Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 22/11/2017

Nel senso che si è appena detto

Post n°2420 pubblicato il 22 Novembre 2017 da namy0000
 

“…Perciò la mafia – nel senso che si è appena detto – continua a tenere in ostaggio la Sicilia anche nel tempo del declino della criminalità organizzata di Cosa Nostra. In realtà il suo potere è tale che non ha neppure bisogno di violare le leggi, perché è in grado di condizionare chi le fa. Quando qualche giornalista chiese a Totò Cuffaro come mai avesse assunto, per chiamata diretta, il ventitreesimo addetto stampa della presidenza della Regione (ogni assessore aveva, poi, i suoi), rispose candidamente che questa era la legge e che lui si limitava a osservarla. È per legge che, ancora oggi, la Sicilia ha circa 25mila guardie forestali, a fronte delle 400 del Piemonte, delle 500 della Lombardia e delle 4.200 di tutto il Canada (che poi si tratti, per la stragrande maggioranza, di precari, è perfettamente funzionale ai meccanismi clientelari pre-elettorali). Come era per legge che la Provincia di Palermo (fino al 2011, quando scoppiò il caso) pagava un congruo straordinario ad alcuni suoi dipendenti per spalare neve in tutti i mesi dell’anno, anche a luglio e agosto. In un bel documento della Cei, pubblicato 1991 e intitolato Educare alla legalità, si identificava quest’ultima non solo con l’osservanza delle leggi, ma con la conformità di queste ultime alle reali esigenze del bene comune. 

 

Riferendosi all’Italia intera, i vescovi denunziavano il pericolo di un «neofeudalesimo, in cui corporazioni e lobby manovrano la vita pubblica, influenzano il contenuto stesso delle leggi, decise a ritagliare per il proprio tornaconto un sempre maggiore spazio di privilegio» (n.7). Questo pericolo in Sicilia è reso particolarmente drammatico dal fatto che il regime dell’Autonomia regionale favorisce quel neo-feudalesimo e consente – come nel caso dei forestali – operazioni spregiudicate a esso funzionali. Non è del resto un caso che l’Assemblea regionale siciliana, appena un anno fa – a metà novembre del 2016 –, abbia definitivamente bloccato con una pioggia di emendamenti presentati da un fronte trasversale, l’approvazione di un Codice etico che mirava a moralizzare le prassi della politica e dell’amministrazione pubblica, sanzionandone tanti comportamenti non strettamente illegali, ma sicuramente scorretti. Oggi, all’indomani delle recenti elezioni che hanno rinnovato il massimo organo legislativo siciliano (sia pure col 53% di astensionismo…), è il momento di ricordare che la mafia non è solo quella dei delinquenti come Riina, ma si annida nei comportamenti di una classe dirigente che ha delle responsabilità gravissime nel crescente degrado della Sicilia e, soprattutto, di sostenere con tutte le forze coloro che, in questo contesto, si sforzano di difendere i diritti della legalità (quella vera). In questa prospettiva, l’accento va sicuramente posto sulla necessità di un’educazione alla cittadinanza che è il solo efficace antidoto contro tutte le forme della mafia, anche di quella che cammina in giacca e cravatta. Un popolo ha i governanti che si merita. Se i siciliani liberi e onesti vogliono uscire da questa difficile situazione, devono impegnarsi a diffondere, soprattutto nelle nuove generazioni, una visione della convivenza che, invece di ridurla alla lotta per la difesa dei privati interessi, scopra il valore del bene comune. Che poi è il vero interesse dei siciliani e di tutti gli italiani” (Avvenire, 21 nov. 2017).

 
 
 

Un tempo il coraggio

Post n°2419 pubblicato il 22 Novembre 2017 da namy0000
 

“Un tempo il coraggio – nella sua accezione di ardimento fisico – era solo opera dell'umano, poi le macchine se ne sono impossessate: non più il guerriero armato delle sue proprie mani, ma di mitragliatrici, carri armati, lanciafiamme, cacciabombardieri. Un po' come accade ora con la tecnologia: fino a trent'anni fa occorreva pronunciarsi, scrivere, telefonare, dunque esporsi. Oggi si può comunicare, anzi si è indotti a farlo, senza un'interfaccia umana, dunque senza rischio, senza paura di compromettersi. E le umane virtù vengono delegate a ciò che umano non è. Così, anche il coraggio e la forza d'animo che vi è intrinsecamente connaturata stanno diventando sempre più un'astrazione virtuale, svuotata di senso, per uomini e donne che vagano senza bussola, giovani accecati dal presente e vecchi incartapecoriti nel ricordo.

