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Un mondo nuovo

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Messaggi del 24/05/2019

Amatevi gli uni gli altri

Post n°3039 pubblicato il 24 Maggio 2019 da namy0000
 

‹‹Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri›› (Gv 13,31-35).

Giuda lascia il Cenacolo e in quel momento Gesù inizia uno strano discorso: ‹‹Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui››.

Qual è la connessione tra la gloria di Gesù e Giuda che va a tradirlo? Cos’è la gloria di Dio?

In ebraico “gloria” significa il peso di una cosa, la sua sostanza, la sua verità. La gloria di Dio, il suo peso specifico è l’amore. Gesù continua ad amare colui che lo tratta in modo subdolo, che lo svenderà per soldi.

È nella luce della benevolenza verso Giuda (e verso ciascuno di noi) che Gesù parla della sua gloria e conseguentemente consegna il nuovo comandamento: ‹‹che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi…››.

Va ben distinto dal comandamento vecchio che, nell’Antico Testamento, recitava: ‹‹Amerai il prossimo tuo come te stesso››. Quel comando dava un parametro per l’amore: come ami te stesso ama il prossimo tuo. Ora tutto cambia: amarci gli uni gli altri, certo, ma non come amiamo noi stessi, ma come Gesù ci ha amati. Il criterio dell’amore non si trova in noi ma in lui.

Dopo la Pasqua di Gesù, i discepoli avranno il tempo di guardare indietro e capire che ognuno di loro, come Giuda, è stato amato da Gesù nonostante la propria defezione, perché sono tutti venuti meno.

Che cos’è il tempo di Pasqua che stiamo celebrando? È il passaggio da un’esistenza basata su noi stessi a un nuovo parametro, l’amore che Cristo ci ha usato; è un ingresso nella gloria di Dio, che ci permette di amare non come sappiamo poveramente fare noi, ma come sa fare lui.

UNO SFORZO MEDIOCRE. Quanti, anche nella Chiesa, si ingannano e si torturano credendo che l’amore sia una questione di forza di volontà… Quando si pensa che l’amore abbia origine nelle proprie capacità e sia fondato sulle caratteristiche individuali si scivola in qualcosa che, nascendo da noi, non ci porterà mai oltre noi stessi. E diventa uno sforzo mediocre.

Cristo frantuma questo cerchio chiuso, amandoci in modo che va oltre la nostra logica, e allora ci ritroviamo visitati da un amore più grande di noi. Allora accade che Cristo ami in noi, una volta invasi dal suo amore. Il Signore ci conosce e sa che siamo fragili. Il nostro è un amore di risposta al suo.

I cristiani non si riconoscono dalle loro bravure personali, ma dal fatto che sono eco dell’amore che hanno incontrato e amano perché sono stati amati. Hanno conosciuto la gloria di Dio, la sua misericordia senza limiti, quella che Gesù ha manifestato nella sua Pasqua. (Fabio Rosini, FC n. 20 del 19 maggio 2019).

 
 
 

Il compleanno di sabbia

Post n°3038 pubblicato il 24 Maggio 2019 da namy0000
 

Gli piacciono i dolci e soprattutto il gelato. Fa invece sempre attenzione a non esagerare col vino. L’anno scorso in questo giorno eravamo assieme, a tavola, e Pierluigi offriva il poco che aveva per fare festa. Stavolta, in questo 20 maggio in cui scrivo, il suo compleanno è stato di sabbia, come i giorni trascorsi dal 17 settembre 2018.

Ormai quasi nove mesi fa. Un tempo per rinascere nell’altro grembo, quello del Sahel che, a modo suo, sta modellando la percezione del tempo e dello spazio entrambi tenuti in cattività. Suo padre e sua madre sono partiti per l’ultimo viaggio, quello di ritorno alla patria definitiva che solo quanti si fanno come bambini possono abitare. Ed è proprio quanto accade a lui, padre Pierluigi Maccalli, missionario, prigioniero di sabbia in mani sconosciute dalla notte di un lunedì che avrebbe potuto scivolare via anonimo come tanti altri giorni del calendario. Invece no.

Nulla sarebbe stato come prima di quella notte quando hanno bussato alla sua porta di ferro ancora tiepida per il bacio del sole del giorno appena passato. Rapito da mani e dal vento della violenza che risponde ad altra violenza. Il Sahel è violato dai Grandi Rapinatori di futuro e del presente dei giovani, dei contadini e della terra. Preso in ostaggio da un’intera classe po- litica, commerciale e militare, lo spazio saheliano si affanna per sovvenire ai suoi numerosi figli. Alcuni di questi si armano di una ideologia mortale che appare come lo specchio di chi dichiarano di voler combattere.

