Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Giugno 2023

Responsabili

Post n°3882 pubblicato il 25 Giugno 2023 da namy0000
 

PAPA FRANCESCO

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 25 giugno 2023

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno, buona domenica!

Nel Vangelo di oggi Gesù ripete ai suoi discepoli, per ben tre volte: «Non abbiate paura» (Mt 10,26.28.31). Poco prima ha parlato loro delle persecuzioni che dovranno subire per il Vangelo, una realtà ancora attuale: la Chiesa, infatti, fin dalle origini ha conosciuto, insieme alle gioie – e ne aveva tante! –, tante persecuzioni. Sembra paradossale: l’annuncio del Regno di Dio è un messaggio di pace e di giustizia, fondato sulla carità fraterna e sul perdono, eppure riscontra opposizioni, violenze, persecuzioni. Gesù però dice di non temere: non perché nel mondo andrà tutto bene, no, ma perché per il Padre siamo preziosi e nulla di ciò che è buono andrà perduto. Ci dice quindi di non farci bloccare dalla paura, ma di temere piuttosto un’altra cosa, una sola. Qual è la cosa che Gesù ci dice che dobbiamo temere?

Lo scopriamo attraverso un’immagine che Gesù utilizza oggi: l’immagine della “Geenna” (cfr v. 28). La valle della “Geenna” era un luogo che gli abitanti di Gerusalemme conoscevano bene: era la grande discarica dei rifiuti della città. Gesù ne parla per dire che la vera paura da avere è quella di buttare via la propria vita. Gesù dice: “Sì, abbiate paura di questo”. Come a dire: non bisogna tanto temere di subire incomprensioni e critiche, di perdere prestigio e vantaggi economici per restare fedeli al Vangelo, ma di sprecare l’esistenza a inseguire cose di poco conto, che non riempiono di senso la vita.

E questo è importante per noi. Anche oggi, infatti, si può essere derisi o discriminati se non si seguono certi modelli alla moda, che però mettono spesso al centro realtà di secondo piano: per esempio, seguire le cose anziché le persone, le prestazioni anziché le relazioni. Facciamo qualche esempio. Penso a dei genitori, che hanno bisogno di lavorare per mantenere la famiglia, ma non possono vivere solo per il lavoro: hanno bisogno del tempo necessario per stare con i figli. Penso anche a un sacerdote o a una suora: devono impegnarsi nel loro servizio, ma senza dimenticare di dedicare tempo a stare con Gesù, altrimenti cadono nella mondanità spirituale e perdono il senso di ciò che sono. E ancora, penso a un giovane o a una giovane, che hanno mille impegni e passioni: la scuola, lo sport, vari interessi, i telefonini e i social, ma hanno bisogno di incontrare le persone e realizzare dei sogni grandi, senza perdere tempo in cose che passano e non lasciano il segno.

Tutto ciò, fratelli e sorelle, comporta qualche rinuncia di fronte agli idoli dell’efficienza e del consumismo, ma è necessario per non andare a perdersi nelle cose, che poi vengono buttate via, come si faceva allora nella Geenna. E nelle Geenne di oggi, invece, spesso finiscono le persone: pensiamo agli ultimi, spesso trattati come materiale di scarto e oggetti indesiderati. Rimanere fedeli a ciò che conta costa; costa andare controcorrente, costa liberarsi dai condizionamenti del pensare comune, costa essere messi da parte da chi “segue l’onda”. Ma non importa, dice Gesù: ciò che conta è non buttare via il bene più grande, la vita. Solo questo deve spaventarci.

Chiediamoci allora: io, di che cosa ho paura? Di non avere quello che mi piace? Di non raggiungere i traguardi che la società impone? Del giudizio degli altri? Oppure di non piacere al Signore e di non mettere al primo posto il suo Vangelo? Maria, sempre Vergine, sapiente Madre, ci aiuti ad essere saggi e coraggiosi nelle scelte che facciamo.

 
 
 

Gli artisti vedono e sognano

Post n°3881 pubblicato il 25 Giugno 2023 da namy0000
 

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AGLI ARTISTI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO IN OCCASIONE DEL
50° ANNIVERSARIO DELL'INAUGURAZIONE DELLA
COLLEZIONE D'ARTE MODERNA DEI MUSEI VATICANI

Cappella Sistina 
Venerdì, 23 giugno 2023

[Multimedia]

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Buongiorno, benvenuti! Qui tutto è arte, lì [indica gli affreschi], voi, tutti! Benvenuti!

