Messaggi del 20/08/2017
“La riflessione parte dagli anni che hanno preceduto la prima guerra mondiale, quando «si poteva viaggiare liberamente in tutto il mondo senza bisogno di documenti o formalità burocratiche. Ognuno andava dove voleva e vi rimaneva finché voleva. Non c’erano permessi né concessioni né lasciapassare». Oggi – però – sostiene il saggio condiviso da Bruno Gulotta – questo non sarebbe più possibile, perché: I governi dell’epoca non assillavano i viaggiatori con controlli doganali, burocrazia, reticolati, passaporti e frontiere anche perché a quei tempi non esisteva il welfare state, e quindi gli immigrati non costituivano mai un costo per gli Stati che li accoglievano. A differenza di oggi il problema dell’immigrazione parassitaria, attirata dai benefici dello “stato sociale”, nemmeno si poneva. La mancanza di assistenzialismo pubblico incentivava gli immigrati a dedicarsi a occupazioni produttive e a integrarsi il prima possibile nella società che li ospitava. Il saggio prosegue paragonando l’immigrazione negli Stati Uniti a fine XIX secolo con l’attuale immigrazione dall’Africa e dall’Asia verso l’Europa. L’attuale arrivo di popolazioni asiatiche e africane in Europa ha quindi un carattere molto diverso dalla grande emigrazione degli europei in America. Confrontando queste due esperienze storiche si ha l’impressione che meno i governi si ingeriscono nelle vite degli immigrati conferendogli “diritti”, facilitazioni o sussidi, più i nuovi arrivati si integrano e hanno successo. (…) Invece di fare la parte delle patetiche e lamentose “vittime della società” o della “discriminazione” come i miserabili scrocconi del welfare state che arrivano oggi in Europa, divennero artefici del proprio destino.
Nell’Europa di oggi, invece, le etnie che usufruiscono in maniera massiccia di sussidi e servizi pubblici possono permettersi di praticare atteggiamenti improduttivi, sprezzanti, pretenziosi, minacciosi, violenti e intimidatori nei confronti della popolazione autoctona, senza subire alcuna conseguenza negativa.” (GIORNALETTISMO, Redazione, 19 agosto 2017). |
Post n°2312 pubblicato il 20 Agosto 2017 da namy0000
“Le prostitute che scelgono liberamente di vendere il proprio corpo per guadagnarsi da vivere e sono soddisfatte del proprio “mestiere” non esistono. Sono invece tutte schiave, comprese le donne che lottano per la legalizzazione della prostituzione. A dirlo è Julie Bindel, autrice di un servizio dello Spectator che per smontare questo falso mito e raccogliere informazioni di prima mano ha girato per i bordelli di tutto il mondo per tre anni: ha condotto 250 interviste in 40 paesi e intervistato 50 sopravvissute al commercio sessuale. Molte le hanno raccontato della violenza, dell’uso di alcool e droghe che si accompagnano alla prostituzione. La conclusione a cui Bindel è arrivata è che quello che viene ipocritamente definito “il lavoro del sesso” in realtà è una nuova forma di schiavitù moderna. IDEOLOGIA LIBERAL. Una delle scoperte più inquietanti, scrive la giornalista, è stata la constatazione che chi chiede con maggior forza la legalizzazione della prostituzione sono proprio coloro che più beneficiano di questo commercio: papponi, proprietari di bordelli e clienti. Tuttavia un’ideologia liberal esasperata (promossa dalla sinistra e da una parte di sostenitori dei cosiddetti “diritti umani”) difende la scelta da parte delle donne di questa “attività” e il “diritto dell’uomo” ad usufruirne. Questa posizione risale al periodo delle campagne contro l’Aids, quando i promotori della legalizzazione erano convinti che la rimozione delle sanzioni penali e la creazione di “zone di tolleranza” avrebbe spinto le prostitute a rivolgersi ad agenzie di supporto e a dotarsi di contraccettivi, e avrebbe inoltre contribuito ad abbassare i livelli di violenza. |
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