Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

 

Da Zen a Gesù

Post n°4066 pubblicato il 26 Settembre 2024 da namy0000
 

Da Zen a Gesù

 

 

Masterbee, 66 anni, svizzero, artista e maestro di meditazione, cattolico di nascita. Vive con la moglie cantante e scultrice, in una casa-eremo. Aveva cercato l’illuminazione nel buddhismo, nello yoga e nello zen. Cercava ancora quando un maestro indù gli disse: “ritorna là da dove sei venuto e vi troverai quello che stai cercando”. Masterbee ha raccontato tutte queste esperienze nel suo volume Mendicante di luce, ediz. San Paolo. La voce di Masterbee e il suo sguardo chiaro e penetrante esprimono la gioia di chi ha trovato la fonte nella preghiera, nella messa quotidiana, nell’amore per gli ammalati per cui prega con la moglie ogni giorno. Dice: “L’incarnazione di Cristo è il più grandioso avvenimento di tutta la storia dell’umanità. Cristo ha rinnovato la materia trasformando il mondo e riportando l’intero cosmo all’origine della sua causa primordiale: il Padre. Grazie alla comprensione che tutta la materia nella sua essenza è energia, possiamo giungere all’intuizione profonda dell’unità indivisibile della creazione, senza perdere la nostra autentica tradizione religiosa. Chi si rivolgeva a me cercava la via dell’illuminazione interiore e oggi ancora mi cercano per trovare la via del cuore, attraverso la preghiera di Gesù, che ho imparato da uno starez ortodosso e che pratichiamo al posto della meditazione del profondo. La bellezza delle altre tradizioni non è scomparsa dalla mia coscienza, ma quelle esperienza, pure importanti, non sono state in  grado di trasmettermi la luce che ho incontrato in Cristo. Ogni autentica tradizione è ispirata da Dio nel suo imperscrutabile disegno divino. Le tradizioni religione sono il più grande dono di Dio, senza di esse la vita perderebbe significato.le pratiche di meditazione orientali per noi sono limitate. La ricerca del sé è solo una tappa del nostro percorso verso l’Assoluto. La preghiera di Gesù della tradizione ortodossa sostituisce la meditazione buddhista e induista. Con la sola ricerca del sé interiore l’uomo non può salvarsi. La salvezza deve venire dall’alto e si è perfettamente realizzata con la venuta di Cristo. Abbiamo nei sacramenti il culmine della trascendenza: in essi riceviamo e sperimentiamo l’amore di Dio. Mia moglie è stata messa sul mio cammino da Dio, la sua presenza ha agevolato la mia ricerca della trascendenza. Viviamo in profonda comunione spirituale. Il rapporto tra l’uomo e la donna è il più grande dono di Dio. Ma occorre mettere da parte il nostro Io negativo e sostituirlo con il dono dell’amore se Cristo è al centro, la coppia raggiunge la più alta gioia spirituale. Per l’uomo d’oggi la sfida del matrimonio è la più interessante, ma anche la più difficile. La coppia che chiede aiuto nella preghiera e nei sacramenti è sicura. L’indissolubilità non è un’utopia, ma uo dei più grandi doni e verità che Cristo ha lasciato alla sua Chiesa. Ora non cerco altro che la grazia di rimanere nella luce e nella misericordia di Dio”.

 

Pratiche di occultismo e magìa

(secondo Masterbee)

“Le pratiche medianiche e la magìa fanno perdere l’anima. Personalmente ho sperimentato il devastante peso che queste forze esercitano sulla psiche e sull’anima. La magìa è diabolica e vuole sostituirsi a Dio, col pretesto di aiutare l’uomo, lo cattura con false promesse e lo lega alle potenze delle tenebre. A chi ha avuto a che fare con la magìa consiglio di rivolgersi alla Chiesa, che sola è in grado di liberare l’anima”.

 
 
 

Il tepore di un abbraccio

Post n°4065 pubblicato il 21 Settembre 2024 da namy0000
 

p. Ermes Ronchi – Commento al Vangelo di domenica 22 Settembre 2024

Domenica 22 Settembre 2024
Commento al brano del Vangelo di: Mc 9,30-37

IL TEPORE DI UN ABBRACCIO

Il vangelo introduce tre nomi di Gesù totalmente sbagliati e impossibili: ultimo, servo, bambino.

