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Il mito della Genesi: terza parte

Post n°215 pubblicato il 04 Marzo 2010 da Terpetrus
Foto di Terpetrus

Dopo aver analizzato il primo libro della Genesi, proverò ad analizzare il secondo, per capire come prosegue il racconto della Creazione.
I versetti del secondo capitolo dicono:

Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere.
Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro.
Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto.
Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati.
Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata – perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo.
Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo, e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato.

Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi.
Il primo fiume si chiamava Pison: esso scorre tutto intorno al paese di Avila, dove c’è l’oro, e l’oro di quella terra è fine; qui c’è anche la resina odorosa e la pietra d’onice.
Il secondo fiume si chiama Gihon: esso scorre intorno a tutto il paese d’Etiopia.
Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre ad oriente di Assur.
Il quarto fiume è l’Eufrate.
Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.

Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti».
E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile».
Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome.
Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.
Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto.
Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.

Allora l’uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e ossa dalle mie ossa.
La si chiamerà donna (ishà), perché dall’uomo (ish) è stata tolta».
Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.
Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna.


Questo è il capitolo 2 della Genesi, e se il primo capitolo appariva problematico, qua si apre una voragine, perché di fatto il secondo capitolo dice cose che sono assolutamente in contrasto con il primo.
Infatti, se notate, viene detto all’inizio del secondo capitolo che, una volta che Dio ha creato il cielo e la terra, essa è un vero e proprio deserto dove non piove e non cresce nulla. Non ci sono né piante, né animali, né uomini.
Nel primo capitolo invece abbiamo assistito alla creazione di tutte le forme di vita, uomo compreso, sia esso concepito come individuo ermafrodito, come ipotizza Ariel, o come insieme di individui maschi e femmine. E non si parla di nessun costola di Adamo….
Ora invece lo svolgersi della Creazione appare completamente diverso. La terra è un deserto, e anche il cielo, che non ha uccelli.
Dio pensa bene allora di piantare un giardino in un non ben identificato paese chiamato Eden, e fa scaturire dal suolo un fiume per irrigarlo, che poi si divide in altri quattro fiumi. Due si sa benissimo quali sono, altri due invece sembrano fiumi mitici, dato che uno passa per un paese chiamato Avila, che non è ben chiaro dove sia, e l’altro gira addirittura attorno all’Etiopia, che è in un altro continente, almeno secondo i concetti attuali. Chiaramente la cosa non è possibile, quindi l’ubicazione dell’Eden, in base a questi dati, è puramente mitica e rende pressoché impossibile stabilirla con certezza.
Si suppone che il giardino dell’Eden abbia il suo prototipo nell’isola mitica di Dilmun, secondo la mitologia sumerica, posta presumibilmente nel Golfo Persico, dove poi pare che ci sia un’isola, ora molto arida, ma che a quel tempo doveva essere rigogliosa, dove sono state trovate delle rovine e delle tombe sumeriche, per cui Dilmun non sarebbe soltanto un luogo mitico, ma una splendida isola oceanica. Niente di strano: da sempre le isole dei Mari del Sud sono state spesso identificate con l’Eden o quello che più gli si avvicina al mondo.
Comunque, il Signor Dio, che appare molto più antropomorfo nel secondo capitolo che nel primo, sembra essere un gran lavoratore e uno non che se ne sta in cielo, ma che vuole vivere e lavorare su questa terra.
Infatti, mentre Elohim, (sia esso Dio o gli Dei nel loro insieme) nel primo capitolo, creava l’universo apparentemente solo pronunciando delle parole, il Signor Dio del secondo capitolo, che è di fonte jahwista e quindi suppongo che venga nominato con il nome di Jahweh e non di Elohim, si vede che “fabbrica” le cose con le sue mani, e si comporta come un agricoltore che vuole bonificare e coltivare il deserto.
