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Post n°2868 pubblicato il 29 Novembre 2018 da namy0000
2018, Internazionale n. 1283 del 23 nov. Angelica Bălşan è nata e cresciuta in Romania. Suo marito la picchiava e le autorità non la aiutavano. Così si è rivolta alla corte europea dei diritti umani. E ha vinto la causa, senza un avvocato e senza sapere l’inglese. “Era il giorno della festa cittadina. Era settembre, pioveva. Sono rientrata a casa e lui mi ha colpita sul naso. Non la smetteva più di sanguinare. Così ho chiamato l’ambulanza”. Era il 2007. Dopo aver sopportato per quasi 30 anni botte e umiliazioni da parte del marito, Angelica prese 50 lei (poco più di 10 euro) dal suo stipendio da ingegnera presso la miniera di Lonea, in Romania, si fece fare un certificato medico per la frattura del setto nasale e andò alla stazione di polizia di Petroşani, la cittadina della valle del Jiu dove abita. “Era il 1986 o forse il 1987. Mio marito smise di contribuire finanziariamente alla vita familiare e cominciò a picchiarmi tutti i giorni”, racconta. “Diventava violento senza motivo. Al lavoro mi giudicavano. Un giorno, era febbraio, mi misi gli occhiali scuri perché avevo un occhio nero. Dissi che ero caduta, che avevo sbattuto da qualche parte. E loro: ‘Smettila di prenderci in giro, lo sappiamo che ti picchia’. Stavo impazzendo. Andai a parlare con uno psicologo, al lavoro ne avevamo uno. Andavo tutti i giorni e gli raccontavo cosa subivo da lui. E lui mi diceva di copiare cento volte su un foglio le parole ‘Io non ho paura di lui, non mi può far male’”… “Aveva un’inclinazione per la violenza. Ma non era uno stupido. E io lo amavo molto. Non so se i miei sentimenti fossero ricambiati. Secondo i miei figli lui non mi amava affatto”. Poi chiese il divorzio, dopo sei anni di convivenza e ventotto di matrimonio. In quei mesi complicati le botte si moltiplicarono. I poliziotti accorrevano sempre alle sue chiamate, ma non si davano mai troppo da fare per aiutarla. “Ma davvero credete a lei? Dovete credere a me!”, ripeteva il marito quando veniva interrogato dagli agenti, che sceglievano sempre la soluzione più comoda, cioè una multa di 200 lei, circa 50 euro, per disturbo della quiete pubblica e i soliti consigli di buon senso. Angelica andava dai vicini per convincerli a testimoniare. Funzionò con una persona sola, tutti gli altri rifiutarono… “E così mi sono detta: ‘Proviamo con Strasburgo!’. Era il 2009… prese un appuntamento con un’avvocata del posto e le spiegò la sua idea. La donna si rifiutò di rappresentarla. Ma poi mi propose di andare da lei la mattina successiva: mi avrebbe dato i formulari e gli indirizzi per scrivere alla corte”. E Angelica fece così. Oggi ha un solo desiderio: vivere abbastanza per finire il libro che ha cominciato a scrivere qualche mese fa. Vuole raccontare la sua vita e lasciare questo mondo sapendo che forse, in futuro, una giovane donna entrerà in una biblioteca di provincia per chiedere il libro La moglie del securista. Dopo aver scoperto il calvario dell’autrice, l giovane lettrice potrebbe aprire gli occhi e decidere di non permettere a nessuno di metterle le mani addosso. Mai, nemmeno una volta. Basterebbe questo per rendere il mondo un posto migliore. |
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