E i dodici non capiscono, proprio come noi.

Gesù sta dicendo loro che tra poco sarà assassinato e quelli parlano d’altro, parlano di carriere: chi è più grande tra noi?

Il rabbi li stravolge con quel limpidissimo pensiero: chi vuol essere il primo sia l’ultimo e il servo di tutti.

Di cosa stavate parlando?

Di chi è il più grande.

Questione infinita, che inseguiamo da millenni. Questa fame di potere, questa furia di comandare è da sempre annuncio di distruzione.

Gesù si colloca a una distanza abissale da tutto questo: se uno vuol essere il primo sia il servo.

Ma non basta: Servo di tutti, senza limiti. E non basta ancora: prese un bambino, lo pose in mezzo e lo abbracciò.

Un bambino!

E’ il modo magistrale di Gesù, che s’inventa qualcosa di inedito come un abbraccio all’ultimo della fila, grande schiaffo in faccia ad ogni potere.

Tutto il vangelo in un abbraccio è rivelazione, è altissima teologia sulla verità di Dio.

In quella casa di Cafarnao c’è una parabola in azione: è Dio che si scioglie in un abbraccio al più piccolo perché nessuno sia perduto, non una briciola di pane, non un agnellino in fondo al gregge, non due spiccioli di un tesoro.

Proporre il bambino come modello del credente è l’impensato.

Cosa ne sa lui? Solo la tenerezza degli abbracci, l’emozione delle corse, il vento sul viso. Non sa niente di filosofia, di teologia, di morale, ma conosce come nessuno il senso della fiducia, da cui imparare.

Chi accoglie un bambino accoglie me! Gesù compie un enorme passo avanti, lo indica come sua immagine. Vertigine del pensiero. Il Re dei re, il Creatore, l’Eterno, l’infinito, l’assoluto, l’immenso, sta in un cucciolo d’uomo.

E questo vuol dire che come ogni bambino anche Dio va protetto, accudito, custodito, aiutato, accolto, perché “chi accoglie un bambino accoglie me, accoglie il Padre”.

Accogliere, verbo che plasma il mondo come Dio lo sogna.

Avremo un futuro buono solo quando l’accoglienza sarà il nome nuovo della civiltà; quando accogliere o respingere i disperati, i piccoli, sarà considerato accogliere o respingere Dio stesso. Se vogliamo un mondo che stia in piedi davvero non c’è altra strada che ripartire dal più bisognoso.

Questa è la fede, che poggia sulla giustizia.

Il bambino conosce la speranza perché sa aprire la bocca in un sorriso quando ancora non ha smesso di asciugarsi le lacrime.

I bambini danno ordini al futuro.

Loro sì, sanno vivere come i gigli del campo e gli uccelli del cielo.

Proviamoci anche noi: quando ci sentiamo senza appoggio e speranza, ricordiamo quel bambino abbracciato, e anche noi come lui sentiremo lo stupore tiepido delle braccia di Dio..

 
 
 

Violenza di genere

Post n°4064 pubblicato il 13 Settembre 2024 da namy0000
 

2024, Avvenire, 12 settembre

Fatou: io, sopravvissuta ora lotto contro il “taglio”

Fatou Baldeh: due premi prestigiosi ricevuti a Washington e a Ginevra. E lei, attivista contro le mutilazioni genitali femminili, sopravvissuta al “taglio” (così lo chiama, the cut) subìto a 8 anni, ad Avvenire dice che è orgogliosa di tanta visibilità, per sé stessa e il suo lavoro, ma soprattutto perché le ragazze del suo Paese, il Gambia, che non hanno opportunità e pensano di non poter far altro della propria vita che sposarsi molto giovani e aver molti figli, guardando lei potranno capire che sì, anche una donna può cambiare il mondo.

Un modello di ruolo, dice parlando su Whatsapp dal suo ufficio a Brusubi, località sulla costa atlantica a pochi chilometri da Banjul, la capitale di questo piccolo Paese dell’Africa occidentale, 2,5 milioni di abitanti, tutto stretto dentro il territorio del
Senegal. Fatou Baldeh, appena superati i 40 anni, sorriso aperto, inglese sciolto e velocissimo, una gran massa di capelli scuri che le incorniciano il volto affilato, è la fondatrice e la presidente di Will, Women in Liberation & Leadership. «Siamo in 8, tutte “tagliate” (infibulate, ndr): giriamo per villaggi e comunità rurali a parlare con gli abitanti per spiegare che le mutilazioni non sono un bene per le donne, che provocano malattie fisiche e mentali e che tradizione e abitudini si possono cambiare».