Infatti all’inizio del capitolo si dice: “non c’era ancora nessuno che scavasse canali per irrigare il suolo”.
Un simile scenario dà l’idea che questo racconto si riferisca a una terra dove la gente doveva appunto scavare canali che portavano acqua dai fiumi per irrigare un suolo arido, dove non pioveva mai o quasi mai, come per esempio avveniva in Egitto e in Mesopotamia.
Poi il Signore Dio si accorge che ha bisogno di un servitore, uno schiavo per coltivare e custodire il giardino, che è di sua proprietà, esattamente come un potente signore terriero affida a braccianti la sua terra oppure vi mette degli schiavi per coltivarla.
Questo Dio antropomorfo fabbrica l’uomo dalla polvere della terra, e soffia nelle narici per dargli vita.
Ora, la tradizione cristiana dice che con l’atto del soffio nelle narici, Dio avrebbe dato all’uomo l’anima spirituale, che lo differenziava dagli animali.
Ma è un errore pensare così, perché a quel tempo non c’era l’idea dell’anima come principio spirituale separato dal corpo, né c’era la distinzione e contrapposizione fra anima e corpo, che sarebbe invece iniziata con i Greci, tramite le religioni misteriche e la filosofia platonica.
Per gli antichi Ebrei, l’anima era semplicemente il principio vitale che dava vitalità e movimento agli esseri corporei, fossero essi animali o uomini.
Ma in ogni caso poi, vediamo che mentre nel primo capitolo Dio o gli Dei hanno creato l’uomo semplicemente per popolare la terra e dominarla, nel secondo capitolo invece risulta che Dio ha creato l’uomo per fargli da fedele servitore.
Dio crea così l’uomo, ma si rende conto che non basta. Un servitore solo non basta per coltivare e custodire tutto il giardino, quindi gli fa un aiuto.
E solo allora Egli crea tutti gli animali terrestri e celesti, nello stesso modo in cui ha creato l’uomo, cioè traendoli dalla polvere del suolo.
Ma come… non li aveva già creati nel precedente capitolo?
E poi, nel capitolo primo risulta che prima furono creati i pesci e gli uccelli, poi le bestie della terra, e infine l’uomo.
Qui invece vediamo che l’uomo è il primo di tutti gli esseri viventi creati sulla terra, e i pesci non vengono neanche nominati, così come non si parla dei rettili come di una categoria separata, come nel primo capitolo.
Bastano già queste contraddizioni, per capire che appunto il primo e il secondo capitolo hanno una fonte mitica diversa, e nascono da due racconti diversi della Creazione, che sono stati malamente fusi insieme.
Dico “malamente” perché agli occhi di un lettore smaliziato, essi appaiono semplicemente un unico racconto contraddittorio, mentre invece vanno visti come due racconti diversi, che parlano di cose diverse e hanno, secondo me, persino protagonisti diversi.
Il Dio e l’uomo del primo capitolo non sono gli stessi Dio e uomo del secondo.
Si tratta di due diversi miti.
A questo punto, ritengo necessario dire cosa ho trovato a livello di ricerca storica su Internet.
Si sa che la prima redazione del Pentateuco, cioè i primi cinque libri della Bibbia, che ne costituiscono la base originaria, risale circa al V o VI secolo a. C. e corrisponderebbe al ritorno degli Ebrei dalla deportazione di Babilonia.
Babilonia era una città semitica in cui gran parte della cultura e della religione derivava dagli antichi Sumeri, esattamente come a Roma gran parte della religione e della cultura derivava dagli Elleni.
I Sumeri erano stati la fonte della civilizzazione in Mesopotamia, e quando gli Ebrei erano stati deportati a Babilonia, la grande capitale della Mesopotamia, avevano anch’essi assorbito parte della cultura mesopotamica nella loro cultura.
Per questo, tutte le strane somiglianze fra la mitologia della Genesi e quella sumerica e assiro-babilonese, che deriva in parte dalla prima.
La stessa leggenda di Abramo, che sarebbe venuto da Ur in Sumeria fino alla Palestina, potrebbe essere una prefigurazione del ritorno dell’esilio a Babilonia.
E probabilmente deriva anche dalla deportazione di Babilonia l’idea di un Dio che fa lavorare l’uomo nel suo giardino in mezzo al deserto, irrigato da un fiume che, guarda caso, si divide poi in quattro fiumi di cui due sono proprio quelli mesopotamici.
O forse, anche il ricordo ancora più antico del tempo in cui, prima di Mosé, gli antenati degli Ebrei vivevano in Egitto.
Fatto sta che mentre il secondo capitolo è di tradizione jahwista, ed è imparentato di più con la mitologia babilonese, il primo capitolo deve venire da un’altra fonte mitica, simile ma comunque diversa.
Forse in parte egiziana, perché ho notato una strana somiglianza fra il primo capitolo della Genesi e certi aspetti del mito cosmogonico egiziano della città sacra di Heliopolis.