Vi ringrazio per aver accolto il mio invito. La vostra presenza mi rallegra, perché la Chiesa ha sempre avuto un rapporto con gli artisti che si può definire nello stesso tempo naturale e speciale. Si tratta di un’amicizia naturale, perché l’artista prende sul serio la profondità inesauribile dell’esistenza, della vita e del mondo, anche nelle sue contraddizioni e nei suoi lati tragici. Questa profondità rischia di diventare invisibile allo sguardo di molti saperi specializzati, che rispondono a esigenze immediate, ma stentano a vedere la vita come realtà poliedrica. L’artista ricorda a tutti che la dimensione nella quale ci muoviamo, anche quando non ne siamo consapevoli, è quella dello Spirito. La vostra arte è come una vela che si riempie dello Spirito e fa andare avanti. L’amicizia della Chiesa con l’arte è dunque qualcosa di naturale. Ma è pure un’amicizia speciale, soprattutto se pensiamo a molti tratti di storia percorsi insieme, che appartengono al patrimonio di tutti, credenti o non credenti. Memori di questo aspettiamo nuovi frutti anche nel nostro tempo, in un clima di ascolto, di libertà e di rispetto. La gente ha bisogno di questi frutti, di frutti speciali.

Romano Guardini scriveva che «lo stato in cui si trova l’artista mentre crea è affine a quello del fanciullo e pure del veggente» (L’opera d’arte, Brescia 1998, 25). Mi sembrano due paragoni interessanti. Secondo lui «l’opera d’arte apre uno spazio in cui l’uomo può entrare, in cui può respirare, muoversi e trattare le cose e gli uomini, fattisi aperti» (ivi, p. 35). È vero, quando si opera nell’arte i confini si allentano e i limiti dell’esperienza e della comprensione si dilatano. Tutto appare più aperto e disponibile. Allora si acquista la spontaneità del bambino che immagina e l’acutezza del veggente che coglie la realtà.

Sì, l’artista è un bambino – non deve suonare come un’offesa –; significa che si muove anzitutto nello spazio dell’invenzione, della novità, della creazione, del mettere al mondo qualcosa che così non si era mai visto. Facendo questo, smentisce l’idea che l’uomo sia un essere per la morte. L’uomo deve fare i conti con la sua mortalità, è vero, ma non è un essere per la morte, bensì per la vita. Una grande pensatrice come Hannah Arendt afferma che il proprio dell’essere umano è quello di vivere per portare nel mondo la novità. Questa è la dimensione di fecondità dell’uomo. Portare la novità. Anche nella fecondità naturale ogni figlio è una novità. Aprire e portare novità. Voi artisti realizzate questo, facendo valere la vostra originalità. Nelle opere mettete sempre voi stessi, come esseri irripetibili quali noi tutti siamo, ma con l’intenzione di creare ancora di più. Quando il talento vi assiste, portate alla luce l’inedito, arricchite il mondo di una realtà nuova. Penso ad alcune parole che leggiamo nel Libro del profeta Isaia, quando Dio dice: «Ecco, faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia: non ve ne accorgete?» (43,19). E nell’Apocalisse conferma: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (21,5). La creatività dell’artista sembra così partecipare della passione generativa di Dio. Quella passione con la quale Dio ha creato. Siete alleati del sogno di Dio! Siete occhi che guardano e che sognano. Non basta soltanto guardare, bisogna anche sognare. Diceva uno scrittore latinoamericano che noi, le persone, abbiamo due occhi: uno per guardare quello che vediamo e un altro per guardare quello che sogniamo. E quando una persona non ha questi due occhi, o soltanto parte di uno o dell’altro, le manca qualcosa. Vedere quello che sogniamo… La creatività dell’artista: non basta soltanto guardare, bisogna sognare.  Noi esseri umani aneliamo a un mondo nuovo che non vedremo appieno con i nostri occhi, eppure lo desideriamo, lo cerchiamo, lo sogniamo.

