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La solidarietà tra lavoratori italiani e serbi.

Post n°58 pubblicato il 27 Luglio 2010 da VoceProletaria

Liberazione, 25/7/2010

La campagna di solidarietà coi lavoratori della Zastava partita subito dopo l'aggressione Nato del 1999

Quando l'Italia bombardava le fabbriche serbe

Gilberto Vlaic       “Non Bombe ma Solo Caramelle”  - Onlus Trieste
Riccardo Pilato      Associazione Zastava Brescia

   Perchè parliamo di solidarietà internazionale con la Serbia in un momento in cui in Italia si parla di Serbia in tutt’altro senso e con la strisciante idea che proprio da lì venga una concorrenza accanita contro i lavoratori italiani di Mirafiori? Perchè c'è molta disinformazione, per non dire cattiva volontà in tutto questo parlare senza avere cognizioni di causa sulle vicende.
   La solidarietà internazionale con la Serbia, e specialmente con la città di Kragujevac e con i lavoratori della Zastava è partita subito a ridosso dei bombardamenti Nato del 1999, che hanno portato distruzione, perdita di lavoro, danneggiamenti di ogni genere colpendo settori trainanti dell’industria con l’obiettivo non tanto occulto di mettere in ginocchio un Paese per farlo allineare alle politiche liberiste dell'Occidente.  
   Non dimentichiamo che il complesso metallurgico Zastava di Kragujevac con i suoi 36.000 dipendenti fu pesantemente bombardato con la motivazione che lì si producevano armi. In realtà la Zastava produceva una vasta gamma di prodotti, dagli aghi per insulina alle auto, ai camion, ai fucili da caccia; ciò che fu colpito e distrutto furono i reparti auto, camion, la fucina, la centrale termica, il centro di calcolo.
   La campagna di solidarietà è partita da alcuni settori del sindacato italiano della CGIL e del sindacalismo di base, che non digerivano la scelta del governo italiano di partecipare ai bombardamenti in palese contrasto con la Costituzione, e non accettavano la subordinazione dei vertici sindacali alle posizioni del governo.
   Un dato sembra importante per connotare da subito questa azione di solidarietà, che si rivolgeva inizialmente in affidi a distanza per i figli dei lavoratori Zastava rimasti senza lavoro a causa dei bombardamenti: è stato un atto politico e non una semplice beneficienza, e questo lo dimostra bene il caso della fabbrica bresciana Alfa Acciai dove circa 150 operai sostengono da oltre 10 anni, collettivamente, gli affidi di 26 ragazzi e ragazze di Kragujevac.
   Questa iniziativa di solidarietà è nata come risposta a una richiesta di aiuto che il sindacato serbo Samostalni ha lanciato nell’aprile del ‘99 ai lavoratori europei e alle loro organizzazioni nel tentativo di contrastare questa aggressione.
   Da subito in molte città italiane, Roma, Torino, Milano, Brescia, Bologna, Bari, Napoli, Bolzano, Lecco, Trieste, e altre ancora, sono nate associazioni fondate da gruppi di lavoratori e da persone che volevano prendere una pubblica posizione contro i bombardamenti, al fine di mettere in atto azioni di solidarietà nei confronti dei lavoratori serbi.
   Si sviluppò in quel periodo una forte consapevolezza che era necessario dar corpo a forme di solidarietà materiale al popolo e ai lavoratori bombardati. Ci fu una primissima fase emergenziale, durante la quale il sostegno era caratterizzato dalla spedizione di numerosi camion di aiuti, soprattutto vestiario, prodotti per l’igiene personale, materiale scolastico, medicinali. Poi si attivò una campagna di affidi a distanza dei figli dei lavoratori Zastava, attività che dura tutt’ora perchè la situazione del paese rimane di estrema povertà, disoccupazione e bassi salari per chi riesce a lavorare.
   Il sindacato Samostalni creò da subito una apposita struttura, l'Ufficio adozioni-Ufficio rapporti internazionali, con il compito di seguire le relazioni con le varie associazioni italiane e di fornire e aggiornare le liste dei ragazzi e ragazze di famiglie in maggiore difficoltà.
   Attualmente gli affidi sono circa 1500. La particolarità di questa campagna sta nel fatto che la consegna del denaro avviene in apposite assemblee pubbliche direttamente ai genitori, con la firma di ricevuta, e senza alcuna trattenuta sui fondi che i sottoscrittori versano, nel senso che le spese di viaggio per andare a consegnare il denaro sono a carico di chi vi partecipa.
   Nel 2004, da parte di alcune associazioni, si è deciso di affiancare agli affidi anche una serie di interventi mirati di carattere sociale rivolti a fasce deboli della città di Kragujevac e appositamente richiesti dal sindacato Samostalni e da varie associazioni locali.
   Questi interventi sono realizzati nel campo della scuola, della disabilità fisica e mentale, della sanità pubblica e hanno potuto contare anche sull’intervento finanziario di alcune istituzioni pubbliche e di altre associazioni di volontariato italiane.
   Una fonte preziosa di finanziamento di questi progetti è stato il 5 per mille sottoscritto per le nostre associazioni.