Una delle traduzioni antiche della Bibbia, la Vulgata, dice che lo Spirito di Dio “covava” sulle acque, come se fosse un uccello.
Nel mito egiziano, all’origine dell’universo c’è solo il Nun, che è uguale all’Apsu mesopotamico, e in esso compare l’uccello Bennu, la Fenice, che con il suo canto crea la luce e fa emergere un’isola dall’oceano buio, da cui poi emergerà l’Egitto e la terra intera, mentre sul luogo dell’isola sorgerà Heliopolis, città sacra alla Fenice.
Questa è solo una mia ipotesi, beninteso.
Nel giardino c’è ogni specie di albero di frutto. In pratica sembra essere un grande frutteto, e fra questi c’è anche l’Albero della Vita, di cui si parla nelle leggende mesopotamiche, per esempio nell’Epopea di Gilgamesh, poema sumero che parla del Re di Uruk, che cerca la pianta che può tenere indietro la vecchiaia.
L’uomo non è immortale, ma può mangiare dell’albero della vita e vivere per sempre. Se non fosse mortale, non avrebbe bisogno di mangiare il frutto dell’albero della vita, per diventarlo.
Probabilmente, però, dovrebbe continuare a mangiarne per sempre, per mantenersi eternamente giovane. Ma il testo biblico non è chiaro.
Quello che invece non deve mangiare, è il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male.
Perché? Dio dice all’uomo che, se lo fa, sicuramente morirà.
Cosa intendeva dire Dio con questo? Che l’uomo sarebbe “morto” spiritualmente? No di certo. Simili concetti al tempo non esistevano.
Che sarebbe diventato mortale? No di certo, abbiamo visto che non c’è nessun motivo per pensare che l’uomo fosse immortale al tempo. Semplicemente, poteva usufruire dell’albero della vita, che respingeva la morte e serviva da elisir di lunga vita.
E allora cosa? Semplicemente, bisogna dedurne la cosa più semplice: che Dio intendeva dire proprio questo. Se mangi il frutto, muori!
Però sappiamo bene che il frutto non era velenoso, anzi. E l’uomo non è morto, né sua moglie.
E allora perché Dio dice che se mangia il frutto, muore? Ha mentito dunque? E ha mentito semplicemente perché così credeva di poter spaventare abbastanza l’uomo da tenerlo lontano da quel frutto che non voleva assolutamente che mangiasse?
Certo allora che questo Signor Dio non ci fa una bella figura….. crea un giardino nel deserto, e sembra che sia quello il fine di tutto, dato che crea l’uomo non per popolare la terra, ma per lavorargliela, e per aiutarlo a lavorare meglio crea gli animali, poi si accorge che non serve a molto perché l’uomo non li ritiene dei validi aiuti e gli crea la donna. Probabilmente voleva che poi figliassero in modo da avere tanti servitori che gli lavoravano il giardino.... E poi cosa fa? Per impedire loro di fare qualcosa che lui non vuole, li spaventa con minacce di morte. Un po’ come un padre o una madre direbbe al figlio: “non andare nel bosco, o le vipere ti saltano addosso e tu muori avvelenato”!
In questo caso però è un padrone che minaccia i servi che lui ha portato alla vita solo per servirlo, non certo per fare loro dei regali. E non per servirlo in cielo, ma qui sulla terra, dove sembra che viva anche lui, altrimenti non si capirebbe perché ha voluto piantare un giardino nel deserto, facendone scaturire ben quattro fiumi.
Da notare che il Dio della Genesi, sia nel primo che nel secondo capitolo, non ha una locazione precisa. Non pone la sua sede "nel cielo", e non si capisce bene dove voglia vivere, o se davvero vive in un luogo, pur essendo un essere, o più esseri, antropomorfi.
Per finire, vediamo che viene fatto notare che l’uomo e la donna erano nudi, ma che non provavano vergogna di questo.
Chi è che non prova normalmente vergogna di essere nudo? In genere, due categorie di esseri: gli animali, e i selvaggi.
Sembrerebbe che il significato della loro condizione prima di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, sia proprio questo. Non si vergognavano perché erano persone senza consapevolezza, senza conoscenza, come i selvaggi e le bestie del bosco.
In pratica, detto così non sembra tanto un segno di innocenza perduta, quanto piuttosto il fatto che alla coppia di progenitori mancasse qualcosa di fondamentale per diventare esseri umani compiuti.
La loro condizione dunque appare ambigua: è una benedizione, o una situazione di incompletezza?
Il Signor Dio appare troppo una figura ambigua per poterlo capire chiaramente.
Mi interrompo qui, e nel prossimo post vedremo la conclusione della vicenda.

 
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