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Messaggi del 13/09/2024

Violenza di genere

Post n°4064 pubblicato il 13 Settembre 2024 da namy0000
 

2024, Avvenire, 12 settembre

Fatou: io, sopravvissuta ora lotto contro il “taglio”

Fatou Baldeh: due premi prestigiosi ricevuti a Washington e a Ginevra. E lei, attivista contro le mutilazioni genitali femminili, sopravvissuta al “taglio” (così lo chiama, the cut) subìto a 8 anni, ad Avvenire dice che è orgogliosa di tanta visibilità, per sé stessa e il suo lavoro, ma soprattutto perché le ragazze del suo Paese, il Gambia, che non hanno opportunità e pensano di non poter far altro della propria vita che sposarsi molto giovani e aver molti figli, guardando lei potranno capire che sì, anche una donna può cambiare il mondo.

Un modello di ruolo, dice parlando su Whatsapp dal suo ufficio a Brusubi, località sulla costa atlantica a pochi chilometri da Banjul, la capitale di questo piccolo Paese dell’Africa occidentale, 2,5 milioni di abitanti, tutto stretto dentro il territorio del
Senegal. Fatou Baldeh, appena superati i 40 anni, sorriso aperto, inglese sciolto e velocissimo, una gran massa di capelli scuri che le incorniciano il volto affilato, è la fondatrice e la presidente di Will, Women in Liberation & Leadership. «Siamo in 8, tutte “tagliate” (infibulate, ndr): giriamo per villaggi e comunità rurali a parlare con gli abitanti per spiegare che le mutilazioni non sono un bene per le donne, che provocano malattie fisiche e mentali e che tradizione e abitudini si possono cambiare».

Un lavoro difficile, in un Paese che detiene il record mondiale del 75% di ragazze e donne sottoposte a mutilazioni genitali (Fgm) nonostante dal 2015 esista una legge che le vieta. «Io stessa, quando da ragazza sono andata in Scozia per procurarmi un’istruzione, pensavo che la mia situazione fosse normale. Ho dovuto leggere e studiare molto per capire che è una tortura, deleteria per la salute fisica e psichica. Sono tornata in Gambia con l’obiettivo di aiutare il mio Paese a svilupparsi, a crescere. Nessuno può farlo per noi, dobbiamo impegnarci noi gambiani. Ma il “taglio” ha radici profonde nella nostra società, nelle credenze e nelle superstizioni, è parte della nostra identità, considerato un rito di passaggio all’età adulta e spesso sono le nonne che lo impongono alle nipoti.

Talvolta mi trattano come se fossi una traditrice dei valori tradizionali, mi accusano di essermi fatta corrompere dall’ideologia occidentale. Serve tempo e soprattutto educazione».

Quando è accaduto a lei, non sapeva cosa stesse succedendo, c’erano altre 10 bambine, furono stese a terra e una donna iniziò a inciderle gli organi genitali, senza farmaci, senza antidolorifici, solo con un coltellino affilato. «Può immaginare quanto è stato traumatico», dice. Fu trattata per diversi giorni con acqua e sale e impacchi di erbe, lei non smetteva di piangere dal dolore. Quando la ferità si rimarginò, ci fu una grande cerimonia, una festa. Era diventata grande. Le mutilazioni genitali femminili sono talmente radicate in Gambia che lo scorso luglio per un soffio non è stato abrogato il divieto del 2015, rendendo nuovamente legale ciò che ancora viene praticato ma perlomeno fuorilegge.

«È stata la prima volta che ho visto le donne del mio Paese lottare per se stesse», racconta. «Per fortuna la legge non è passata e il bando alle Fgm è rimasto. Ero contenta, ma anche arrabbiata: un Parlamento di soli uomini (58 i seggi, solo 5 le donne, ndr) ha messo a repentaglio la salute e la vita delle ragazze del Gambia».

La donna a cui Fatou si ispira – racconta - è la madre, che prima si opponeva al suo lavoro e oggi è la sua prima supporter, tanto da aver salvato una nipote, la prima della famiglia a non essere stata “tagliata”. Ma non sono solo le Fgm a rendere inquieta e nello stesso tempo combattiva Fatou: la violenza di genere è così endemica in Gambia che «le donne pensano di meritarsi le botte dai mariti se escono senza il loro permesso. E purtroppo nel Paese non esistono case di accoglienza, strutture che possano salvarle. Vengono da noi, facciamo il possibile, ma non riusciamo a dare sufficiente protezione. Questo mi rende tristissima». Fatou è sposato e ha due figli maschi. E questa è la sfida della sua vita: «Crescere ragazzi che rispettino le donne e le diversità. Da qui inizia il vero cambiamento».

 
 
 

Coraggio di resistere

2024, don Maurizio, Avvenire, 12 settembre

Luigi, l’imprenditore che resiste alla camorra. Pagando di persona

Tra i tanti amici laici che rendono ricca la mia vita scelgo l'industriale napoletano che ha mostrato come si tiene testa al mostro che vuole succhiarci la vita. Una lezione di libertà e di coraggio

Gesù inviò i discepoli a due a due perché uno potesse sostenere l’altro quando la giornata pesa, le forze scemano, la tentazione avanza. Ma, soprattutto, quando la gioia – prepotente – irrompe. Non è bene che l’uomo sia solo. La solitudine - da ricercare e salvaguardare - non è mai fuga dagli altri ma esigenza di stare con te stesso per meglio incontrarli e servirli dopo.
L’amico è dono e impegno. Presenza di Dio nei giorni feriali, specchio in cui ti guardi, spalla su cui ti appoggi. E se – può succedere, e succede – qualcuno viene meno e ti delude, non scoraggiarti, ma fermati, aguzza lo sguardo, scruta l’orizzonte, tieniti pronto: qualcosa di nuovo sta avanzando.

