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Messaggi del 31/12/2017

Epifania

Post n°2481 pubblicato il 31 Dicembre 2017 da namy0000
 

Epifania è una parola che deriva dal greco antico e significa “svelarsi”, “apparire”, “rendersi manifesto”. Nella storia della Salvezza, l’Epifania è il momento in cui Gesù viene adorato dai Re Magi che rappresentano – anche nelle loro diversità fisiche – l’intera umanità. Non a caso, molte diocesi hanno scelto di celebrare in questo giorno la “Festa delle genti” a significare l’unitarietà della famiglia umana davanti al Bambino.
Per questo lascia sconcertati l’annuncio di un assessore comunale della città di Trieste di una festa della Befana rigorosamente destinata solo ai bambini italiani (autarchia?) ai quali soli verranno consegnati doni e giocattoli. La decisione, non è del Comune ma di un gruppo cui il Comune stesso ha demandato l’organizzazione dell’evento in una delle piazze più famose del capoluogo giuliano, e che l’assessore ha difeso a spada tratta. Una compagine di estrema destra, Forza Nuova, che si è già fatta notare per avere distribuito pacchi alimentari solo agli italiani. 
Tutto questo in una città che, per storia e per cultura, è sempre stata un crocevia. La patria di Italo Svevo – nato Aron Hector Schmitz – figlio di padre tedesco e di madre italiana che nella scelta del nome da scrittore sublima e rende chiaro l’impasto di cui è fatta Trieste. 
Bene ha fatto quindi la Caritas diocesana a esprimere «il più vivo rammarico per le dichiarazioni dell’assessore Giorgi riguardo l’esclusività riservata ai bambini italiani circa la raccolta doni in occasione della prossima Festa della Befana durante il mercatino in piazza Ponterosso». La scelta di avallare il metodo per distribuire i doni crea un solco tra i bambini che fin da piccoli sarebbero costretti a fare conoscenza con discriminazioni dovute, ricorda ancora la Caritas, «a etnia, origine e provenienza». E getterebbe i semi di una chiusura all’interno della società giuliana che potrebbe avere pesanti conseguenze.
Durante queste feste di Natale abbiamo assistito a numerosi episodi di solidarietà e di attenzione all’altro che fanno ben sperare. Accanto a questi, però, talvolta si sono insinuati casi di intolleranza mascherati da difesa delle tradizioni italiane.
La Caritas triestina non fa distinzioni di «etnia, origine e provenienza». Soprattutto tra i più piccoli, i bambini appunto. (
Avvenire, sabato 30 dicembre 2017). 

 
 
 

Assieme ai profughi

Serbia. Generazione Erasmus? Per capodanno assieme ai profughi

Ragazzi della generazione Erasmus, abituati a pensare all’Europa come a uno spazio senza frontiere, festeggeranno il nuovo anno con le famiglie di migranti che hanno seguito la rotta balcanica per finire intrappolate in Serbia, dove ormai si trovano da mesi, alcune da molto di più, nella speranza che prima o poi un varco si apra nella cortina dentro la quale si è rinserrata la Ue. Finita la festa, da domani ricominceranno a distribuire vestiti pesanti, impermeabili, calze, scarpe e kit scolastici ai bambini.
Si chiamano Sara (28 anni, di Milano, psicologa e insegnante di sostegno), Vincenza (33, cooperante, brindisina ma milanese di adozione), Davide (25, di Trento, laureato in sociologia), Federica (27, di Brescia, iscritta a un master alla Bicocca): passeranno il Capodanno nel campo profughi di Bogovadja, vicino a Belgrado.
I 4 giovani volontari hanno aderito al progetto "emergenza freddo" lanciato da Caritas Ambrosiana, che nel campo di transito allestito dal governo serbo ha aperto con Caritas Italiana e Ipsia un «Social Cafè», uno spazio di socializzazione gestito dagli stessi profughi: il solo luogo dove gli ospiti possono incontrarsi e stare insieme.
«Fa molto freddo, anche oggi la temperatura ha toccato -2. Purtroppo nessuno è attrezzato per passare un inverno rigido in alloggi così precari e soprattutto i bambini sono a rischio di ipotermia, polmonite e altre malattie respiratorie molto pericolose. Le mamme non sanno più cosa fare per difendere i figli dal gelo. Per questo dopo i canti e i balli e la lotteria che abbiamo organizzato per domani, ci rimetteremo subito al lavoro. Già oggi, dopo la Messa, abbiamo consegnato i regali ai più piccoli e i guanti che ci sono stati donati da Caritas», raccontano in una conference call improvvisata via WhatsApp.

