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Marciare uniti o marcire sul posto?

Post n°291 pubblicato il 29 Marzo 2011 da VoceProletaria

http://www.scioperogenerale.org/
 
 
Sciopero Generale. Marciare uniti o marcire sul posto?
Verso uno sciopero generale e generalizzato vero e unitario

di Coordinamento lavoratrici e lavoratori autoconvocati contro la crisi,  20.03.2011

   In questi ultimi mesi si è sviluppato un dibattito sempre più incalzante nei movimenti e nei sindacati sul “che fare” per colmare il gravissimo deficit di risposta alla brutale guerra di classe scatenata dai padroni e dal governo contro le lavoratrici e i lavoratori del nostro paese e contro le conquiste sociali di un secolo di lotte, a partire dal grande valore unificante del contratto nazionale, significativamente in via di smantellamento proprio mentre si celebrano i 150 anni dell’unificazione nazionale.
   Molte sono state le iniziative piccole e grandi volte ad allargare la risposta del mondo del lavoro e a colmare questa inadeguatezza, a partire dalla grande manifestazione nazionale della FIOM del 16 ottobre, passando per le manifestazioni studentesche, per lo sciopero dei metalmeccanici del 28 gennaio per arrivare ai molteplici scioperi, importanti ma decisamente parziali e non autosufficienti, organizzati da vari sindacati di base in queste settimane.
   Oltre a queste iniziative di lotta si susseguono i dibattiti pubblici, si sono svolte assemblee autoconvocate, sono state raccolte migliaia di firme di delegate/i su appelli per uno sciopero generale e generalizzato.
Nel frattempo, in assenza di una forte risposta generalizzata, l’offensiva devastatrice di Governo e Confindustria è andata avanti. Dopo la cancellazione di centinaia di migliaia di posti precari e l’imposizione del piano Marchionne tra i metalmeccanici, ecco l’accordo separato per i lavoratori pubblici del 4 febbraio e la stipula del contratto separato del commercio che, tra l’altro, inizia a smantellare anche la tutela della malattia. Senza contare i disegni governativi di modifica dell’articolo 41 della Costituzione e il tentativo di cancellazione dello Statuto dei Lavoratori da sostituire con un nuovo patto neo-corporativo (il famigerato “Statuto dei Lavori”).
   Intanto, a livello comunitario, si sta preparando un patto di stabilità  europeo dichiaratamente antioperaio che imporrà  ulteriori tagli, blocco dei salari e delle pensioni e licenziamenti.
   Dopo mesi di immobilismo e di ambiguità , la CGIL ha indetto uno sciopero (cosiddetto) generale di 4 ore per il prossimo 6 maggio che non sembra affatto indicare un cambio di rotta nella linea della Confederazione.
Infatti, stando alle dichiarazioni dei suoi massimi dirigenti, sembra ancora puntare ad un irrealistico tentativo di recuperare l’unità  triconfederale con le sigle complici del padronato e del governo e di rilanciare il confronto con la Confindustria per un “patto per lo sviluppo”.
   Questa ostinazione a perseguire una linea subalterna, inefficace e paralizzante trova infatti conferma con la sottoscrizione di qualche giorno fa anche da parte della CGIL di un accordo per la defiscalizzazione del salario di produttività  voluto dalla Confindustria, dal governo e da Cisl e Uil.
   Tutto questo panorama richiederebbe il massimo sforzo da parte di tutti i settori in lotta (sindacali e di movimento) per invertire questa rotta e imporre un terreno di lotta generalizzato a tutto il mondo del lavoro così come già in atto in molti paesi europei da mesi.
   Abbiamo letto perciò con sconcerto l’incipit del testo Per una nuova primavera di cambiamento in Italia! con cui “Uniti per lo sciopero” e alcune decine di intellettuali – e alcuni dirigenti sindacali della sinistra CGIL  – hanno indetto un’assemblea nazionale per il 25 marzo a Roma, testo nel quale l'inefficace iniziativa della Camusso del 6 maggio viene addirittura definita “una grande occasione per il cambiamento nel nostro paese”.
