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Versailles, Italia, 2013.

Post n°922 pubblicato il 23 Aprile 2013 da VoceProletaria

Versailles, Italia, 2013.
Appunti per una memoria futura.

Non è ancora chiaro  dove, lo scorso sabato, si sia manifestata la più efficace forza eversiva della Costituzione repubblicana d’Italia, se dentro  o fuori il Palazzo.

Versailles, 1788.
Roma, 20 Aprile 2013.
Sabato 20 Aprile 2013 le Camere riunite dei Deputati e del Senato della Repubblica Italiana eleggono, con oltre il 70% dei voti parlamentari e dei grandi elettori, il 12^  Presidente della Repubblica, l’ottantottenne Giorgio Napolitano.
Egli succede a sé stesso, ed è la prima volta, in 65 anni di Costituzione repubblicana, che un presidente venga rieletto. La stessa Costituzione, non a caso, lo “sconsiglia” vivamente.
La sua rielezione è frutto della crisi irreversibile di un sistema (auto)rappresentativo di pochi partiti che, incapaci di ottenere una legittimazione - tanto meno di una soluzione alla crisi nazionale di un Capitale globale -, pensano ormai alla sola salvezza di sé stessi illudendosi di potersela cavare con qualche “brioches” da offrire ad un popolo affamato.
Affamato di pane, certo, ma anche e forse ancor più di giustizia.
Il Palazzo - gli  Stati Generali del 2013 - si arrocca intorno al neo Re Giorgio II e si ritira a corte, la “nostra” odierna Versailles.
C’è chi grida al golpe. E’ Beppe Grillo, leader del Movimento 5 Stelle.
La crisi politica si avvita su sé stessa, sconfessa e abbandona ogni residuo spirito costituente e getta con prepotenza le premesse per la riscrittura della stessa Costituzione nata dalla Resistenza per l’instaurazione - e la “ratifica de jure” - di un regime presidenziale ampiamente già “de facto”. 
E’ l’inizio o l’incubazione della Rivoluzione…?

I forconi.
Il grido di golpe viene raccolto e raduna velocemente molte migliaia di persone fuori dal Palazzo di Montecitorio. Sono per lo più la prosecuzione di una protesta innescatasi con l’indicazione telematica dei “mediattivisti”  grillini (poco più di 50.000 in tutto) per Stefano Rodotà alla Presidenza della Repubblica, popolare giurista e noto uomo di sinistra (ancorché non privo di macchie) gradito ad un vasto pubblico e sicuramente esperto e competente di problemi istituzionali e costituzionali.

Un presidenzialismo liquido e popolare. Via web.
Le “quirinarie”, ovvero il voto elettronico riservato a pochi e selezionati attivisti del Movimento 5 Stelle, indicano un ordine di preferenze per i candidati che i parlamentari grillini avrebbero dovuto sostenere in occasione delle elezioni presidenziali. I primi due, Milena Gabanelli e Gino Strada, dignitosamente rifiutano. Nonostante l’ingenuo gradimento dei loro sottoscrittori, i due sono perfettamente consapevoli delle loro capacità, così come dei loro limiti. Proprio perché onesti, non si sentono in grado di affrontare un compito così complesso.  Il terzo classificato, Stefano Rodotà, accetta di divenire il candidato di M5S. Ha le giuste competenze, nonché una legittima e motivata aspettativa a ricoprire quel ruolo.
Ciò, tuttavia, comporta una scomunica di fatto da parte del PD, nonostante egli sia stato un fondatore del PDS e, cosa ancor più tragica per lui, diventa una “figurina” nelle mani di Grillo.
Una “figurina” che, grazie ad un elevato grado di popolarità non circoscritta ai soli web-votanti, riesce a penetrare in profondità nelle fila della sinistra e divenire così una vera e propria contraddizione per il PD innanzitutto, ma anche per il centrosinistra che vede la immediata adesione di Vendola a Rodotà in contrasto con le indicazioni del PD.
Il cuneo è ben inserito, Grillo impazza e gode.

