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Messaggi del 19/05/2019

La banalità del male

Post n°3033 pubblicato il 19 Maggio 2019 da namy0000
 

Se non lavoriamo per educare i nostri figli all’empatia e al valore della vita, rischiamo che la violenza che pervade la realtà virtuale invada anche la quotidianità.

A Manduria (Taranto) un pensionato che soffriva di un disagio psichico è morto, dopo anni di angherie, nella sua casa diventata prigione. Una banda di giovanissimi, dell’età dei nostri figli e dei nostri studenti, passava il tempo a riempire il vuoto della propria vita e del proprio cuore minacciandolo, picchiandolo, torturandolo, ricattandolo, derubandolo, tanto che Antonio Stano non usciva più di casa per paura di incontrare chi, senza freni inibitori né compassione, con prepotenza e aggressività gli stava devastando un’esistenza già vulnerabile.

Ora nel Paese ci si chiede come sia stato possibile. Da anni la cosa andava avanti. Apparentemente nessuno sapeva. Ma, dall’indagine in corso con l’ipotesi di omicidio preterintenzionale, emerge che alcune persone della comunità, tra cui un educatore del locale oratorio, dichiarano di aver più volte convocato i genitori, mosso le forze dell’ordine. Tutti guardavano a quanto pare. Ma nessuno s’è fatto davvero carico della tutela fisica, morale, sociale ed emotiva di una persona fragile.

Che cosa ci sta succedendo? Una violenza bestiale sembra impossessarsi in modo pervasivo e all’apparenza inconsapevole dei nostri spazi: genitori uccidono figli piccoli, figli uccidono padri, militanti politici di estrema destra violentano una compagna di partito. Tutta cronaca di questi giorni.

Sui social – si pensi al cyberbullismo a scuola – la violenza fisica e psicologica entra nelle nostre vite come uno spettacolo usato per intrattenere, come fosse cosa da nulla. Se un adulto con funzioni rappresentative imbraccia un mitra per farsi un selfie ad alto impatto “social”, se un preadolescente passa ore a uccidere in un videogioco per far punti, il rischio della banalità del male, di cui ha parlato Hannah Arendt, può contagiarci come un virus in assenza di anticorpi.

Se gli adulti non promuovono con i ragazzi riflessioni su compassione, empatia, solidarietà, i fondamentali che regolano la vita delle persone, tutte le persone, rischiamo tutti di diventare un branco di disperati che non sa dare valore alla propria vita. Né a quella degli altri. Dobbiamo  interrogarci sulla presenza della violenza nella quotidianità attraverso Tv, radio, videogiochi: nella sua virtualità non è innocente come sembra, forgia un’attitudine mentale che normalizza gesti brutali, riducendo la distinzione tra immaginato e agito.

Auspico che anche la classe politica, che ci governa e si fregia del merito di aver reintrodotto l’educazione civica a scuola, rifletta sul proprio esempio. La prima educazione civica che serve ai nostri figli è l’educazione del cuore alla capacità di guardare in modo empatico l’altro e i suoi bisogni, alla solidarietà, all’accoglienza, alla responsabilità. Tutti elementi che nell’omicidio di Manduria risultano totalmente assenti, vacanti, latitanti. (Alberto Pellai, psicoterapeuta, FC n. 19 del 12 maggio 2019).

 
 
 

Io non sono una droga

Post n°3032 pubblicato il 19 Maggio 2019 da namy0000
 

Ho visto, tra la nausea e la rabbia, il manifesto che pubblicizza la tre giorni della Cannabis Expo, consistente in una foglia di canapa sovrapposta alla sagoma del Duomo di Milano, con sotto scritto: ”Io non sono una droga”. Non pensavo che l’idiozia arrivasse così in basso, perché, io idiota a mia volta, mi ostinavo a credere che ogni cosa bella o brutta dovesse avere un limite. Avrei invece dovuto capire, molto prima, che i limiti esistono solo dove traspare una traccia di umanesimo, di cultura e di civiltà.

Sono stato abituato a lottare con chi ha sbagliato e non con chi ha confuso la politica con una partita di Monopoli. È arrivato il tempo che anche noi, dotati dell’uso della ragione e con qualche grammo di coscienza in più dei promotori della Cannabis Expo, cambiamo marcia e affrontiamo la comunicazione, la formazione, l’informazione e le nostre attività con pari impegno e assiduità.

Noi abbiamo lavorato e stiamo lavorando intensamente contro tutte le dipendenze leggere e pesanti, le devianze e il gioco d’azzardo, però ci siamo fermati lì. Abbiamo sottovalutato l’importanza e le modalità della comunicazione. Davanti alle foglie di cannabis, anch’io mi imbestialisco, scrivo, maledico, poi finisco lì. Urge impostare, invece, una strategia interdisciplinare, studiarla su più fronti, abbandonando le prediche qualunquiste e devitalizzate. Vogliamo urlare che ogni tipo di droga uccide?

Vedere a Milano uno slogan davvero irrecuperabilmente folle nella sua irresponsabilità, ci deve far pensare con urgenza che le piazze, dove attecchisce questa comunicazione, fanno parte integrante dei metodi.

Le provocazioni positive e i confronti tecnici e pratici vanno affrontati e non destoricizzati. Andare contro una società che ha posto tutto il suo impegno quotidiano a favore della foglia di canapa, banalizzando il dovere sudato, la fatica del camminare contro corrente, la ricerca seria della verità, nonostante l’incertezza dei risultati, anche minimi e poco gratificanti, significa supportare i gruppi impegnati, guardare lontano, costruire progetti e prevenire pazientemente i rischi, rieducando chi ha seguito indicazioni alla moda e scelto distributori puntualmente disseminati e pubblicizzati su misura di capricci “mortali”.

E dobbiamo ancora una volta tornare a dirci che per cancellare l’abuso delle foglie vanno irrobustite e sanate le radici (Antonio Mazzi, FC n. 19 del 12 maggio 2019)

 
 
 

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