Caritas Ambrosiana, Ipsia (ong delle Acli), Caritas Italiana e Caritas Valjevo lavorano nel centro da ottobre 2016 con uno staff di operatori locali e internazionali. Dopo gli ultimi arrivi nei mesi scorsi, la situazione è stazionaria: i profughi ospiti sono circa 200. «I trafficanti di uomini li portano fino al confine serbo-ungherese, promettono un passaggio oltre frontiera e invece li derubano e maltrattano. A quel punto sono costretti a tornare indietro e arrivano qui», spiega Silvia Maraone, operatrice.
A causa del blocco imposto dai governi ungherese e croato, nel campo di transito serbo si è formata una comunità multinazionale di siriani, afghani e iracheni ma anche alcuni nigeriani che hanno tentato la via di terra, anziché la traversata del Mediterraneo, passando dalla Turchia. Sono in maggioranza donne e bambini che spesso hanno subito torture e violenze lungo il loro viaggio iniziato, in alcuni casi, anche due anni fa e che ora, da mesi, sono intrappolati a un passo dal loro sogno.

 

Una situazione paradossale di cui è diventata un simbolo la tragica vicenda di Madina, la bambina di 6 anni finita sotto un treno mentre cercava di attraversare il confine serbo-croato, alla fine di novembre. La piccola, secondo il racconto che la madre ha fatto all’Agence France Presse, sarebbe stata investita mentre stava facendo ritorno in Serbia con il resto della famiglia seguendo i binari della ferrovia lungo i quali proprio le guardie di frontiere croate di Tovarnik li avevano scortati.
«Il padre non si dà pace e ora, assistito da un’associazione serba e da un gruppo di avvocati croati, ha presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo e uno a Zagabria contro la polizia croata – ci aggiorna Silvia Maraone, che ha conosciuto tutta la famiglia quando per qualche mese è stata ospite del campo di Bogovadja –. Noi ci auguriamo che vinca. Sarebbe importante per loro e per tutti coloro che si trovano in questa situazione assurda». (Francesco Chiavarini, Avvenire, sabato 30 dicembre 2017)

 
 
 

Cibo per i poveri

Post n°2479 pubblicato il 31 Dicembre 2017 da namy0000
 

Marta, a 79 anni, recupera il cibo per i poveri

 

Una bicicletta è progettata per trasportare una persona e non certo decine di chili di cibo. Eppure, la bici della signora Marta ormai ci è abituata, grazie a un cestello davanti al manubrio, una cassetta appoggiata sulla ruota posteriore e un sellino ben appiattito.
Da anni viene caricata quasi come un camioncino e spinta a mano da una donna forte, determinata e che semplicemente ha voglia di fare del bene. Marta ogni mattina percorre il consueto itinerario. Intorno alle 9 passa davanti a tre diversi supermercati e cerca ciò che viene quotidianamente gettato, ma che resta ancora perfettamente commestibile. Raccoglie tutto il possibile e se ne va a casa con la sua bicicletta smisuratamente carica, con oltre 40 chilogrammi di generi alimentari ogni giorno.
«È incredibile – racconta – quanto spreco ci sia ancora oggi. Viene gettato il cibo prossimo alla scadenza oppure quello contenuto in confezioni non più perfette, magari a causa di un urto durante il trasporto. In questo periodo, ad esempio, ci sono le arance: se una è andata a male, buttano via intero l’intero sacchetto da 5 chili. È vergognoso». Ma la signora Marta è tenace.
Non si vergogna a rovistare nei cassonetti dei supermercati, anche se viene guardata continuamente con sospetto dai passanti e di certo senza particolare simpatia neppure dai responsabili dei supermercati: «Non mi interessa. Lo faccio perché so che ci sono persone che hanno bisogno e che mi aspettano». Tre volte alla settimana, infatti, carica la sua auto di tutte le provviste raccolte e va a distribuirle a chi ha bisogno.
«Ho iniziato quasi per caso, portando qualche genere alimentare a una famiglia che, a causa della crisi economica, si era ritrovata a perdere tutto. In poco tempo, poi, il giro si è allargato e continuavano ad arrivarmi segnalazioni di nuove situazioni di disagio. Adesso seguo 8 famiglie, per un totale di oltre venti persone. Mi accolgono sempre a braccia aperte e con grande dignità. Non mi hanno mai chiesto nulla e riescono a non sprecare mai nulla. Con la farina si fanno il pane, con il latte producono da soli le formaggette. Ciò che avanza (quando avanza) viene portato in una sorta di scuola popolare che ospita gratuitamente anche a dormire persone in grave indigenza».
Alla sua età presta con estrema modestia un servizio importante a favore dei fratelli più poveri. E il suo rammarico è che, quando lei sarà troppo stanca, non ci sia più nessuno ad aiutarli».
Per ora, però, la signora Marta è ancora energica e molto risoluta: «Soprattutto i politici e i decisori pubblici dovrebbero rendersi conto della situazione reale e di quanta povertà esista ancora oggi. C’è chi veste alla moda e mangia a crepapelle e chi non ha più nulla. Tutti dovremmo darci da fare e, invece, siamo troppo insensibili ai bisogni del prossimo».

 
 
 

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