L’ancien regime.
Il PD, dal canto suo, ha già scelto un candidato più gradito a Berlusconi che non al suo elettorato, Franco Marini. La sua indicazione “condivisa seguendo le indicazioni costituzionali”, ovvero tra PD e PDL, non riesce a nascondere il carattere propedeutico ad un governo di “larghe intese” che viene interpretato, non a torto, come grande “inciucio”.
Marini, tuttavia, nonostante i grandi numeri che in teoria dovrebbe raggruppare (PD+PDL+Lega+Scelta Civica), non passa la prima votazione, laddove era necessaria la maggioranza qualificata dei due terzi dei votanti. Le fila renziane e i vendoliani, seppure con opposte visioni e motivazioni, avevano fin da subito dichiarato esplicitamente il loro niet all’ex leader cislino, e ad essi si aggiunge più di un dissidente PD.
Marini bruciato il 18 Aprile; si passa ad un altro.
Il ripiego su Prodi, come estremo tentativo del segretario PD Bersani di ricompattare un partito ormai preda di bande più o meno organizzate, si rivela tragico per la sua intera segreteria costretta poi a dimettersi. I “franchi tiratori”, mai così numerosi nell’intera storia parlamentare, sono tutti interni al PD e affossano e umiliano anche l’ipotesi di un Prodi che, dopo il plebiscito raccolto dagli elettori PD riuniti in assemblea pre-elettorale il 19 aprile, in Aula  non riceve nemmeno i voti sufficienti per l’elezione con maggioranza semplice, ovvero il 50% + 1 degli aventi diritto al voto. 
C’è chi lo ha definito un “parricidio”: il giovane discolo Renzi uccide il suo “padre putativo” per poterlo emulare.  Pare, però, più un’imboscata degna di una corte popolata da cardinali Richelieu o Mazarino, e senza alcun eroico moschettiere…
E’, comunque, la disfatta totale del partito che detiene la maggioranza relativa in Parlamento, ed è ciò che porterà Bersani ad implorare (inginocchiato sui ceci…?) il ritorno di Napolitano, l’amico più fidato di Berlusconi negli ultimi 7 anni, alla guida dello Stato.

Il riscatto del comico….
L’astuto Grillo, intanto, riesce ad aggregare intorno al “suo” uomo-immagine Rodotà gran parte di elettori PD delusi ed incazzati per le manovre inciuciste e pasticciate di Bersani.
E’ un’operazione politica molto furba, tanto che anche buona parte della sinistra ex-parlamentare si lascia affascinare dall’indicazione di Grillo per Rodotà e, forse inconsapevolmente (quindi ancor più colpevolmente, in quanto stupida), partecipa ad una inedita campagna in suo favore.

…politicista come e più degli altri.
Il rapido discredito che aveva iniziato a circondare i grillini, dopo più di un mese di vere e proprie stupidaggini dette e fatte tra i banchi parlamentari, viene dimenticato ed, anzi, si trasforma in una nuova investitura popolare di Grillo come resuscitato “fustigatore della casta inciuciona” ed ora anche “fine politico”.
Politicista o politicante, tuttavia, appaiono i termini più appropriati al caso.
Tre piccioni con una fava: lo sdoganamento popolare del presidenzialismo, ormai assunto a dogma da tutte le forze politiche parlamentari; la distruzione di uno dei tre poli partitici in competizione, il PD di Bersani (e pure di chi verrà dopo di lui…); la contestuale sua sostituzione col nuovo polo emergente, ovvero il M5S.
La sinistra (quella “vera“ e non quella finta del PD e dintorni), che pure dovrebbe rappresentare la più accesa opposizione ai tentativi reazionari ed autoritari inscritti nel sistema presidenziale, è fuori gioco, completamente allo sbando e per di più affascinata e sussunta dalle istanze comunque eversive di una folla sapientemente teleguidata da un  Grillo imbonitore che può temere solo e soltanto il suo “maestro politico”, Berlusconi, ma non certo una forza rappresentativa priva di un suo progetto, di una sua visione e di una sua identità.

La Guardia Reale.
Il polo antagonista che potrà competere a Grillo la futura Presidenza plenipotenziaria (del Consiglio o della Repubblica, si vedrà…) sarà, ahinoi, il PDL di un Berlusconi ogni giorno più forte.    Le forze di Reazione sono più vive e vegete che mai.

