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Post n°2330 pubblicato il 06 Settembre 2017 da namy0000
Solo negli ultimi tre mesi la Corea del Nord ha testato il lancio di missili a medio raggio, missili intercontinentali e ora una bomba nucleare all’idrogeno undici volte più potente di quella di Hiroshima. Allo stesso tempo, ha minacciato di usare la nuova tecnologia per colpire città americane come Denver e Chicago o le basi a stelle e strisce nel Pacifico come quella sull’isola di Guam. Il rischio di una catastrofe nucleare è alto, il presidente Usa Donald Trump non risparmia dichiarazioni altrettanto incendiarie («Attaccare la Nord Corea? Vedremo»), eppure James Hoare non è preoccupato: «Io non penso che Pyongyang voglia attaccare: sa che sarebbe un suicidio», dice a tempi.it. «NUCLEARE ARMA DIFENSIVA». Hoare conosce il popolo nordcoreano e il modo di ragionare del regime. È stato il primo diplomatico a rappresentare la Gran Bretagna in Corea del Nord e ha svolto il lavoro necessario all’apertura dell’ambasciata inglese a Pyongyang nei primi anni del 2000. «Kim Jong-un vuole mostrarsi determinato rispetto a quelle che considera aggressioni da parte degli Stati Uniti», spiega. Non è un caso, del resto, che le tensioni nella regione aumentino sempre verso il finire dell’estate, quando si svolgono le esercitazioni militari congiunte di Washington e Seul, da poco terminate. «Il regime continua a concepire il suo programma nucleare come un’arma difensiva. Non attaccheranno per primi a meno che non percepiscano seriamente il rischio di subire un’invasione. Anche agli americani non conviene colpire per primi, perché pagherebbero un prezzo molto alto in termini di vite umane». «KIM E TRUMP CONFUSI». L’associate fellow presso la Chatham House di Londra vede però molta confusione: «Mi sembra che Kim Jong-un, proprio come Trump, non abbia chiaro in mente che cosa vuole fare. Sono entrambi in difficoltà», continua. Per quante armi di distruzione di massa possa sviluppare il regime, però, «non potrà mai sperare di usarle contro gli Stati Uniti senza essere distrutto di conseguenza». Ecco perché un attacco è molto difficile e lo stesso vale per l’America: «Giappone e Corea del Sud soprattutto uscirebbero devastati da una guerra, ma anche i soldati americani di stanza in questi paesi sarebbero messi a rischio, anche perché Pyongyang si prepara da anni a un’eventualità del genere. Trump ha gli stessi problemi dei suoi predecessori: il costo di un conflitto sarebbe così grande che quasi l’opzione non può essere presa in considerazione. Come durante la Guerra Fredda». TORNARE ALLA DIPLOMAZIA. Proprio per questo i due paesi asiatici dovrebbe prendere le redini della diplomazia e tentare di tornare al tavolo delle trattative. E anche se «la Nord Corea sembra sorda alle richieste, alle minacce e alle pressioni della comunità internazionale», ricorda Hoare, «queste in passato hanno funzionato con il padre e il nonno di Kim Jong-un. Quindi non vedo perché bisogna escludere che possano funzionare di nuovo». Il diplomatico ha vissuto in Cina, Corea del Sud, Giappone e Corea del Nord, «popoli splendidi, sono fiducioso per la risoluzione pacifica del conflitto. È quello che desiderano tutti». @LeoneGrotti (TEMPI, 5 sett. 2017) |
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