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Assemblea di Unibo. Intervento di Docenti Preoccupati.

Post n°246 pubblicato il 21 Febbraio 2011 da VoceProletaria

L'intervento di Sergio Brasini, professore ordinario  - piuttosto "fuori dall'ordinario"  per la radicalità espressa - di Statistica di Unibo.

Università di Bologna.  Assemblea di Ateneo di giovedì 17 febbraio

Intervento di Sergio Brasini

   Magnifico Rettore, cari Colleghi,
eccomi qua a rappresentare pubblicamente “l’inverno del nostro scontento”. 
  Prendo la parola come componente del gruppo dei Docenti Preoccupati e già conoscete la nostra posizione di totale rigetto della cosiddetta contro-riforma Gelmini.    Mi inserisco nella discussione per segnalarvi l’aspetto che più mi preoccupa sul modello di Università pubblica che ci attende negli anni a venire.    Grazie al combinato disposto di provvedimenti quali la Legge 133/2008, la Legge 240, i D.M. 17 e 50/2010 e, buon ultimo, il cosiddetto Decreto “mille proroghe”, l’esito finale più che prevedibile sarà la chiusura di numerose Università, il ridimensionamento drastico di altre, l’ulteriore riduzione dei fondi destinati alla ricerca, all’innovazione e al diritto allo studio.    Proprio con riferimento a quest’ultimo aspetto, penso che i provvedimenti citati mettano a rischio di tenuta uno dei più importanti elementi di perequazione sociale presenti nella nostra Costituzione.    Per la prima volta dopo 40 anni, ad essere in pericolo è un pilastro democratico della nostra Società, cioè l’idea stessa di una Università aperta a tutti e tesa a favorire percorsi di ascesa sociale.
   Due semplici numeri ci aiutano a capire qual è la posta in gioco: a metà degli anni ‘60 gli studenti universitari in Italia erano 400.000, oggi sfiorano i due milioni.    Da statistico non mi è difficile proiettare nel tempo le tendenze in atto per quanto riguarda la consistenza e la composizione per età e per fasce del personale docente degli Atenei, soprattutto alla luce dei futuri pensionamenti, del blocco del turn-over e della prevista ulteriore riduzione dei fondi a disposizione del sistema universitario pubblico.    Perciò vi posso segnalare, con un livello di fiducia prossimo alla “pratica certezza”, che in assenza di una drastica inversione di tendenza (al momento neppure lontanamente immaginabile) tra qualche anno le Università pubbliche italiane saranno in grado di “servire e sostenere” una popolazione studentesca non superiore alle 500.000 unità in base ai requisiti necessari di docenza.    Una vera tragedia!
   Senza una Università pubblica davvero aperta a tutti, i figli delle classi sociali più disagiate, anche se capaci e meritevoli, torneranno in larga parte ad esserne esclusi.    Chi vorrà studiare decentemente, ma anche insegnare o fare ricerca, si dovrà rivolgere ai privati, pagando, indebitandosi o gravando sulle famiglie di origine.    Una prospettiva che potrebbe fare gola a molti: dopo quello della salute, il mercato della formazione si candida a diventare il nuovo grande “affare” dei nostri anni.
   Il modello al quale tenderà a conformarsi l’Italia è verosimilmente quello dell’Università americana (ovviamente finanziamenti esclusi!), intesa come sistema nel suo complesso: dove oggi coesistono trenta o quaranta Atenei di grande livello e alcune migliaia di City College o di State University che sono – perdonatemi il cinismo – qualcosa a metà strada tra il riformatorio e la scuola di avviamento professionale.    Un sistema fondato su debiti e prestiti d’onore, che ormai le stesse banche americane sono restie a concedere.
   Un altro dei miei motivi di forte preoccupazione, dopo l’approvazione della Legge 240, è quello di una possibile crescita a dismisura della sfera di influenza dei Rettori.    Allo stesso modo mi preoccupa molto il tema della nuova composizione dei Consigli di Amministrazione, investiti di un potere decisionale assoluto.    In questi Consigli siederanno membri esterni sostanzialmente scelti dai Rettori, che potrebbero essere portatori di interessi altrettanto esterni agli Atenei.    Se dai Consigli saranno eliminate le rappresentanze elettive di personale docente, ricercatori e tecnici-amministrativi, verranno meno quei principi di governance partecipata che hanno finora garantito l’esistenza di una pluralità di voci ed evitato l’instaurarsi al governo degli Atenei di una sorta di oligarchia tecnocratica.
   Per tutti i motivi che ho ricordato sono profondamente convinto che in questa fase straordinaria per la vita dell’Università pubblica sia più che mai necessario un nuovo patto fondativo tra tutte le componenti del nostro Ateneo (docenti, ricercatori, personale tecnico-amministrativo, precari e studenti).    Vorrei che l’Ateneo di Bologna, per la sua storica autorevolezza, morale prima ancora che scientifica e didattica, si dotasse di uno Statuto che fosse un vero modello di democrazia partecipativa.    In modo da costituire una guida ed un punto di riferimento per tutti gli Atenei italiani.    Sfruttando pienamente, se necessario, l’ampia autonomia progettuale che la Legge riserva agli Atenei virtuosi, eccellenti e policentrici.    Il documento dell’Intersindacale presentato oggi dal collega Leonardo Altieri contiene indicazioni secondo me molto importanti in questa direzione.
   Per concludere il mio intervento, esprimo un appello affinché tutti coloro che hanno idee e contributi utili non solo debbano essere ascoltati, ma possano incidere in maniera concreta sul processo di costruzione di un nuovo Statuto davvero democratico portandovi all’interno le loro legittime istanze.    Il dialogo tra tutte le nostre componenti per nessun motivo deve interrompersi: se non adesso quando?
   Magnifico Rettore, la democrazia e la trasparenza non sono concetti vuoti da predicare solo a parole; vanno invece praticati quotidianamente, con azioni coerenti e conseguenti, proprio quelle che sono clamorosamente mancate nel nostro Ateneo nei 324 giorni che sono trascorsi dal 30 marzo 2010 ad oggi.    Le scelte che faremo nei prossimi mesi avranno ricadute sui decenni a venire. Non possiamo permetterci passi falsi, se sono in gioco il futuro professionale di migliaia di colleghi (docenti e non docenti) e la libertà di accesso all’istruzione superiore delle nuove generazioni.
    La difesa dell’Università pubblica significa, in definitiva, difesa di un’idea del bene comune, di risorse non divisibili ma condivisibili.
   Permettetemi una metafora finale: solo se rimarremo tutti uniti potremo continuare a crescere assieme.    Nessuno si salverà da solo.    L’alternativa che ci aspetta, parafrasando il noto politologo Maurizio Viroli, è quella tra la “libertà dei servi” in un futuro regno di solitudini e la “libertà dei cittadini” in una futura casa comune: scegliere non dovrebbe essere poi così difficile!

 
 
 
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