Un lavoro difficile, in un Paese che detiene il record mondiale del 75% di ragazze e donne sottoposte a mutilazioni genitali (Fgm) nonostante dal 2015 esista una legge che le vieta. «Io stessa, quando da ragazza sono andata in Scozia per procurarmi un’istruzione, pensavo che la mia situazione fosse normale. Ho dovuto leggere e studiare molto per capire che è una tortura, deleteria per la salute fisica e psichica. Sono tornata in Gambia con l’obiettivo di aiutare il mio Paese a svilupparsi, a crescere. Nessuno può farlo per noi, dobbiamo impegnarci noi gambiani. Ma il “taglio” ha radici profonde nella nostra società, nelle credenze e nelle superstizioni, è parte della nostra identità, considerato un rito di passaggio all’età adulta e spesso sono le nonne che lo impongono alle nipoti.

Talvolta mi trattano come se fossi una traditrice dei valori tradizionali, mi accusano di essermi fatta corrompere dall’ideologia occidentale. Serve tempo e soprattutto educazione».

Quando è accaduto a lei, non sapeva cosa stesse succedendo, c’erano altre 10 bambine, furono stese a terra e una donna iniziò a inciderle gli organi genitali, senza farmaci, senza antidolorifici, solo con un coltellino affilato. «Può immaginare quanto è stato traumatico», dice. Fu trattata per diversi giorni con acqua e sale e impacchi di erbe, lei non smetteva di piangere dal dolore. Quando la ferità si rimarginò, ci fu una grande cerimonia, una festa. Era diventata grande. Le mutilazioni genitali femminili sono talmente radicate in Gambia che lo scorso luglio per un soffio non è stato abrogato il divieto del 2015, rendendo nuovamente legale ciò che ancora viene praticato ma perlomeno fuorilegge.

«È stata la prima volta che ho visto le donne del mio Paese lottare per se stesse», racconta. «Per fortuna la legge non è passata e il bando alle Fgm è rimasto. Ero contenta, ma anche arrabbiata: un Parlamento di soli uomini (58 i seggi, solo 5 le donne, ndr) ha messo a repentaglio la salute e la vita delle ragazze del Gambia».

La donna a cui Fatou si ispira – racconta - è la madre, che prima si opponeva al suo lavoro e oggi è la sua prima supporter, tanto da aver salvato una nipote, la prima della famiglia a non essere stata “tagliata”. Ma non sono solo le Fgm a rendere inquieta e nello stesso tempo combattiva Fatou: la violenza di genere è così endemica in Gambia che «le donne pensano di meritarsi le botte dai mariti se escono senza il loro permesso. E purtroppo nel Paese non esistono case di accoglienza, strutture che possano salvarle. Vengono da noi, facciamo il possibile, ma non riusciamo a dare sufficiente protezione. Questo mi rende tristissima». Fatou è sposato e ha due figli maschi. E questa è la sfida della sua vita: «Crescere ragazzi che rispettino le donne e le diversità. Da qui inizia il vero cambiamento».

 
 
 

Coraggio di resistere

2024, don Maurizio, Avvenire, 12 settembre

Luigi, l’imprenditore che resiste alla camorra. Pagando di persona

Tra i tanti amici laici che rendono ricca la mia vita scelgo l'industriale napoletano che ha mostrato come si tiene testa al mostro che vuole succhiarci la vita. Una lezione di libertà e di coraggio

Gesù inviò i discepoli a due a due perché uno potesse sostenere l’altro quando la giornata pesa, le forze scemano, la tentazione avanza. Ma, soprattutto, quando la gioia – prepotente – irrompe. Non è bene che l’uomo sia solo. La solitudine - da ricercare e salvaguardare - non è mai fuga dagli altri ma esigenza di stare con te stesso per meglio incontrarli e servirli dopo.
L’amico è dono e impegno. Presenza di Dio nei giorni feriali, specchio in cui ti guardi, spalla su cui ti appoggi. E se – può succedere, e succede – qualcuno viene meno e ti delude, non scoraggiarti, ma fermati, aguzza lo sguardo, scruta l’orizzonte, tieniti pronto: qualcosa di nuovo sta avanzando.

