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Non dobbiamo fare la fine dei minatori inglesi!

Post n°646 pubblicato il 23 Marzo 2012 da VoceProletaria


Non dobbiamo fare la fine dei minatori inglesi!

di Luca Climati,  22.03.2012

Car* compagn*,
nel titolo si accenna a quella che fu una durissima vertenza che la classe lavoratrice nel Regno Unito perse, dopo un lungo ed epico confronto, con la "lady di ferro" e gli interessi padronali che rappresentava negli anni 1979-1984.
Fu una vertenza-lotta pilota, ancora più profonda che da noi la storica sconfitta in FIAT nel 1980, dopo 36 giorni di lotta e la famosa marcia dei “20.000 reali”.
Ci sono delle vertenze e lotte “cardinali” che di per sé hanno una carica e una valenza che scavalca la portata stessa del fatto specifico.
Ma oggi, l’approvazione governativa-forzata delle modifica al testo del maggio 1970 dello Statuto dei Lavoratori, la  L. 300, sull’Art.18, è sia sostanziale che ideologica!
Più di trenta anni fa i minatori fratelli del Regno Unito persero, nonostante l’ardore
degli scontri con gli sbirri e la loro assoluta compattezza.
Questo avvenne perché la fase internazionale era ben diversa e le sirene
della seduzione privatistica e del libero mercato ebbero la meglio sia sull’ignoranza della middle class, sia sui vertici del partito laburista e del “fuoco amico” dei lavoratori (comunque molto più coinvolto dei vertici del PD-SEL e della CGIL di oggi...).
Il resto e' testimoniato dagli ottimi film di Ken Loach, una sintesi perfetta di ciò che fu la terribile ricaduta “umana” e culturale.
Oggi il quadro internazionale e lo sviluppo di quella inesorabile crisi strutturale da sovraproduzione, che nell’ovest del mondo e' iniziata nel 1973, ed ha prodotto da una parte il
decennio Reagan-Thatcher, in USA e GB, e la riconversione industriale in Italia (soldi regalati ai padroni, Fiat in prima fila, e attacco alla scala mobile, e la “Milano da bere”, con gli Yuppies alla f.lli Vanzina), che fu il primo tassello della "RSCS" (resa strategica concertativa sindacale), rende più complicato un collaborazionismo ed una identificazione del ceto medio impoverito, con gli interessi del capitale finanziario, oggi.

La vera “parte molle”, il vero problema per i lavoratori sta in tre punti:
- il collaborazionismo di CISL E UIL, che comunque rappresentano alcuni milioni di sfruttati “paurosi” e più regrediti;
- l’ambiguità in CGIL, con i vertici che sono “costretti” a fare l’ammuina della battaglia e la FIOM più decisa nel sostenerla, ma attrezzata in maniera vecchia e velleitaria alla portata dello scontro attuale;
- l’ambiguita' di forze politiche (PD,SEL, IDV) che non rappresentano centralmente gli interessi di classe o in maniera omogenea e puntuale il mondo del lavoro, se non una societaà civile “fregnona e indignata”, spesso lasciata alla mercé di grillini e qualunquisti attuali, spuntata nel progetto e nella strategia.
Anche chi, con maggiore coerenza, offre sponda alle lotte, come la Federazione della Sinistra, risulta marginalizzata o soltanto declatoria nel ruolo, non avendo forza
e autorevolezza oggettiva.

Il sindacalismo di base, soprattutto nelle componenti USB, il sindacato di base forse più organizzato e relativamente rappresentativo, e CUB (i Cobas appaiono oggettivamente in declino…), che comunque ha il merito di aver perlomeno sostenuto coerentemente un ruolo chiaro e da tempo insospettabile rispetto i processi degenerativi generali, anche del sindacato concertativo stesso, denunciandone puntualmente causa-effetto, “non sfonda” per tante ragioni oggettive, spesso aldilà del proprio potenziale.

Questo è il quadro che tranquillizza il padronato ad affondare “la lama nel burro”, forte di questi fattori di “disunione”,  primadonnismo e ritardo storico-etico-culturale e programmatico.
La dimostrazione “visiva” di questo stato, almeno per non raccontarci frottole che
non servono, era lo sconsolante spettacolo del presidio ultimo sotto il Montecitorio:  tutto ceto politico auto rappresentativo e incartapecorito dal passare degli anni.
Tanti presuntuosi e sguaiati generali senza esercito!
Non ci possiamo nascondere che orticelli, opportunismi, veti da cortile, estremismo, impediscono al movimento la formazione di un largo utile fronte di resistenza di massa “propositivo”  e aggiornato, capace di attrarre consenso ed egemonia anche aldilà dei suoi confini rappresentativi.
Senza coagulare la stragrande parte di popolazione, in un unico disegno e interesse comune, questa battaglia contro un nemico forte di fondi, apparato mediatico e soprattutto repressivo, non si vince.

Che fare?
1 Non possiamo concepire, aldilà di tutti i distinguo evidenti, due o tre scioperi generali separati oggi.
    Lo Sciopero Generale deve essere UNO, non TRINO!
Alla greca, con la paralisi totale delle attività e coinvolgendo gli iscritti e i lavoratori paurosi, anche quelli che cercano rifugio in Cisl e Uil (che da tempo hanno trovato riciclo nella cogestione di sostanza, nei CAF e nei fondi pensione a perdere....).
2 Il FRONTE UNICO di difesa dell’articolo 18 si costruisce DAL BASSO, fabbrica per
fabbrica, posto di lavoro per posto di lavoro, assemblea per assemblea, creando una ragnatela
gigante ove l’insetto nefasto del governo Monti possa restare impantanato e divorato, prima che lorsignori divorino gli scampoli della carne nostra prima delle ossa.
3 Demistificare il mito delle riforme zero che il testo padronale della arpia Fornero contiene, teso a contrapporre per generazione e per collocazione la classe dei lavoratori: il succo del testo è la possibilità dell’annientamento preventivo del conflitto sul posto di lavoro!
Solo Uniti e con un programma credibile, spregiudicati e disposti ad una strenua resistenza ed un attacco dispendioso ce la potremo fare.
Il 1980 è lontano anni luce! Ma ora non si scherza più!

Luca Climati - USB Pubblico Impiego (in via di estinzione)
Aderente alla ASSEMBLEA AUTOCONVOCATE ROMANA DEI LAVORATORI-TRICI

 
 
 
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