Voi artisti, allora, avete la capacità di sognare nuove versioni del mondo. E questo è importante: nuove versioni del mondo. La capacità d’introdurre novità nella storia. Per questo Guardini dice che assomigliate anche ai veggenti. Siete un po’ come i profeti. Sapete guardare le cose sia in profondità sia in lontananza, come sentinelle che stringono gli occhi per scrutare l’orizzonte e scandagliare la realtà al di là delle apparenze. In ciò siete chiamati a sottrarvi al potere suggestionante di quella presunta bellezza artificiale e superficiale oggi diffusa e spesso complice dei meccanismi economici che generano disuguaglianze. Quella bellezza non attira, perché è una bellezza che nasce morta. Non c’è vita lì, non attira. È una bellezza finta, cosmetica, un maquillage che nasconde invece di rivelare. In italiano si dice “trucco” perché ha qualcosa dell’inganno. Voi vi tenete distanti da questa bellezza, la vostra arte vuole agire come coscienza critica della società, togliendo il velo all’ovvietà. Volete mostrare quello che fa pensare, che rende vigili, che svela la realtà anche nelle sue contraddizioni, nei suoi aspetti che è più comodo o conveniente tenere nascosti. Come i profeti biblici, ci mettete di fronte a cose che a volte danno fastidio, criticando i falsi miti di oggi, i nuovi idoli, i discorsi banali, i tranelli del consumo, le astuzie del potere. È interessante questo nella psicologia, nella personalità degli artisti: la capacità di andare oltre, di andare oltre, in tensione tra la realtà e il sogno.

E spesso lo fate con l’ironia, che è una virtù meravigliosa. Due virtù che noi non coltiviamo tanto: il senso dell’umorismo e l’ironia, dobbiamo coltivarle di più. La Bibbia è ricca di momenti di ironia, in cui si prendono in giro la presunzione di autosufficienza, la prevaricazione, l’ingiustizia, la disumanità quando si rivestono di potere e a volte pure di sacralità. Fate bene a essere anche sentinelle del vero senso religioso, a volte banalizzato o commercializzato. In questo essere veggenti, sentinelle, coscienze critiche, vi sento alleati per tante cose che mi stanno a cuore, come la difesa della vita umana, la giustizia sociale, gli ultimi, la cura della casa comune, il sentirci tutti fratelli. Mi sta a cuore l’umanità dell’umanità, la dimensione umana dell’umanità. Perché è anche la grande passione di Dio. Una delle cose che avvicinano l’arte alla fede è il fatto di disturbare un po’. L’arte e la fede non possono lasciare le cose come stanno: le cambiano, le trasformano, le convertono, le muovono. L’arte non può mai essere un anestetico; dà pace, ma non addormenta le coscienze, le tiene sveglie. Spesso voi artisti provate a sondare anche gli inferi della condizione umana, gli abissi, le parti oscure. Noi non siamo solo luce, e voi ce lo ricordate; ma c’è bisogno di gettare la luce della speranza nelle tenebre dell’umano, dell’individualismo e dell’indifferenza. Aiutateci a intravedere la luce, la bellezza che salva.

L’arte è sempre stata legata all’esperienza della bellezza. Simone Weil scriveva: «La bellezza seduce la carne per ottenere il permesso di passare fino all’anima» (L’ombra e la grazia, Bologna 2021, 193). L’arte tocca i sensi per animare lo spirito e fa questo attraverso la bellezza, che è il riflesso delle cose quando sono buone, giuste, vere. È il segno che qualcosa ha pienezza: è infatti allora che ci viene spontaneo dire: “Che bello!” La bellezza ci fa sentire che la vita è orientata alla pienezza. Nella vera bellezza si comincia così a provare la nostalgia di Dio. Molti sperano che l’arte torni maggiormente a frequentare la bellezza. Certo, come dicevo c’è anche una bellezza futile, una bellezza artificiale e superficiale, persino ingannatrice, quella del trucco.