«Ci hanno affamato, ora ci ricattano. Per questo dobbiamo lottare insieme»

Intervista a Radoslav Delic segretario generale di Samostalni 

Radoslav Delic è segretario generale delle aziende dell’ex gruppo Zastava per il sindacato Samostalni, i metalmeccanici serbi.

Cosa c’è di vero nell’intenzione della Fiat di spostare le produzioni da Torino a Kragujevac?

   Il nostro governo non ha dato nessuna informazione ufficiale che riguardi questa presunta intenzione resa nota da Marchionne e i massmedia in Serbia non hanno fatto altro che diffondere le notizie pubblicate dalla stampa italiana.

Ci sono stati incontri tra Marchionne e il sindacato serbo?

   Assolutamente no.

La Fiat sta giocando al ricatto con i lavoratori degli stabilimenti italiani, prima contrapponendo Tychy (Polonia) a Pomigliano. Ora sta facendo lo stesso gioco contrapponendo Torino a Kragujevac. Lo scopo è quello di scatenare una guerra tra poveri dove sopravvivono i lavoratori che si offrono alle peggiori condizioni. Non credi che occorra unirsi per evitare di essere messi gli uni contro gli altri?
E se è così, cosa si deve fare?

   Da molti anni abbiamo rapporti con organizzazioni territoriali e aziendali della CGIL e con varie associazioni, rapporti costruiti intorno alla solidarietà con il popolo serbo maturati durante i bombardamenti scatenati dalla Nato contro il nostro Paese nel ’99.
   Queste relazioni solidali hanno prodotto centinaia di adozioni a distanza che durano tutt’ora.
   Sul piano sindacale, il nostro segretario dell’ex gruppo Zastava e vicesegretario nazionale di Samostalni Zoran Mihajlovic è stato invitato due anni fa dalla FIOM di Torino per concertare un’iniziativa finalizzata ad unire in una rete tutti i sindacati FIAT del mondo. In quell’occasione tutti fummo d’accordo, ma l’idea è rimasta allo stato delle intenzioni.
   Una delle nostre proposte fu che si doveva promuovere l’unità a livello della lotta sindacale: pensavamo che se sciopera il nostro compagno in Italia o in Spagna, bisogna trovare la forza di scioperare in tutte le fabbriche FIAT del pianeta, perché solo così è possibile opporsi validamente al padrone, che altrimenti ha gioco facile ad isolarci, a contrapporci e a batterci gli uni dopo gli altri.

Gli operai polacchi di Tychy hanno scritto ai loro compagni di Pomigliano una lettera molto forte, chiedendo loro di non farsi intimidire e proponendo di fare causa comune contro la prepotenza della Fiat. Perché questo avvenga è necessario costruire un plafond di diritti comuni. Ma come è possibile se le condizioni di partenza sono così diverse?

   Nel già citato convegno torinese fu proprio la FIOM italiana a proporre che si convenisse su una piattaforma che individuava alcuni fondamentali diritti per i quali battersi in tutte le aziende del gruppo FIAT. Questo è indispensabile, al di là delle differenze economiche e sociali che continuano a sussistere e che temo sussisteranno ancora a lungo nei diversi Paesi. Certo, ci sono grandi difficoltà.
   Per esempio, il lavoro minorile va combattuto ovunque, anche se da noi il problema fondamentale, in un quadro devastato dalla disoccupazione, è dare il lavoro agli adulti.

La debolezza dei lavoratori serbi, il loro assoluto bisogno di lavorare è cinicamente usato dalla Fiat per imporre condizioni di lavoro e di salario pessime, per poi spiegare ai lavoratori italiani che devono fare altrettanto perché lo impongono le regole della competizione internazionale. Non è giunto il momento che in Europa si consolidi un coordinamento sindacale capace di impedire questo gioco al ribasso?

   Naturalmente dobbiamo impedire questo gioco perverso. Noi lavoratori e il nostro sindacato abbiamo perfettamente chiaro che il padrone è sempre in cerca della realtà in cui può fare maggiore profitto. I lavoratori serbi sono ora divenuti il bersaglio privilegiato perché dopo più di dieci anni di embargo, bombardamenti e liberalizzazioni selvagge si sono trovati a vivere sotto la soglia della povertà, avendo essi bisogno di tutto per sopravvivere.
   La sporca guerra che abbiamo subito e l’instaurazione in Serbia di un vorace capitalismo che ha privatizzato tutto ciò che vi era di pubblico si sono trasformati in un boomerang anche per i lavoratori italiani contro i quali oggi viene scatenato il dumping.
   Per impedire questo genere di ricatti dobbiamo essere uniti e ripetiamo per l’ennesima volta che la nostra battaglia sindacale deve essere comune.
   Non possiamo chiudere gli occhi davanti alle difficoltà e alle minacce che oggi subiscono i lavoratori fratelli di altri paesi. Tuttavia bisogna sapere che ci sono la nostra estrema debolezza e la nostra povertà alla base di tutto, perché se noi ora stessimo meglio il padrone italiano non sarebbe venuto qui, e noi non avremmo accettato un salario di 200 euro al mese.

 

 
 
 
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