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Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 22/12/2017

Ci si preoccupa

Post n°2465 pubblicato il 22 Dicembre 2017 da namy0000
 

“Ci si preoccupa per il calo delle nascite e si chiede che siano moltiplicati gli asili nido. Rendiamo invece obbligatoria la concessione del part-time per le mamme che lo chiedono e naturalmente riduciamo i costi previdenziali che, per il part-time, gravano ora, in proporzione maggiore rispetto al tempo pieno, sui datori di lavoro. Gli asili nido potrebbero risolvere il problema dei piccolissimi, ma il problema delle mamme assenti da casa nel pomeriggio, quando i figli più grandi non sono a scuola, è ben più grave. Lasciati soli a “giocare” con internet, potrebbero essere vittime di esperienze tragiche: contatti pericolosi, droga, prostituzione, alcolismo, bullismo (anche attivo!). Solo se si permette alle mamme di essere soprattutto mamme, le donne che lavorano avranno il coraggio di fare più figli e saranno ridotti i pericoli per i ragazzi se essi non saranno più lasciati soli in casa. Migliorerà anche l’atmosfera all’interno delle famiglie se le donne saranno meno stressate da orari di lavoro pesantissimi e le mamme non avranno più il senso di colpa che nasce dal non poter stare sufficientemente in famiglia. E infine, conseguenza non certo secondaria, ricordiamo che un part-time creerebbe un secondo posto di lavoro, magari per un’altra mamma – Carmela B., Verona” (FC n. 51 del 17 dic. 2017).

 
 
 

Scendono in campo

Post n°2464 pubblicato il 22 Dicembre 2017 da namy0000
 

“Rosanna vive da sempre in carrozzina. Non cammina, non parla, riesce a fare pochissime cose. Una le riesce particolarmente bene: voler bene alle persone che incontra. Quando è venuta al mondo, 46 anni fa, sua madre che già di suo aveva gravi problemi e una vita spericolata, non ce l’ha fatta a tenere con sé una bambina con tetraparesi e ritardo psichico. Quando aveva pochi mesi di vita voleva affidarla a un istituto, ma Regina, la sua vicina di casa, le ha detto: «Lasciala a me, la prendo in casa mia insieme a mio marito e ai miei tre figli». E così Rosanna è diventata la beniamina di quella famiglia, trattata come una principessa da mamma Regina, che nel tempo ha ottenuto dai servizi sociali l’affidamento della piccola. Ora ha 46 anni, le sue performance sono ridotte al minimo, ma le limitazioni legate alla condizione fisica non sono un ostacolo alla sua voglia di vivere e di voler bene. Anche per questo Rosanna fa parte dello 'squadrone della vita' messo in piedi dalla Cooperativa sociale Cura e Riabilitazione che da più di vent’anni a Milano aiuta le persone con disabilità mentale e fisica a scoprire e valorizzare i propri talenti. È uno squadrone di sei persone che una volta al mese scendono in campo a bordo di un pullmino e bussano alla porta di persone bisognose nella periferia milanese. Insieme a due volontari vanno a consegnare un pacco di viveri, preparato grazie alle donazioni ricevute dal Banco Alimentare, a chi stenta ad arrivare a fine mese, con una pensione o uno stipendio troppo magri per mantenere la famiglia. Dello squadrone, oltre a Rosanna, fanno parte altri disabili che insieme al pacco portano nelle case la loro voglia di vivere e di sentirsi protagonisti di un gesto di bene. È amore allo stato puro, quello che li muove. Un amore più forte dei limiti che ingabbiano il loro corpo e la loro voce, che si comunica con la semplicità di un sorriso, con la luminosità di uno sguardo, con la forza di un abbraccio che non necessita di parole per comunicare l’intensità che lo muove. «È bello sentirsi amati, è ancora più bello se l’amore arriva da persone speciali come Rosanna e i suoi amici», racconta Consuelo, una donna peruviana che ogni mese apre le porte di casa allo squadrone della vita che l’aiuta a sfamare i suoi quattro figli. E Giuseppina, milanese doc, quando vede arrivare «i ragazzi della cooperativa» – per lei, che ha 93 primavere sulle spalle, tutti sono «ragazzi» – dispone in cerchio le sedie della sua piccola sala perché quei minuti trascorsi insieme la fanno ringiovanire. Li aspetta ogni mese, ma in questi giorni che precedono il Natale il loro arrivo ha un sapore speciale, come il presagio dell’incontro con Gesù che arriva a rendere lieta l’esistenza. Nel pacco che le viene donato ci sono scatole di pasta, caffè, biscotti per rendere più lieve la povertà materiale, ma dagli sguardi di quelle persone lei riceve molto di più. In quegli sguardi c’è la semplicità di chi è 'mancante' di tante cose, ma ricco di ciò che dà significato alla vita. C’è la consapevolezza che ognuno ha un posto in questo mondo, e può occuparlo con dignità in qualsiasi condizione si trovi, perché il valore di ogni uomo è infinitamente più grande delle sue limitazioni fisiche. «Io sono ciò che faccio», recita una pubblicità che in questi giorni riempie i muri delle città. No, non è così: ognuno di noi è molto più di ciò che fa. Siamo oggetto di un Amore più grande delle nostre capacità, delle nostre performance. E da questo Amore siamo resi capaci di amare secondo una misura a noi stessi sconosciuta. Amare una persona è vedere in volto Dio” (Giorgio Paolucci, Avvenire, giovedì 21 dicembre 2017).