Ma credo che ci sia un criterio importante per discernere, quello dell’armonia. La bellezza vera, infatti, è riflesso dell’armonia. In teologia – è interessante – i teologi descrivono la paternità di Dio, la filiazione di Gesù Cristo, ma quando si tratta di descrivere lo Spirito Santo: lo Spirito è l’armonia. Ipse harmonia est. Lo Spirito è quello che fa l’armonia. E l’artista ha qualcosa di questo Spirito per fare l’armonia. Questa dimensione umana dello spirituale. La bellezza vera, infatti, è riflesso dell’armonia. Essa, se posso dire così, è la virtù operativa della bellezza. È il suo spirito di fondo, in cui agisce lo Spirito di Dio, il grande armonizzatore del mondo. L’armonia è quando ci sono delle parti, diverse tra loro, che però compongono un’unità, diversa da ognuna delle parti e diversa dalla somma delle parti. È una cosa difficile, che solo lo Spirito può rendere possibile: che le differenze non diventino conflitti, ma diversità che si integrano; e nello stesso tempo che l’unità non sia uniformità, ma ospiti ciò che è molteplice. L’armonia fa questi miracoli, come a Pentecoste. Sempre mi colpisce pensare allo Spirito Santo come quello che permette di fare i disordini più grandi – pensiamo alla mattina di Pentecoste – e poi fa l’armonia. Che non è l’equilibrio, no, per fare l’armonia ci vuole prima lo squilibrio; l’armonia è un’altra cosa rispetto all’equilibrio. Quanto è attuale questo messaggio: siamo in un tempo di colonizzazioni ideologiche mediatiche e di conflitti laceranti; una globalizzazione omologante convive con tanti localismi chiusi. Questo è il pericolo del nostro tempo. Anche la Chiesa può risentirne. Il conflitto può agire sotto una finta pretesa di unità; così le divisioni, le fazioni, i narcisismi. Abbiamo bisogno che il principio dell’armonia abiti di più il nostro mondo e cacci via l’uniformità. Voi artisti potete aiutarci a lasciare spazio allo Spirito. Quando vediamo l’opera dello Spirito, che è creare l’armonia delle differenze, non annientarle, non uniformarle, ma armonizzarle, allora capiamo cosa sia la bellezza. La bellezza è quell’opera dello Spirito che crea armonia. Fratelli e sorelle, il vostro genio percorra questa via!

Cari amici, sono felice di questo incontro con voi. Prima di salutarvi, ho ancora una cosa da dirvi, che mi sta a cuore. Vorrei chiedervi di non dimenticarvi dei poveri, che sono i preferiti di Cristo, in tutti i modi in cui si è poveri oggi. Anche i poveri hanno bisogno dell’arte e della bellezza. Alcuni sperimentano forme durissime di privazione della vita; per questo, ne hanno più bisogno. Di solito non hanno voce per farsi sentire. Voi potete farvi interpreti del loro grido silenzioso.

Vi ringrazio e vi confermo la mia stima. Vi auguro che le vostre opere siano degne delle donne e degli uomini di questa terra, e rendano gloria a Dio, che è Padre di tutti, e che tutti cercano, anche attraverso l’arte. E infine vi chiedo, armonicamente, di pregare per me. Grazie.

 
 
 

Cambi di situazioni

Post n°3880 pubblicato il 22 Giugno 2023 da namy0000
 

2023, fra Roberto Pasolini, FC n. 25 del 18 giugno

I cambi di situazioni e stati d’animo di verso opposto che viviamo, pur non piacendoci, sono però veri “passaggi pasquali” che attuano il nostro Battesimo

Nel Battesimo abbiamo ricevuto il seme della vita di Cristo (il santo): la capacità di amare secondo il ritmo e la logica della Pasqua, un incessante movimento di passione, morte e risurrezione. Sappiamo che questo dinamismo si nasconde in tutte le cose e si manifesta come il grande “segreto” di ogni relazione che viviamo.

Facciamo segni di croce sul nostro corpo da quando siamo piccoli, ci genuflettiamo di fronte all’umiltà e al mistero di sofferenza del Signore Gesù che la liturgia ci fa celebrare in diversi modi.

Alziamo poi le braccia in segno di fiducia e vittoria sapendo che, in qualsiasi circostanza, agli occhi di Dio restiamo comunque figli amati. Insomma, siamo teoricamente allenati ad accogliere i continui cambi di “stagione” e di scenario che la vita ci propone o, talvolta, ci impone senza molto preavviso. Però, preferiamo restare in quella zona di comfort dove gli stati d’animo che proviamo sono sinonimi di pace e tranquillità. Non ci piace l’alternanza dei contrari (antonimi) e patiamo molto quei passaggi della vita in cui si scivola rapidamente dalla gioia al dolore. Si tratta di un’allergia comprensibile, perché soffrire non è bello e amaro è sentirsi soli.

