Creato da Blackwater_park il 27/02/2007

Wildest Dreams

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Post N° 2

Post n°2 pubblicato il 28 Febbraio 2007 da Blackwater_park

“Quando, nel lontano 1985, un amico mi portò una cassetta che aveva appena registrato, non avrei mai pensato che ventidue anni dopo quella musica sarebbe stata tanto presente nella mia vita, nel mio sangue, nel mio spirito.

Ricordo ancora com’era quella cassetta. E ricordo perfettamente qual’era la canzone che la apriva. “Hotel California”.

E da allora quel brano è capace di suscitare in me sensazioni indescrivibili ogni volta che lo ascolto. Forse anche più di quanto accadde la prima volta.

Una canzone leggendaria. Una band leggendaria.”

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Nel 1977 la band americana Eagles da alle stampe quello che sarà ricordato per sempre come il loro successo più famoso:  “Hotel California”.

Forti di una formazione straordinaria, dotata di un songwriting eccezionale, i nostri sfoderano in quell’album alcune delle loro canzoni migliori e, in senso generale, più belle dei seventies (e anche di più.).

La dolcissima “Wasted time”, la robusta “Life in the fast lane”, la melodica e struggente “The last resort”. Ma più di tutte, quella che resterà a memoria anche di chi la band non la conosce/non la ricorda è la title-track: “Hotel California”. Questo è un pezzo che fonde magistralmente quelli che erano stati sin dagli esordi gli intenti della band. Una miscela riuscita di rock, country e blue grass. Quest’ultimo genere lo si rintraccia specialmente nella parte finale del pezzo: il meraviglioso, storico e dirompente assolo, che vede coinvolti tutti e tre i chitarristi dell’epoca. Don Felder, Joe Walsh e Glenn Frey.

Ma la strada per arrivare ad un simile risultato e al successo planetario era iniziata qualche anno prima.

Formatisi all’inizio degli anni ’70 dalla mente di Don Henley e Glenn Frey (impegnati fino a quel momento come componenti della band della cantante country Linda Rondstadt), gli Eagles incidono l'omonimo “Eagles”, un album pazzesco per l’epoca, coi suoi continui rimandi country ("Take it easy") o la vena rock cupa e velenosa di “Witchy woman”. Il disco ottiene un successo immediato ed insperato, piazzandosi subito in classifica.

Forti del successo, l’anno successivo incidono “Desperado”, album che spiazza un po’ tutti per il suo forte richiamo western (si tratta di una specie di concept, incentrato su un’ipotetica banda di fuorilegge Doolin Dalton, cui viene dedicato anche un brano e un “reprise”).  

Nonostante alcune chicche straordinarie quali la stessa “Desperado” e “Tequila sunrise”, l’album non conferma nell’immediato, a livello di vendite, quel che aveva fatto segnare l’esordio. Ma è, invero, un gran bel disco, e il tempo ha dato ragione a loro. Eccome.

Nel 1974 entra nel gruppo il chitarrista Don Falder e la banda da alle stampe “On the border”. Pur senza discostarsi dai loro canoni, dove melodia e classe crescono esponenzialmente con l’affiatamento della band, questo disco ha, secondo me dei punti di forza notevoli rispetto ai predecessori. Il rock, vero e spumeggiante, lo si sente davvero e “Already gone” e “James Dean” ne sono un esempio chiaro e lampante. C’è poi una parentesi bellissima, “Ol’ 55”, originariamente scritta ed eseguita da Tom Waits ,che gli Eagles interpretano magnificamente, personalizzandola con il loro stile ormai inconfondibile (personalmente uno dei pezzi migliori degli Eagles, pur se non scritto da loro). E poi c’è la ballad “Best of my love”, che diverrà uno dei più gettonati cavalli di battaglia del gruppo e il primo, vero, enorme successo da classifica.

Il 1975 porta con se uno dei dischi più amati dai fans: “One of these nights”.

E’ un successo totale. “Take it to the limit”, “Lyin’ Eyes” e “One of these nights” sbancano le classifiche. Lo stile è cristallino e le canzoni sono bellissime. Gli Eagles diventano i beniamini negli States ed iniziano ad affacciarsi anche all’estero con prepotenza. Nello stesso anno il chitarrista Bernie Leadon, con loro dagli esordi, lascia la band, stanco della vita sempre on the road. Viene sostituito da quello che giustamente si può considerare un vero e proprio mattatore del palcoscenico: Joe Walsh. Joe proveniva dalle esperienze con la James Gang e i Barnstorm e aveva già inciso diversi dischi solisti di ottimo livello.

E così, arriviamo ad “Hotel California”, con cui abbiamo cominciato.

L’entrata di Walsh ha dato una sterzata notevole al pur elettrico rock della band.

Si tratta, come già detto, di un album storico. Non solo per i pezzi, ma anche per le vendite. “Hotel California” è a tutt’oggi l’album più venduto della storia degli Eagles. E ne han venduti parecchi, circa 83 milioni!

Bene. E dopo questo pazzesco successo?

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(Gli Eagles del 1977. Da sinistra: Glenn Frey, chitarra piano e voce - Don Felder, chitarra - Don Henley, batteria percussioni e voce - Joe Walsh, chitarra piano e voce - Timothy B. Schmidt, basso e voce)

I nostri, dopo il tour mondiale si presero un po’ di riposo.

Tornarono ad incidere solo nel 1979. “The long run” è un tipico album alla Eagles, seppur fortemente influenzato dal rock di Walsh e da una vena compositiva tipicamente orientata alla scalata delle classifiche. E infatti brani come “Heartache tonight” (scritta insieme a Bob Seger) e la super-ballad “I cant tell you why” spopolano tra vendite e passaggi radiofonici.

Ma la band ormai è al capolinea. Sono stanchi, tutti.  La voglia di cimentarsi in progetti solisti è tanta, anche per chi, come Walsh, proveniva proprio da quelli.

Nel 1980, dopo la pubblicazione del mastodontico e stupefacente doppio dal vivo “Eagles Live” la band si scioglie e ognuno prosegue per se. Con fortune più o meno grandi e altalenanti.

Ma per tutti rimane il marchio di un gruppo che ha segnato la musica rock degli ultimi trent’anni, e “Hotel California” uno degli album in assoluto più belli di sempre.

Di quel che è successo dopo quel 1980, ne parleremo più avanti.

“Nel frattempo, io mi ascolto di nuovo “Hotel California”. Sognando, ricordando e sorridendo al tempo che passa…”

 

 

 

 

 

 

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Commenti al Post:
darkside_79
darkside_79 il 05/03/07 alle 00:19 via WEB
L'ultimo ascolto di Hotel California risale a dieci giorni fa; andavo a Milano immerso in un mare di nebbia. Non si vedeva un acca. Eppure non ti nego che con quelle note riuscivo ad immaginare il sole. Buona serata
 
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