Le uccisioni di innocenti, l’attacco a scuole e istituzioni religiose e i rapimenti sono parte della narrativa di cui Pierluigi è diventato vittima a sua insaputa. Non poteva sospettare che nel villaggio che aveva scelto come dimora si sarebbe operato il tradimento. Perché proprio di questo si tratta. Pierluigi è stato tradito e venduto per un pugno di sabbia alla disperata violenza del Sahel. Venduto da connivenze a ideologie mortifere, tradito dall’ipocrisia dei politici locali e da interessi più vasti di quanto si osava fino a quel momento sospettare. Ostaggio della violenza frontale che è l’ingiustizia perpetrata sui contadini e sulle classi abbandonate del Paese che lui aveva scelto di fare sue. Venduto come un Cristo che la sabbia cerca di salvare dalla croce.

Tradito dalla fiducia riposta nella gente, che pensava costituisse l’unico baluardo che aveva costruito attorno a una missione senza muri di cinta. Martire dell’unica promessa che ancora valga la pena di essere presa alla lettera. Quella che dichiara beati gli ostaggi della sabbia perché a essi appartiene il regno dei poveri che verrà.

Niamey, 20 maggio 2019Il compleanno di sabbia

 
 
 

Quello che mi è rimasto dentro

Post n°3037 pubblicato il 24 Maggio 2019 da namy0000
 

Il primo ciclone sul Nord del Mozambico

‹‹Quello che mi è rimasto dentro è la paura di quell’incubo che non finiva mai. Quando è iniziato il vento forte, alle 19, pensavamo fosse il ciclone. Invece no, la vera furia del vento e della pioggia è arrivata un’ora dopo. Ed era davvero spaventosa. La luce è andata via subito. Eravamo nel buio totale. Sentivamo l’ululare della bufera e gli schianti dei tetti di lamiera, strappati dalle case, che volavano via. Ci giungevano le urla e il vociare concitato della gente che andava dai vicini a chiedere asilo perché la loro abitazione era stata spazzata via. E questo si ripeteva a catena, perché le case venivano disintegrate una dopo l’altra. Così per quattro ore. Eravamo sfiniti. Non ce la facevamo più. Il ciclone ha cominciato ad attenuarsi verso l’alba››.

Il racconto vivido e drammatico è di don Maurizio Bolzon, missionario a Beira, la città del Nord del Mozambico devastata dal ciclone Idai… don Maurizio racconta d’un fiato non solo delle terribili ore di quella notte, ma anche della spettrale mattina successiva: ‹‹Non vedevo una sola casa in piedi. L’80% dei pali della luce erano divelti. Pioveva e ha continuato a piovere per una settimana. Nulla si poteva asciugare. La gente teneva in casa le scorte del raccolto dell’anno. Tutto bagnato e da buttare. Avevano perso il cibo per i prossimi mesi››.

L’acqua copriva ogni cosa, e aveva inquinato quella potabile: ‹‹Quasi subito sono cominciate e dissenterie. Sembrava una pena che non finiva mai. Finalmente la comparsa del sole, dopo quasi sette giorni, ci ha risollevato un po’. L’abbiamo vissuto come il simbolo della liberazione da quell’incubo infinito››.

Il bilancio del passaggio di Idai è pesantissimo: un migliaio di morti accertati, 3.000.000 di persone colpite, circa 2.500 feriti, 240.000 case danneggiate, 500.000 ettari di coltivazioni perdute.

Da allora molte settimane sono passate. La prima emergenza è finita nella zona di Beira (la più popolosa città del Mozambico settentrionale: circa mezzo milione di abitanti). Nel frattempo un altro ciclone, un po’ meno violento di Idai, si è abbattuto nei territori più a nord del Paese. Anche questo secondo uragano ha sparso distruzione, ha aggiunto altri 50.000 sfollati e decine di migliaia di case danneggiate o distrutte.

Ora è il momento di cominciare a ricostruire. ‹‹Occorre fare distribuzioni continue di beni di prima necessità ma in tante zone è molto difficoltoso, ancora oggi. Ora la gente sta cercando di ricostruire la casa, con quello che ha, cioè poco o niente. E sappiamo già che mancherà il raccolto prossimo. L’aiuto governativo è molto limitato. L’Onu ha dichiarato che finora ha raccolto dai Paesi donatori solo il 25% delle risorse richieste per rispondere ai bisogni più urgenti della popolazione e avviare la ricostruzione. Abbiamo e avremo bisogno di aiuto a lungo. La Caritas internazionale ci sta sostenendo molto. La seconda priorità è avere un riparo. Dove costruirlo? Come costruirlo? Come diocesi distribuiamo tende o teloni con cui dare un tetto provvisorio a chi ha perso la casa o gran parte di essa. Nessuno ne parla, ma lo shock è stato profondo››… (FC n. 20 del 19 maggio 2019)

 
 
 

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