Eppure, il mistero della Pasqua si compie in noi proprio in questi passaggi complicati e delicati, dove morire e vivere sembrano essere le due facce della medaglia con cui stiamo pagando il prezzo della nostra libertà. I primi cristiani amavano descrivere la loro sequela di Cristo con toni paradossali, definendosi «come sconosciuti, eppure notissimi; come moribondi, e invece viviamo; come puniti, ma non uccisi; come afflitti, ma sempre lieti; come poveri, ma capaci di arricchire molti; come gente che non ha nulla, e invece possediamo tutto!» (2Corinzi 6,9-10). Sarebbe bello accorgersi che, quando gli opposti sembrano schiacciarci, forse è solo il nostro battesimo che si sta compiendo.

 
 
 

Europavirus

Post n°3879 pubblicato il 18 Giugno 2023 da namy0000
 

2023, FC n. 25 del 18 giugno

Ho trascorso 17 anni in Africa come volontario laico. Uno dei miei ex colleghi africani mi ha contattato cinque mesi fa, dicendomi che ha conosciuto delle persone che con 4mila euro lo facevano partire per l’Europa. L’ho scoraggiato. Circa un mese fa mi ha ricontattato dicendomi che le autorità del Qatar gli avevano concesso il permesso di soggiorno. L’ho scoraggiato ancora, dicendogli che con molta probabilità avrebbe avuto delle brutte sorprese. Dopo pochi giorni mi ha telefonato angosciato per dirmi che era in prigione in quel Paese in attesa di essere rimpatriato e di ricevere da casa il biglietto aereo. Ora è rientrato con la coda tra le gambe, si vergogna terribilmente perché tutti lo deridono. Stiamo assistendo a una pandemia da “Europavirus”, chi ne viene contagiato ha una psicosi e non c’è ragione che tenga… - Giuseppe

 
 
 

La mia famiglia

2023, Scarp de’ tenis, maggio

Vita da homeless. Jean Claude: l’egoismo è la vera povertà

Una vita vissuta in strada, errante, tra l’Europa e l’Australia. Decine di lavori svolti e centinaia di persone incontrate, conosciute, con cui condividere momenti, amicizie, con curiosità e rispetto. «Io vivo per instaurare rapporti con le persone, senza giudizi o pregiudizi», dice Jean Claude sorridendo, uno sguardo intenso e una voce squillante. Originario della Savoia, nei suoi 61 anni ha vissuto in vari Paesi, in molte città e metropoli, rapportandosi con culture, stili di vita differenti, ma sempre sulla base di una convinzione personale: «Avere rapporti sani e veri, parlare con il cuore». Ciò che continua a fare coerentemente da qualche anno a Torino. Privo di una dimora fissa, per scelta, Jean Claude vive la strada svolgendo le sue attività e per questo si rapporta con persone di ogni genere, sempre con un sincero approccio filantropico riconosciuto da tutti, quasi disarmante nella sua semplicità.

Incontri molte persone in strada…

Io non dormo in strada ma ci vivo, mi piace incontrare le persone, stabilire contatti umani. La città è fatta per questo, non si vive da soli, ma con le altre persone, io vivo per instaurare rapporti senza giudizi o pregiudizi. Una vita vale come l’altra, la debolezza economica non deve essere penalizzante, la si può vivere anche con dignità. Ognuno ha il diritto di esistere, è molto importante che ognuno sia riconosciuto come persona.

Tra le persone che frequenti e conosci, molte sono senza dimora: chi sono?

Molti vivono in strada perché non vogliono dipendere da nessun tipo di struttura, anche perché è difficile vivere con le altre persone, non avere la propria privacy, avere usi e abitudini diversi. All’aria aperta non c’è questo problema, perché puoi decidere di allontanarti, di fare altre cose. C’è poi chi ha dipendenze o usa sostanze, dipende. Ho visto e vedo tanti tipi di persone. Nelle mense trovi chi ci va perché non vuole cucinare, oppure non vuole spendere soldi. Si può vivere in strada in modi diversi, circondato da persone oppure senza nessuno intorno, sono scelte personali. Ma alla fine siamo sempre soli con noi stessi: nessuno sa meglio di noi cosa passa nella nostra testa, il perché si prendono certe decisioni e si vive in un certo modo. Per questo è importante mettersi a disposizione, ascoltare.