   Noi non vogliamo togliere importanza né valore alla iniziativa della CGIL di uno sciopero generale di 4 ore che sarà  comunque visto da milioni di lavoratori come un’occasione per manifestare il proprio dissenso verso quanto accade nei posti di lavoro e nel paese. Anzi, faremo di tutto perché la partecipazione attiva sul terreno della lotta superi i ristretti confini imposti a questa mobilitazione.
   Un primo segnale positivo è sicuramente l’allargamento autonomo a 8 ore di diverse categorie della CGIL stessa (FP, FLC, Filcams, SLC, Fillea, e sembra a breve anche la Fiom). Ma non possiamo, per onestà  con noi stessi e con tutte e tutti coloro che hanno rivendicato uno sciopero generale generalizzato vero e unitario, sottacerne tutti i limiti.
   L’impostazione con cui la CGIL indice questo sciopero resta quella fallimentare di chiedere il ritorno a una concertazione contraria agli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici del paese e per altro già  distrutta dal governo, da Marchionne e dai “sindacati” complici. Non a caso lo sciopero manca di qualunque chiara piattaforma che segni un vero cambio di passo per la lotta nel paese. Addirittura, mentre si attacca giustamente la politica del Governo, si omette completamente ogni riferimento alle politiche di Confindustria, proprio nel momento dell’attacco più brutale del padronato degli ultimi decenni.
   Senza modificare inoltre la piattaforma e le forme di lotta, resta totalmente irrisolto il problema della partecipazione alla mobilitazione di quei milioni di lavoratori migranti o nativi senza contratto, senza tutele, senza diritti e senza sindacato che vivono quotidianamente la precarietà , il lavoro nero e il ricatto padronale più pesante. Resta cioè irrisolto quel problema che abbiamo definito della “generalizzazione” dello sciopero, passaggio ineludibile per coinvolgere veramente (e non solo simbolicamente) nella lotta quel mondo della disperazione sociale prodotto dal liberismo degli ultimi venti anni e allargato a dismisura dalla crisi economica e dalle ricette padronali “anticrisi”.
   La rivendicazione di un forte sciopero generale che blocchi il paese, gridata a gran voce da tante e tanti in questi mesi, resta per il momento del tutto inevasa anche di fronte all’indizione del 6 maggio.
   Di fronte a una situazione di straordinaria gravità  non sono sufficienti risposte ordinarie. La gravità  dell’attacco governativo e padronale imporrebbe a tutti un passo in avanti unitario anche rinunciando, ciascuno, a specifici interessi parziali, di sigla o di area.
   Non c’è dubbio che, se l’autonomia dei movimenti e l’autorganizzazione dei lavoratori non produrranno fatti nuovi, quel giorno non significherà  affatto l’inizio della primavera del cambiamento del nostro paese.
   La scelta di collocare l’assemblea nazionale “Per una nuova primavera di cambiamento in Italia!”  in un venerdì  lavorativo obiettivamente non favorisce la partecipazione protagonista e autorganizzata di movimenti di lotta, lavoratori e precari, rischiando di trasformare questo appuntamento del 25 marzo in un confronto tra “addetti” piuttosto che in un momento di partecipazione diretta. Al contrario, non accettare la proposta di tenerla nella giornata di domenica 27, dopo la manifestazione nazionale contro la privatizzazione dell’acqua e del criminale rilancio del nucleare, è un’occasione persa per provare a coinvolgere i movimenti sociali, i differenti settori sindacali, gli studenti e le lotte ambientali, veramente tutti Uniti contro la crisi senza steccati, e a rilanciare con forza la mobilitazione nazionale per allargare la partecipazione di massa con cui generalizzare ed attraversare lo sciopero del 6 Maggio.

 
 
 
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