I miei amici: discepoli e maestri, sentinelle discrete e cercatori d’oro. I miei amici laici, un mondo in continua espansione. Li cerco, mi cercano, quando la tempesta infuria e quando il cuore canta. Senza di loro non sempre scorgerei le trappole che mi insidiano il cammino; e così anche senza di me qualcuno si sarebbe già smarrito nei meandri della vita. Dio stesso mi ordina di essere amico e di fare affidamento sugli amici. “È rischioso”, borbotta qualcuno. È vero, ma in questo mondo tutto è rischioso, finanche bere un sorso d’acqua o fare un tuffo in mare.

Cari compagni del mio pellegrinaggio in questa unica e irripetibile avventura della vita, bella da morire, ma anche tanto tragica e spietata, con umiltà vi dico – ma lo sapete già – che ho bisogno di voi, del vostro affetto, dei vostri consigli, dei vostri stimoli, della vostra intelligente e garbata ironia. Per essere uomo, per essere prete; per non essere un uomo squallido, un prete meschino. Per non illudermi, non gonfiarmi, non deprimermi. E – lo so – voi avete bisogno di me, del mio celibato, della mia caparbietà, del mio sacerdozio. Dell’Eucaristia che, indegnamente, vi dono e mi dono.

I miei amici laici. Le nostre vocazioni si sono intrecciate. Avanzano insieme. S’illuminano a vicenda. Vi chiedo perdono se dovendo raccontare ai lettori di “Avvenire” una storia, ho scelto quella di Luigi. Sono certo che farà piacere anche a voi. So quanto gli volete bene. Ci conoscemmo – per caso? esiste il caso? – a uno dei tanti convegni sulla legalità, una dozzina di anni or sono. Non lo sapeva, non potevamo saperlo, ma aveva bisogno di noi. Ce ne accorgemmo, allargammo la tenda, lasciammo fare alla Provvidenza.

Era un giovane industriale napoletano, felice di dare lavoro a decine di famiglie. La vita gli sorrideva. Gli affari andavano a gonfie vele. Grandi progetti per il futuro. Tutto procedeva per il meglio, fino a quando non arrivarono “loro”, le iene fameliche, i camorristi nostrani, che affossano l’economia e condannano a morte il territorio. “Se vuoi continuare a produrre – gli dissero con fare spocchioso e tracotante – devi pagare. Dobbiamo vivere tutti. Non puoi pensare solo a te stesso. E guai a te e alla tua famiglia se solo tenti di fare il furbo”. E se ne andarono facendo rombare i motori delle potenti moto sulle quali erano montati.

Che fare? Pagare? Pagano tutti. Ribellarsi? Gli scaltri dicono che non conviene, è inutile, pericoloso. “Quelli” non guardano in faccia a nessuno; sono vigliacchi, si vendicano, ti rovinano, ti ammazzano. Luigi si piega. A malincuore, obbedisce. La gallina dalle uova d’oro ha fatto il suo ingresso nel pollaio maledetto. “Loro” alzano continuamente il tiro. Non si accontentano mai. Chiedono. Chiedono. Vogliono di più, sempre di più. Arroganti. Invidiosi. Blasfemi. Stupidi. Sanguinari. Il pizzo viene pagato a scadenze settimanali. I ritardi non sono tollerati. Denaro contante per non lasciare tracce, quelle stesse tracce che, nei processi, invano, vanno cercando i giudici per poterli condannare.

A ogni pur minimo tentativo di ribellione partono le intimidazioni. Dalle minacce agli schiaffi in pieno viso, il passo è breve. Luigi viene sequestrato. Rinchiuso in uno scantinato puzzolente alle porte di Secondigliano. Soldi. Vogliono i soldi. Tanti. Ma che razza di vita è questa? Basta! Luigi si ribella. Ne parla in famiglia. Chi gli vuole bene, trema. Lo sconsiglia. Piange. Lo invoca di non farlo. Lui va avanti. Denuncia. Gli bruciano i locali. Denuncia ancora. Lo inseguono. Gli tagliano la strada. Finisce all’ospedale. In coma.
La vita di questo giovane è in pericolo. Trasloca in continuazione. Lo Stato gli corre incontro. Arriva la scorta. Vita blindata. La via del calvario è lunga e tortuosa. Tribunali. Processi. Condanne. Assoluzioni. Rabbia. Burocrazia pedante. Pianti. Carte. Avvocati. Paura. Speranza. Un’esistenza stravolta. La ricchezza di una volta è ormai un ricordo. Dove passano “costoro” avanza il deserto. Il giardino profumato lascia lo spazio alla discarica. Si combatte. Ognuno con le armi che ha a disposizione. A nessuno è consentito di tirarsi indietro. Unica certezza: il male non vincerà. Anche se nessuno può prevedere il tempo in cui la camorra sarà relegata solo nei libri di storia.

Luigi è entrato nelle nostre vite e noi nella sua. Aveva bisogno di noi, della nostra amicizia, della nostra lealtà, della nostra fede, della nostra comunità parrocchiale. E noi di lui, delle sue lacrime, del suo dolore, del suo grido di rabbia, del suo coraggio, delle sue paure, della sua sete di giustizia. La sua storia, raccontata nel libro “La paura non perdona”, è una lucida e drammatica testimonianza di come la vita di un giovane industriale napoletano è stata devastata dalla camorra maledetta.

Luigi, un giovane che ha pagato un prezzo altissimo ai nemici dello Stato ma che ha tenuta alta, per noi tutti, la bandiera della dignità e della libertà. Un uomo al quale vorrei che l’Italia e gli italiani tutti dicessero semplicemente “grazie”.

 
 
 

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