Ed è così che ti poni…

Sì. Conoscere le persone in senso filantropico, parlare di cose interessanti, costruttive, di argomenti validi. Io non uso alcun tipo di sostanze, quindi sono consapevole di ciò che posso fare con le altre persone, trovo interessante condividere un rapporto in piena lucidità, avere relazioni sane, vere, non deformate. Poi ritengo importante parlare sinceramente, con il cuore.

Spesso agisci quasi da “operatore pari”: perché lo fai?

Sai, in inglese si dice jungle brothers, fratelli di giungla. Possono essere rapporti molto profondi, intensi. I miei fratelli e le mie sorelle sono le persone che incontro ogni giorno. Per me la famiglia di origine è come un albero, i rami seguono strade diverse, spesso si ha in comune solo il punto di partenza, si è fratelli di sangue ma non di vita. Parlando varie lingue riesco a empatizzare con persone di diversi Paesi, quando si parla la stessa lingua si riescono a stabilire rapporti più profondi, ci si sente più a proprio agio. Io parlo con tutti, perché si può sempre dare un po’ di gentilezza, di solidarietà. È importante poter portare un po’ di gioia, anche solo per qualche minuto. Questa è la mia filosofia di vita, poter far stare meglio qualcuno fa stare meglio anche me. Siamo sullo stesso Pianeta, condividiamo quello che c’è da condividere, facciamo qualcosa di utile.

Ti senti in qualche modo un mediatore?

Penso di sì. Lo faccio secondo un’idea di catena umana, posso giocare un ruolo come mediatore per evitare una marginalizzazione, facendo capire che una persona è valida come un’altra e che non va penalizzato nessuno. Non siamo seduti su un piedistallo, non siamo mica divinità. Sentirsi superiori ad altri ci riporta al Medioevo… e forse un po’ ci stiamo tornando. Oggi il punto di partenza è molto debole, c’è molta precarietà e poche certezze.

Come ti mantieni?

Io sono vegetariano e ho una vita molto semplice, non mi serve molto per vivere. Do lezioni di inglese perché mi piace, ma chiedo alle persone di darmi quanto possono, anche niente, dipende dalle possibilità. Con una pinza smontabile che mi sono fabbricato con elementi di un vecchio aspirapolvere, cerco nei cassonetti e trovo piccoli oggetti, vestiti, ombrelli, scarpe, borse che hanno una storia, roba abbastanza pregiata che riesco a recuperare, riparare e vendere a una rete di acquirenti. Si può lavorare in modo nitido, professionale, anche in questo campo. Naturalmente devi andare dove ci sono i soldi, lì trovi cose. In alcuni mercati anche cibo di qualità: fare la spesa diventa un lusso, i mercati non riescono a smaltire tutto e lasciano lì molta roba, frutta e verdura soprattutto.

Come ti vedi in prospettiva?

Non ho più voglia di viaggiare. Mi trovo bene dove sono. Ora vivo in una pensione, ma per il futuro devo valutare altre sistemazioni. Sono molto aperto sulle forme di alloggio, non c’è solo la casa intesa in modo tradizionale. Quando hai poco devi far funzionare di più il cervello, devi gestire quello che c’è. Credo, come si dice, che la casa è dentro il tuo cuore, la felicità è dentro ad ognuno di noi.

Cos’è per te la povertà?

Essere povero è una questione mentale: una mente povera è una mente che non accetta la diversità e le avversità della vita, la vera povertà è l’egoismo. La povertà non va confusa con una debolezza economica, perché la vita è come uno yo-yo, le cose vanno su e giù, non si conosce il proprio destino. Credo dipenda molto da ciò che i genitori e la famiglia hanno insegnato, trasmesso: con principi sani si riesce a comprendere l’importanza del volontariato, la devozione, una cosa che non ha prezzo. Questa è la vera ricchezza, la bellezza della vita.

 
 
 

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