Per fronteggiare «la più grande urgenza sociale odierna», Paolo Crepet propone a genitori, educatori e, in particolare, a quei «nativi digitali» che si accingono a esplorare la propria esistenza in una società ipertecnologica un «ipotetico inventario» di alcune declinazioni del coraggio in vari ambiti dell'esperienza umana (il coraggio di educare, di dire no, di ricominciare, di avere paura, di scrivere, di immaginare, di creare…). Un inventario concepito come un'associazione di idee, un brain-storming, un esercizio utile per stimolare adulti e non ancora adulti a ritrovare la forza della sfacciataggine e la capacità di resistenza che la vita ogni giorno ci chiede. Ma in queste pagine Crepet parla soprattutto di un'altra e più ambiziosa forma di coraggio. Quella che dobbiamo inventarci per creare un nuovo mondo, se non vogliamo che siano altri a inventarlo per noi; quella che i giovani devono riscoprire per non ritrovarsi tristi e rassegnati a non credere più nei loro sogni; quella che tutti devono scovare in se stessi per iniziare un rinascimento ideale ed etico. Perché, alla fine, il coraggio è la magica opportunità che permette di capire il presente e di costruire il futuro” (Il coraggio. Vivere, educare, amare, Di Paolo Crepet, Psichiatra - Mondadori - Strade Blu, 2017, 21 nov. 2017). .

 
 
 

Il silenzio dei buoni

Post n°2418 pubblicato il 22 Novembre 2017 da namy0000
 

Il silenzio dei buoni incenerisce (la deriva del Sahel)

 

Amava ripeterlo spesso prima di essere assassinato il 13 dicembre del 1998 nel Burkina Faso. Ciò che più temeva non era la cattiveria dei malvagi, ma il silenzio dei buoni. Lui, giornalista e militante della notizia, sapeva perché queste parole erano così importanti per lui. Norbert Zongo ancora oggi è una delle icone dei giovani nel Burkina e altrove, dove le orme di Thomas Sankara non sono state cancellate. Zongo stava indagando su vicende attinenti alla famiglia presidenziale quando alcuni sicari misero fine al suo anelito di verità. Hanno solo fatto risuonare ancora più forte il grido del suo corpo, trovato carbonizzato nell'auto. Erano in quattro e l'autopsia ha rivelato che sono stati tutti uccisi prima del rogo, in pieno giorno.
È davvero assordante il silenzio dei buoni, che lasciano correre perché così va il mondo da che mondo è mondo. Peggio per coloro che non sono preparati al cambiamento. Dovrebbe capire da che parte tira il vento del potere e chi comanda la nave di sabbia che naviga il pianeta e approda nel Sahel dei migranti. Il silenzio sulle stragi del Mediterraneo, conseguenti alle politiche omicide dell'Occidente. Il silenzio della politica, dell'economia, delle chiese visitate la domenica e delle moschee visitate il venerdì. È un silenzio di pietra, quello dei buoni, che arriva lontano e continua a fabbricare frontiere e si accontenta di dolenti dichiarazioni postume nei cimiteri di sabbia. Prima di lui, Norbert Zongo, era stato ucciso il capitano Sankara. Era un 15 di ottobre, era il 1987 nel suo Faso.
Entrambi temevano più il silenzio dei buoni che la cattiveria dei malvagi. Quest'ultima si vede meglio e, in definitiva, può essere identificata, combattuta e a volte vinta. Non così il silenzio dei buoni politici e religiosi, delle massaie, degli operai metalmeccanici, delle confindustrie, dei capitani di lungo corso e dei generali in pensione. L'insopportabile silenzio degli impiegati statali e quelli della Croce Rossa Internazionale, il silenzio dei costruttori di armi e di coloro che le vendono e usano, dei postini che stanno scomparendo dalle città, dei guardiani dei fari ormai meccanizzati e delle associazioni che gestiscono i centri di detenzione. Sono silenzi complici, che nulla hanno a che vedere con quello del vento che porta lontano le grida assenti.
Nel silenzio si armano i mercati e si disarmano i diritti. Primo tra tutti il diritto di andare da un'altra parte a inventare il mondo. I buoni tacciono mentre si fanno accordi di controllo, detenzione, espulsione e liquidazione. Non si dice nulla quando si deportano le parole assieme alla libertà di futuro. Si guarda dall'altra parte se mancano all'appello quanti un giorno erano partiti dopo aver baciato la madre e l'ultimo nato. Non c'è nulla di peggiore del silenzio dei buoni, diceva Zongo, giornalista nella cenere per le parole che aveva rubato alla menzogna. Gli facevano meno paura della cattiveria dei malvagi, scontata e se vogliamo anche grossolana. Ma il silenzio dei buoni quello no, gli era del tutto insopportabile perché è nell'impunità che si rapina la dignità dei poveri.
La cattiveria dei malvagi non passa affatto inosservata. Basta poco per accorgersi dello spogliamento delle materie prime, dell'appalto dei contratti per l'esplorazione dei giacimenti e lo sfruttamento delle miniere, del commercio di cocaina per il consumo europeo e della vendita degli schiavi in Libia. Tutto accade mentre si finanziano campagne militari e si formano eserciti per combattere il nemico costruito e foraggiato per anni con armi e tecnici. Ma non è questo che preoccupava l'amico giornalista Norbert che dal silenzio dei buoni è stato ucciso, proprio come temeva gli accadesse un giorno. Amava ripeterlo spesso agli amici che lo ricordano ancora. Non c'è nulla di peggio che questo: il silenzio dei buoni che si girano dall'altra parte o tacciono per viltà. Il loro silenzio, continua a ricordare Zongo, è da temere più che le parole dei malvagi. - Niamey, novembre 2017  (
Mauro A., Avvenire, martedì 21 novembre 2017)

 
 
 

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