I miei amici: discepoli e maestri, sentinelle discrete e cercatori d’oro. I miei amici laici, un mondo in continua espansione. Li cerco, mi cercano, quando la tempesta infuria e quando il cuore canta. Senza di loro non sempre scorgerei le trappole che mi insidiano il cammino; e così anche senza di me qualcuno si sarebbe già smarrito nei meandri della vita. Dio stesso mi ordina di essere amico e di fare affidamento sugli amici. “È rischioso”, borbotta qualcuno. È vero, ma in questo mondo tutto è rischioso, finanche bere un sorso d’acqua o fare un tuffo in mare.

Cari compagni del mio pellegrinaggio in questa unica e irripetibile avventura della vita, bella da morire, ma anche tanto tragica e spietata, con umiltà vi dico – ma lo sapete già – che ho bisogno di voi, del vostro affetto, dei vostri consigli, dei vostri stimoli, della vostra intelligente e garbata ironia. Per essere uomo, per essere prete; per non essere un uomo squallido, un prete meschino. Per non illudermi, non gonfiarmi, non deprimermi. E – lo so – voi avete bisogno di me, del mio celibato, della mia caparbietà, del mio sacerdozio. Dell’Eucaristia che, indegnamente, vi dono e mi dono.

I miei amici laici. Le nostre vocazioni si sono intrecciate. Avanzano insieme. S’illuminano a vicenda. Vi chiedo perdono se dovendo raccontare ai lettori di “Avvenire” una storia, ho scelto quella di Luigi. Sono certo che farà piacere anche a voi. So quanto gli volete bene. Ci conoscemmo – per caso? esiste il caso? – a uno dei tanti convegni sulla legalità, una dozzina di anni or sono. Non lo sapeva, non potevamo saperlo, ma aveva bisogno di noi. Ce ne accorgemmo, allargammo la tenda, lasciammo fare alla Provvidenza.

Era un giovane industriale napoletano, felice di dare lavoro a decine di famiglie. La vita gli sorrideva. Gli affari andavano a gonfie vele. Grandi progetti per il futuro. Tutto procedeva per il meglio, fino a quando non arrivarono “loro”, le iene fameliche, i camorristi nostrani, che affossano l’economia e condannano a morte il territorio. “Se vuoi continuare a produrre – gli dissero con fare spocchioso e tracotante – devi pagare. Dobbiamo vivere tutti. Non puoi pensare solo a te stesso. E guai a te e alla tua famiglia se solo tenti di fare il furbo”. E se ne andarono facendo rombare i motori delle potenti moto sulle quali erano montati.

Che fare? Pagare? Pagano tutti. Ribellarsi? Gli scaltri dicono che non conviene, è inutile, pericoloso. “Quelli” non guardano in faccia a nessuno; sono vigliacchi, si vendicano, ti rovinano, ti ammazzano. Luigi si piega. A malincuore, obbedisce. La gallina dalle uova d’oro ha fatto il suo ingresso nel pollaio maledetto. “Loro” alzano continuamente il tiro. Non si accontentano mai. Chiedono. Chiedono. Vogliono di più, sempre di più. Arroganti. Invidiosi. Blasfemi. Stupidi. Sanguinari. Il pizzo viene pagato a scadenze settimanali. I ritardi non sono tollerati. Denaro contante per non lasciare tracce, quelle stesse tracce che, nei processi, invano, vanno cercando i giudici per poterli condannare.

A ogni pur minimo tentativo di ribellione partono le intimidazioni. Dalle minacce agli schiaffi in pieno viso, il passo è breve. Luigi viene sequestrato. Rinchiuso in uno scantinato puzzolente alle porte di Secondigliano. Soldi. Vogliono i soldi. Tanti. Ma che razza di vita è questa? Basta! Luigi si ribella. Ne parla in famiglia. Chi gli vuole bene, trema. Lo sconsiglia. Piange. Lo invoca di non farlo. Lui va avanti. Denuncia. Gli bruciano i locali. Denuncia ancora. Lo inseguono. Gli tagliano la strada. Finisce all’ospedale. In coma.
La vita di questo giovane è in pericolo. Trasloca in continuazione. Lo Stato gli corre incontro. Arriva la scorta. Vita blindata. La via del calvario è lunga e tortuosa. Tribunali. Processi. Condanne. Assoluzioni. Rabbia. Burocrazia pedante. Pianti. Carte. Avvocati. Paura. Speranza. Un’esistenza stravolta. La ricchezza di una volta è ormai un ricordo. Dove passano “costoro” avanza il deserto. Il giardino profumato lascia lo spazio alla discarica. Si combatte. Ognuno con le armi che ha a disposizione. A nessuno è consentito di tirarsi indietro. Unica certezza: il male non vincerà. Anche se nessuno può prevedere il tempo in cui la camorra sarà relegata solo nei libri di storia.

