti, cit., p. 107).

“A mia madre dalla sua casa”

 M’accoglie la tua vecchia, grigia casa/ steso supino sopra un letto angusto,/ forse il tuo letto per tanti anni. Ascolto,/conto le ore lentissime a passare,/ più lente per le nuvole che solcano/ queste notti d’agosto in terre avare.// Uno che torna a notte alta dai campi/ scambia un cenno a fatica con i simili,/ in fila l’erta, il vicolo, scompare/ dietro la porta del tugurio. L’afa/ dello scirocco agita i riposi,/ fa smaniare gli infermi ed i reclusi.// Non dormo, seguo il passo del nottambulo/ sia demente sia giovane tarato/ mentre risuona sopra pietre e ciottoli;/ lascio e prendo il mio carico servile/ e scendo, scendo più che già non sia/ profondo in questo tempo, in questo popolo (da“Onore del vero”-1957, in M. Luzi, Tutte le poesie, Garzanti-Gli Elefanti, cit., p. 245).

“Siesta”

Mia madre, mia eterna margherita/ che piangi emi sorridi/ viva ora più di prima,/ lo so, lo so quel che dovrei: pazienza/ di forte non è questa ostinazione/ d’uomo che teme la sua resa. Forza/ è pace. Il sopore che s’insinua/ nell’ora giusta tra due giuste veglie/ è forza anch’esso,non viltà. Ma ormai/ che i tuoi occhi mi s’aprono/ solamente nell’anima, due punti/ tenaci al fondo del braciere/con cui guardare tutto il resto, o santa,/ non è il taglio a fil di lama/ che partisce ombra e sole in queste vie/ puntate contro il fuoco/ del mare all’orizzonte, è un altro il segno/ a cui dovrò tenere fronte, segno/che ferisce, passa da parte a parte (da “Dal fondo delle campagne”-1965, in M. Luzi, Tutte le poesie, Garzanti-Gli Elefanti, cit., p. 287).

“Il duro filamento”

“Passa sotto la nostra casa qualche volta,/volgi un pensiero al tempo ch’eravamo ancora tutti./ Ma non ti soffermare troppo a lungo”./ La voce di colei che come serva fedele / chiamata si dispose alla partenza,/ pianse ma preparò l’ultima cena/ poi ascoltò la sentenza nuda e cruda/ così come fu detta, quella voce/ con un tremito appena più profondo,/ appena più toccante ora che viene/di là dalla frontiera d’ombra e lacera /come può la cortina d’anni e fora/ la coltre di fatica ed’abiezione,/cerca il filo del vento, vi s’affida/ finchè il vento la lascia a sé, s’aggira/ospite dove fu di casa, timida / e spersa in queste prime albe dell’anno.//

L’ora è quell’ora cruda appena giorno/ che il freddo mette a nudo la città/ livida nelle sue pietre, tagliente/ nei suoi spigoli e, dentro, nell’opaco/ versano latte nelle tazze, tostano/pane, il bambino mezzo desto biascica/ mentre appunta sul diario il nuovo giorno.//

Nel grumo di calore che è più suo,/nella bolla di vita ch’è più tenera/per lei cresciuta alla pazienza in terre/povere, pie, l’ascolto,voce fievole,/tendersi a queste ancora grevi, ancora/ appannate dal lungo sonno, chiedere/asilo, volersi mescolare./Dico:abbi pace, abbi silenzio. Dico…//

Udire voci trapassate insidia/il giusto, lusinga il troppo debole,/il troppo umano dell’amore. Solo / la parola all’unisono di vivi / e morti, la vivente comunione / di tempo e eternità vale a recidere / il duro filamento d’elegia./E’ arduo. Tutto l’altro è troppo ottuso.//

“Passa sotto la nostra casa qualche volta,/volgi un pensiero al tempo ch’eravamo ancora tutti./ Ma non ti soffermare troppo a lungo” (da “Dal fondo delle campagne”-1965, in M. Luzi, Tutte le poesie, Garzanti-Gli Elefanti,cit.,  p. 289).

“Tre Poemi, Nel corpo oscuro della metamorfosi”

<> La voce sempre udita di donna che fu di mia madre ed ora è sua, la voce/ sacrificale che scioglie il nodo/ amoroso e doloroso di ogni esistenza, si stacca/…/ Voce afona spogliata della gorga/ di lei che provvisoria/ l’improntò della sua pena/ e la chiuse nella stretta/ di timidezza e d’ansia/ del diverbio in cucina, della preghiera sulle scale, anonima,/affaticata dal mare del mutamento e ferma/ …/ <>/ m’avvisa un grido inutilmente burbero/ evocando cera nelle orecchie, corpi legati all’albero/ <<non ignorare la dolcezza, non tradire nessuna memoria, ma prosegui il tuo viaggio. Fa’ la tua parte. E che sia giusta.>> (da “Su fondamenti invisibili”  1960-1979, in M. Luzi, Tutte le poesie, Garzanti-Gli Elefanti,cit., p. 383).

