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IL FEDERALISMO COME SOLUZIONE PER LA QUESTIONE MERIDIONALE?

Post n°29 pubblicato il 06 Maggio 2011 da tommaso.mt

Si può essere d’accordo sul fatto che il federalismo fiscale sia lo strumento idoneo per la migliore gestione delle risorse di ogni territorio, ma è d’obbligo anche fare le dovute precisazioni e osservazioni in merito al suo intimo significato. Certamente, non è una nuova forma di governo, piuttosto una diversa modalità di organizzare uno Stato, detto appunto federale.

Antonio e Carlo Iannello nel loro libro Il falso federalismo (La Scuola di Pitagora editrice, 2004), analizzano le differenze tra il concetto di federalismo e quello riguardante le altre forme organizzative della macchina amministrativa dello Stato, ripercorrendo brevemente i diversi interventi in seno all’Assemblea Costituente. Attraverso il pensiero di illustri protagonisti della scena politica italiana del tempo, illustrano le loro perplessità sul modello del decentramento amministravo così come è emerso dalla Carta Costituzionale,  perché consente che nuove forze centrifughe si sprigionino per ottenere sempre maggiore autonomia gestionale, da parte degli enti locali. Allo stesso modo, gli stessi Padri Costituenti sentenziarono come la questione meridionale non fu causata dall’allora sistema amministrativo centralizzato dello Stato, così come impiantato all’indomani dell’Unità d’Italia, quanto piuttosto divenne figlia di scelte scellerate da parte della classe dirigente meridionale che prese il sopravvento nella vita politica, per imporre una vera e propria deviazione del potere locale dai suoi obiettivi, per finalità sostanzialmente estranee alla gestione della cosa pubblica. Giustino Fortunato già nel 1896 accusava il Governo centrale “di tante partigianerie, di quelle tante soverchierie, che sono state e sono la causa delle nostre amministrazioni locali”. De Viti De Marco si espresse sugli stessi livelli, pur accettando il decentramento amministrativo, soluzione richiesta per la rinascita delle popolazioni meridionali, piegate da tanti provvedimenti, in favore delle industrie del nord, adottati dal Capo del Governo, Giolitti, che più tardi G. Salvemini chiamerà il “Ministro della malavita”.

Nelle discussioni in seno all’Assemblea Costituente tornò prepotentemente in primo piano il dibattito riguardante il decentramento amministrativo, sostenuto soprattutto dalle forze politiche cattoliche e moderate. Come venne messo in luce da alcuni Costituenti come P. Nenni, P. Togliatti, F. S. Nitti ed altri, la nascita delle Regioni rappresentava, già allora, una seria minaccia contro l’Unità dello Stato, nel momento in cui ogni regione richiama a sé nuovi compiti e nuove funzioni. Di contro, il relatore della Seconda Sottocommissione, Gaspare Ambrosini, evidenziò come la creazione dell’ente Regione, dotato di propria autonomia, avrebbe potuto evitare i danni derivanti dall’eccessivo centralismo statale, favorendo la partecipazione dei singoli alla vita pubblica. Gli fa eco Luigi Einaudi, il quale immaginava una Regione senza l’ente Provincia, per evitare che si moltiplicassero gli uffici e i gravami fiscali: un dibattito ancora attuale soprattutto nel nostro territorio, interessato dal progetto per la Regione Salento!

 Il punto centrale risiede sul concetto di federalismo, che comprende in sé stesso la sostanza dello Stato unitario. Per essere veramente efficace, il federalismo deve abbracciare il senso civico dello Stato, inteso nella sua Unità, vivendolo nello spirito collaborativo tra le varie istituzioni ivi presenti. Gli Stati Uniti d’America sono nati come un Paese federale, nel senso che, mentre gli Stati federati hanno una loro legislazione per determinate materie, così come stabilito dalla loro Costituzione, lo Stato centrale ricopre altre e determinate funzioni, che non possono in alcun modo essere cedute agli Stati membri: basti pensare alla politica sul welfare state, sui grandi temi dell’economia, sulla giustizia e sull’equità sociale. Lo Stato federale opera in uno spirito collaborativo con gli Stati federati, nell’ottica del perseguimento di quelli che sono gli interessi della Nazione Intera. In questo l’Italia non è un Paese politicamente federale.

Assistiamo, purtroppo, ad una vera e propria alterazione del concetto di federalismo, spinti dall’impeto di forze territoriali e locali per ottenere maggiore libertà nella gestione delle proprie risorse, meglio impiegandole rispetto a scelte centrali piuttosto contestabili. Il vero significato non è soltanto questo, ma anche il riconoscimento della sua valenza di interesse generale, mezzo efficace per il progresso economico, sociale e civile di tutta la nazione, che si realizza con la collaborazione di tutte le istituzioni di ogni ordine e grado, nello spirito risorgimentale dell’Italia Unita, perché il federalismo non si trasformi in uno strumento che accentui ancora di più la disparità tra le regioni più ricche e progredite del nord e quelle povere del sud d’Italia. Collaborazione e sussidiarietà, che molto spesso vengono a mancare tra i diversi livelli istituzionali, tra Stato, Regione, Provincia e Comune, soprattutto quando sono i diversi colori politici ad elevarsi a paladini di singole istanze. La spiegazione è nelle parole di Adolfo Omodeo quando affermava che “lo spirito di autonomia, che in gran parte coincide con l’iniziativa dell’uomo libero, dev’essere creato prima di sancire le autonomie sulla carta, e incorrere in gravi errori politici”.

La speranza per le nostre regioni del Sud è che il federalismo porti con sé la nascita di una nuova classe dirigente più capace, più competente e più responsabile nell’affrontare le diverse problematiche dei rispettivi territori, cosa che è mancata con il decentramento amministrativo e l’istituzione delle Regioni. Riprendendo il pensiero di G. Fortunato, con le leggi che già abbiamo si sarebbe potuta risolvere la questione meridionale. Occorre un governo onesto, che si sforzi di “far dell’amministrazione, niente altro se non della buona amministrazione nella pratica della vita cotidiana, con sentimento di verità, non con ispirito di opportunità […] sotto l’egidia della formula sacramentale del nostro diritto pubblico interno: << la legge è uguale per tutti>>.” In questo sta il compito dello Stato centrale, che deve essere in grado di fare sintesi intorno ai grandi temi della collettività, rafforzando anche il ruolo del Presidente della Repubblica come Garante dell’Unità della Nazione nella fase storica del federalismo regionale: e qui entrano in gioco altre variabili, quali ad esempio, la riforma del sistema elettorale, ma questa è tutt’altra storia!

Tommaso Manzillo

 

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