Luigi è entrato nelle nostre vite e noi nella sua. Aveva bisogno di noi, della nostra amicizia, della nostra lealtà, della nostra fede, della nostra comunità parrocchiale. E noi di lui, delle sue lacrime, del suo dolore, del suo grido di rabbia, del suo coraggio, delle sue paure, della sua sete di giustizia. La sua storia, raccontata nel libro “La paura non perdona”, è una lucida e drammatica testimonianza di come la vita di un giovane industriale napoletano è stata devastata dalla camorra maledetta.

Luigi, un giovane che ha pagato un prezzo altissimo ai nemici dello Stato ma che ha tenuta alta, per noi tutti, la bandiera della dignità e della libertà. Un uomo al quale vorrei che l’Italia e gli italiani tutti dicessero semplicemente “grazie”.

 
 
 

Voglio ringraziarti

Post n°4062 pubblicato il 07 Settembre 2024 da namy0000
 

“Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita. Ho letto, da qualche parte, che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati.

A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore, che anche Tu abbia un’ala soltanto. L’altra la tieni nascosta, forse per farmi capire che anche Tu non vuoi volare senza di me. Per questo mi hai dato la vita: perché io fossi tuo compagno di volo. Insegnami allora a librarmi con Te. Perché vivere non è ‘trascinare la vita’, non è ‘strappare la vita’, non è ‘rosicchiare la vita’. Vivere è abbandonarsi, come un gabbiano, all’ebbrezza del vento. Vivere è assaporare l’avventura della libertà. Vivere è stendere l’ala, l’unica ala, con la fiducia di chi sa di avere nel volo un partner grande come Te!

Ti chiedo perdono per ogni peccato contro la vita. Anzitutto, per le vite uccise prima ancora che nascessero. Sono ali spezzate. Sono voli che avevi progettato di fare e Ti sono stati impediti. Viaggi annullati per sempre. Sogni troncati sull’alba.

Ma Ti chiedo perdono, Signore, anche per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi. Per i voli che non ho saputo incoraggiare. Per l’indifferenza con cui ho lasciato razzolare nel cortile, con l’ala penzolante, il fratello infelice, che avevi destinato a navigare nel cielo. E Tu l’hai atteso invano, per crociere che non si faranno mai più.

Aiutami ora, a planare, Signore. A dire, terra terra, che l’aborto è un oltraggio grave alla Tua fantasia. È un crimine contro il Tuo genio. È un riaffondare l’aurora nelle viscere dell’oceano. È l’antigenesi più delittuosa. È la ‘decreazione’ più desolante. Ma aiutami a dire, anche, che mettere in vita non è tutto. Bisogna mettere in luce. E che antipasqua non è solo l’aborto, ma è ogni accoglienza mancata. È ogni rifiuto del pane, della casa, del lavoro, dell’istruzione, dei diritti primari. Antipasqua è la guerra, ogni guerra. Antipasqua è lasciare il prossimo nel vestibolo malinconico della vita, dove ‘si tira a campare’, dove si vegeta solo. Antipasqua è passare indifferenti vicino al fratello che è rimasto con l’ala, l’unica ala, inesorabilmente impigliata nella rete della miseria e della solitudine. E si è ormai persuaso di non essere più degno di volare con Te. Soprattutto per questo fratello sfortunato, dammi, oh Signore, un’ala di riserva!” (don Tonino Bello, vescovo nato ad Alessano-LE, 1935-1993, pastore e profeta del secolo scorso,  da “Alla finestra la speranza. Lettere di un vescovo”ha scritto, fra l’altro, “Le mie notti insonni”).

 
 
 

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