“Madre,madre mia”

Madre, madre mia,/ l’essere molto amati/ non medica la solitudine,/ la affina/ anzi, la escrucia in un limìo/ d’inanità e di rimorso-/Posso,/ sì, averlo udito/ perdutamente/ parlare così il discorso…/E intanto/ taceva il suo contrario/ in ogni lingua/ ma io lo ricordavo,/ per me era presente:/ “Amare,/ questo sì ti parifica al mondo,/ ti guarisce con dolore,/ti convoglia nello stellato fiume//e sono/ dove tu sei, si battono/ creato ed increato,/ allora, in un trepidare unico./ Allora, in quel punto”. Lo ricordavo (da “Per il battesimo dei nostri frammenti”-1985,in M. Luzi, Tutte le poesie,Garzanti-Gli Elefanti, cit., p. 553).

“Luoghi della mia anima”

Luoghi della mia anima li ho,/ora, di fronte,/nudi,/ nitidi come lei non è,/ seppure lo desideri/ molto, molto sopra se medesima/ si levi talora a diventarlo …/Potessi in quelle azzurre cune/rientrare,/ in quella/ mostruosità infinita/ ancora/ maternamente essere preso…/ ma senza questo crepacuore, prego,/ né questa inarginata/ esondazione di dolore (da “Frasi e incisi di un canto salutare”-1990, in M. Luzi, Tutte le poesie,Garzanti-Gli Elefanti, cit., p. 750).

“Incolmabile il vuoto”

Incolmabile il vuoto, irriducibile l’assenza?/ Non sa il cuore la legge che lo governa./Ricchezza è inopia,/ penuria sovrabbondanza -/ sì, ma quando? A che limite/ d’aridità, madre/ a che grado dell’infinita mancanza? (da “Frasi e incisi di un canto salutare”-1990, in M. Luzi, Tutte le poesie, Garzanti-Gli Elefanti, cit., p. 807). 

 
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Castel dell'Aquila-POZZO E CISTERNA

Post n°191 pubblicato il 27 Maggio 2013 da marialberta2004
 
Foto di marialberta2004

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Maria Alberta Faggioli Saletti

Il pozzo della corte e la Cisterna

Nel Castel dell’Aquila non mancava l'acqua: quella piovana raccolta in una grande cisterna tuttora esistente e attinta dal pozzo.

All’interno del Castello, si disponeva così di una riserva di acqua potabile per il fabbisogno degli uomini e degli animali, ed elemento indispensabile per poter resistere in caso di assedio.

Anche nel Castel dell’Aquila, come nella maggior parte dei castelli medievali lunigianesi, per l’approvvigionamento idrico, si utilizzavano cisterne, di piccole e medie dimensioni (raramente superavano in centimetri 200x150, con profondità di 150) che raccoglievano l’acqua piovana.

Esse avevano strutture murarie che, essendo interrate, ben si conservavano, perché poco sollecitate. La tecnica costruttiva prevedeva prima la realizzazione dello scavo, ed in seguito l’elevazione delle mura perimetrali, una o più delle quali a contatto con la roccia.

Per la copertura ricorreva frequentemente una volta a botte in muratura. Un intonaco doppio ricopriva la muratura, il secondo impermeabilizzato attraverso l’impiego di coccio pesto. Le cisterne così erano stagne o quasi.

La raccolta delle acque veniva effettuata non solamente dai tetti, ma da tutte le superfici inclinate che erano in grado di raccogliere le acque, incluse le aie lastricate.

Quanto alla posizione delle cisterne all’interno del castello, la più antica si trovava nelle immediate vicinanze del dongione (il mastio o torrione), mentre quella di epoca rinascimentale appare ancora nella forma di un pozzo.

All’approvvigionamento contribuivano contenitori lignei o ceramici per l’immagazzinamento.

Per quanto concerne il fabbisogno idrico pro capite, secondo i calcoli di uno studioso, una cisterna di circa 42 metri cubi, di circa 4x5x2,50 m., avrebbe dovuto soddisfare il fabbisogno bimestrale (!) di circa 50 persone e 4 cavalli.  

