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Post n°2801 pubblicato il 02 Ottobre 2018 da namy0000
“Oggi, una ragazzina della mia città ha cercato di uccidersi. Si è buttata dal secondo piano. No, non è morta. Ma la botta che ha preso ha rischiato di prenderle la spina dorsale. “Adesso sarete contenti”, ha scritto. Parlava ai suoi compagni. Allora io adesso vi dico una cosa. E sarò un po’ duro, vi avverto. Ma ho ‘sta cosa dentro ed è difficile lasciarla lì. Quando la finirete di mettervi in due, in tre, in cinque, in dieci contro uno? Quando la finirete di far finta che le parole non siano importanti, che non abbiano conseguenze, e poi di scrivere quei messaggi – li ho letti, sì, i messaggi che siete capaci di scrivere – tutti i vostri “figlio di p...”, i vostri “devi morire”. Quando la finirete di dire “ma sì, io scherzavo” dopo essere stati capaci di scrivere “non meriti di esistere”? Quando la finirete di ridere quando passa la ragazza grassa, di indicare con il dito il ragazzo “che ha il professore di sostegno”, di dividere il mondo in fighi e sfigati? Che cosa deve ancora succedere? Che tocchi al vostro compagno, alla vostra amica, a vostra sorella, a voi? E poi voi. Voi genitori, sì. Voi che i vostri figli sono quelli capaci di scrivere certi messaggi. O quelli che ridono così forte. Quando la finirete di chiudere un occhio, di dire “ma sì, ragazzate”? Quando la finirete di non avere idea di che ci fanno otto ore al giorno i vostri figli con quel telefono? Quando la finirete di non leggere le note e le comunicazioni che scriviamo sul libretto personale? Quando la finirete di venire da noi insegnanti una volta l’anno (se va bene)? Quando inizierete a spiegare ai vostri figli che la diversità non è una malattia, o un fatto da deridere; quando inizierete a non essere voi i primi a farlo, perché da sempre non sono le parole ma gli esempi gli insegnamenti migliori? Quando una ragazzina di 12 anni si butta di sotto non è solo lei che lo sta facendo: siamo tutti noi. e se decide di buttarsi, non lo sta facendo da sola: una piccola spinta arriva da tutti quelli che erano lì e non hanno visto, non hanno fatto, non hanno detto. E tutti noi siamo quelli che quando succedono cose come questa devono vedere, fare, dire. Anzi, urlare. Una parola, una sola: “basta”. (lettera pubblicata da FC n. 8 del 21 febbr. 2016).
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