La marcia del 20 Aprile, poi la ritirata. Strategica.
Il grido di golpe, dunque, e l’annunciato arrivo di Grillo a Roma a capo di una rivisitata “marcia” dall’infausta memoria, produce dunque un assedio a Palazzo Montecitorio.
I citoyens che Grillo ha invocato per il suo arrivo, sperando in milioni di essi, iniziano così a manifestarsi sotto gli occhi delle telecamere televisive accorse a Palazzo per seguire l’elezione presidenziale e però distratte da tanta partecipazione popolare.
E’ una folla, tanto vasta che circonda l’intero perimetro di Montecitorio, solo inizialmente composta da grillini e in seguito molto più composita e attraversata tanto da elementi di destra, quanto da elementi di sinistra extraparlamentare, quanto da delusi del PD ed enrages vari.
La destra estrema di Forza Nuova, in adesione all’appello di Grillo, si raduna in una piazza vicina ma non arriva a Montecitorio, anche per una discreta opera di dissuasione creata dalla presenza già un po’  più organizzata dei compagni di Rifondazione Comunista.
Il pericolo, però, che la situazione possa sfuggire di mano anche a Grillo è sicuramente presente, e non alberga solo nelle menti delle forze dell’ordine… Lo stesso Rodotà, infatti, prende finalmente le distanze e si dissocia dai proclami eversivi di Grillo.
Da qui il ripiego in una conferenza stampa del comico e lo scioglimento di ogni altro tipo di manifestazione dall’imprevedibile esito finale.
Poco male, in fondo. E’ presumibile che il vero obiettivo di Grillo, più che l’agognata elezione di Rodotà, fosse in realtà proprio questo: la popolarizzazione e l’invocazione “vox populi”  di un sistema presidenziale tramite elezione diretta.
Nessuno finora era riuscito in questo disegno, per quanto da sempre suggerito e proposto da interessati “consigliori” statunitensi e vari “oscuri poteri”. Nemmeno il Pannella dei temi andati, col suo ridicolo e anglicizzante “Emma for President” era riuscito nell’impresa, anche se va detto, però, che un implicito omaggio glielo ha riconosciuto proprio Grillo col cammeo di Emma Bonino tra i candidabili alle sue “quirinarie”.
E‘ lecito, dunque, pensare che Grillo sia  il più affidabile “rivoluzionario colorato” su cui oggi possa contare l’establishement a stelle e striscie, Soros in testa…

Parrucconi, sanculotti, girondini, girotondini…? Tutto, meno che i giacobini.
A ricordo di questa giornata restano alcune eloquenti immagini televisive. Immagini speculari ma asimmetriche, laddove in una finestra si assiste alle felicitazioni ed agli abbracci di centinaia di parlamentari (non senza alcune scene di sconforto, come Bersani affranto per le ormai inevitabili dimissioni…) e con un Berlusconi raggiante per il suo ultimo successo; in un’altra finestra si vede la folla sempre più numerosa a manifestare la sua rabbia e a scandire il nome del “suo” presidente, Rodotà.
Si percepisce in maniera tangibile la distanza abissale e la cesura netta tra questi due mondi completamente estranei l’uno all’altro, eppure così simili nei loro tratti politici principali.
L’orgia sconcia di un potere autocratico e consapevole della sua strafottenza nei confronti del popolo versus una folla ignara della sua stessa carica eversiva e tuttavia telecomandata.
In nessuno di questi due poli si rintraccia afflato democratico, né tanto meno rivoluzionario.
Sono solo le prime immagini di un diluvio a venire…

Apres moi le deluge.
Re Giorgio II è acclamato Presidente.  Il suo è già un potere assoluto.
Ad esso spetta ora l’insindacabile compito di nominare il futuro governo e, se impossibilitato in ciò, sciogliere le camere e riportare l’Italia al voto.
In ogni caso, qui si consuma la fine della Seconda Repubblica.
Nessuno la rimpiangerà, questo è certo, ma ciò che ci aspetta non sarà niente di meglio.
Giusto il “diluvio”…

Bologna,  23.04.2013                                                             Virginio Pilò

 

 

 

 
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