N. GALLO, Appunti sui castelli della Lunigiana cit., pp. 41-46.

 

 
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1200 - LA SENTENZA DI PONZIO PILATO MURATA NEL CASTEL DELL'AQUILA

Post n°190 pubblicato il 27 Maggio 2013 da marialberta2004

Sono un ricercatore delle gesta di Ponzio Pilato, pertanto sono rimasto incuriosito da quanto appreso dal blog di storia e letteratura in merito alla leggenda dello scrigno con la sentenza di Ponzio Pilato.
Sono molto incuriosito e gradirei saperne di più.
Potrebbe essere così gentile da indicarmi la fonte da cui a preso questa informazione .
Ringrazio cordialmente per la disponibilità che vorrà concedermi
Cordiali Saluti
Giuliano Guiducci
Savignano Sul Rubicone - FC

Gentile Giuliano, ecco le notizie di cui sono in possesso con relativa bibliografia. Non manchi di tenermi informata, magari attraverso il blog. Cordialità maria alberta

1200 - LA SENTENZA DI PONZIO PILATO MURATA NEL CASTEL DELL’AQUILA

Una singolare leggenda vuole nascosta tra queste mura una reliquia importante relativa alla vita di Gesù Cristo.

Proprio nel Castel dell’Aquila, in uno scrigno di finissimo marmo, dovrebbe trovarsi una copia della sentenza di Ponzio Pilato contro Gesù Cristo, che un insigne studioso reputa falsa.

Se c’è motivo di dubitare della veridicità del documento, il fatto che la leggenda sia legata a una reliquia così importante per i cattolici indica che qui era forte ogni segno proveniente dalla Terrasanta, fin dal periodo delle prime crociate, nell’undicesimo e dodicesimo secolo.  

Non era improbabile che per le strade del territorio di Castel dell’Aquila transitassero viaggiatori e mercanti diretti o provenienti dalla Terrasanta.

Nel 1290, nei luoghi vicini al castello, la Bolla papale della Crociata concede il privilegio a frate Gregorio, padre generale dell’Ordine di Sant’Agostino degli eremiti, predicatore della Crociata, ad Aulla, di assolvere da tutti i peccati un colpevole condannato, e di contrassegnarlo “col segno della Croce” con l’obbligo, per penitenza, di servire per un anno al “sussidio in Terrasanta”.

In quell’anno, dicono gli antichi documenti, c’è anche chi, volendo andare come pellegrino “in subsidium terre sancte”, per rimedio dell’anima sua, fa testamento o assegna a parenti i propri beni.

Nel 1290 infatti, è stata indetta una nuova Crociata promossa dal Papa per il recupero del “regno di Cristo”, i luoghi santi dei Cristiani. Da quei luoghi, si chiede al Papa di inviare truppe e sacerdoti, ma anche operai e mercanti. Per decenni, in continuazione si recarono pellegrini e mercanti in Terrasanta, e i pellegrinaggi continuarono anche nei secoli successivi, ben oltre l’epoca delle crociate.

Chissà se queste coincidenze possano indicare una data di fondazione del Castel dell’Aquila, o se sia solo frutto dell’immaginazione pensare che fra le sue prime pietre vi sia questa straordinaria reliquia?

Scrive il grande Goethe: “All’inizio la storia è una favola, su cui un fatto nuota come sull’acqua, sinchè l’acqua non scompare”. Secondo questa citazione, il fatto è l’inizio dell’esistenza di Castel dell’Aquila, la favola-leggenda riguardante la sua fondazione, per ora, scorre sulle acque del Lucido e dell’Aulella come la sua storia.

 



C. FRANCHI SCARSELLI, A. C. AMBROSI, Castelli e fortezze di Lunigiana. Bologna 1989, pp. 92-93; F. BARONI, Le Valli dell’Aulella e del Rosaro, in Castelli e Fortificazioni della Provincia di Massa-Carrara, a c. di M. BERTOZZI, Carrara 1996, p. 192. L’autore ricorda che Geo Pistarino, un importante studioso, reputa falsa questa sentenza (G. PISTARINO, La Lunigiana storica, in “ Memorie della Accademia Lunigianese di Scienze ‘G. Cappellini’, LIV-LVI, 1984-86, La Spezia 1987).

M. N. CONTI, Le carte anteriori al 1400 nell’archivio malaspiniano di Caniparola nel repertorio del 1760, Centro Aullese di Ricerche e di Studi Lunigianesi, Associazione “Manfredo Giuliani” per le Ricerche Storiche e Etnografiche della Lunigiana, Associazione Pontremolese, Lunigiana 1987, p. 51.

FIRENZE, Archivio di Stato. Fondo Diplomatico, Spogli, Serie Deposito Malaspina, n. 100, Inventari V/181 I, Regesti manoscritti (dal 1094 al 1777) fatti dall’archivista Giorgetti, copiati da Sartini e Cecchini nell’anno 1921, regesto n. 329 e reg. n.332.

J. RICHARD, La grande storia delle Crociate, Histoire de Croisades, Roma 1999, vol. II, pp. 738-747.

J. W. GOETHE, Lettera del 1811.

 
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