 
 
 

Ma che vai dicendo?

Post n°2463 pubblicato il 22 Dicembre 2017 da namy0000
 

La traduzione del 7 dicembreI genitori che difendono la sfrenatezza dei figli

«Ma che vai dicendo? Han gettato una bomba nel cortile della scuola? E non sono accorsi i gendarmi, per arrestare questi delinquenti, impedir loro di commettere altri crimini e punirli come si meritano?». «Nient'affatto: vedi, i genitori han gridato in coro che non si trattava d'altro che d'innocenti burloni, di giovani che stuzzicavano per ischerzo, con qualche trovata sorprendente, i loro compagni di monellerie…». «Ma… ma… si tratta d'una bomba: c'è piuttosto da meravigliarsi che nessuno si sia fatto male per lo scoppio…». «Quella che tu chiami bomba, loro lo definiscono e lo nominano “un fuoco d'artificio”, “un giochetto puerile”, “un giocattolino un po' rumoroso”. Per non parlare dell'esercizio di Venere col quale si sono infiammati i corpi di questi ragazzotti nelle aule scolastiche: mentre si congiungevano in avidi amplessi tutti dediti al piacere, son divenuti spettacolo per moltissime persone che da lontano s'abbeveravano nell'animo di tali sordide immagini. Sai bene, infatti, che oggi ci son telefoni portatili di questo tipo, grazie ai quali, in diretta, si possono inviare immagini di qualunque cosa agli amici, anche se questi vivono nell'altra parte del mondo…». «Ma questo è un impudìco lenocinio! E chi ha osato far ciò non è stato punito?». «Macché: i genitori, che sono annoverati fra le persone più in vista della città, hanno sminuito il fatto, sostenendo che tutti i giovani vogliono far nuove esperienze, e che la cosa è naturale…». «Buon Dio! Di che natura parliamo? Di quella delle bestie?». «Aspetta un po': non ho ancora finito di raccontar tutto. Codesti giovanotti ardenti di bollenti spiriti adolescenziali, infatti, hanno aperto proprio nella scuola una discoteca notturna; e se qualcuno voleva accedervi, doveva pagar fior di quattrini. Lì si davano alla pazza gioia le notti intere. Ma anche questo è stato difeso dai genitori: “A chi può far del male un po' di piacevole ballo?”». Codesti genitori, iniqui difensori d'iniquità, complici pesti e difensori della sfrenatezza dei propri figli, che sembrano anche ammiccare reciprocamente, quando sentono che i loro rampolli fanno i bulli con gli altri, mi fanno venire in mente quella favoletta, nella quale Esopo rappresenta un ragazzo che ruba la tavoletta scrittoria d'un suo compagno, ma non viene punito, né rimproverato dalla madre; e, forte di tale impunità, passato a crimini ben più gravi, giunse al punto che, arrestato dalla giustizia, fu condotto al patibolo. Mentre però s'avvicinava al luogo del supplizio, fingendo di voler sussurrare qualcosa nell'orecchio della madre che piangeva forte, strappò l'orecchio materno coi denti. Tutti gridavano e lo accusavano chiamandolo non solo ladro, ma anche empio verso la sua genitrice; lui allora disse: «Questa donna è stata la causa della mia rovina: se infatti, quando rubai la tavoletta, m'avesse rimproverato o castigato, ora, dopo esser passato a delitti maggiori, non sarei certo condotto a subir la pena di morte!» (Luigi Miraglia, Avvenire, giovedì 21 dicembre 2017).

 
 
 

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