Creato da giglio.alfredo il 31/03/2013
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COMMENTO A CURA DI ALFREDO GIGLIO

Post n°95 pubblicato il 22 Aprile 2013 da giglio.alfredo
Foto di giglio.alfredo

 LA VISITA

(da Violetta Spensierata )

di Ezio Scaramuzzino

 

 

 L’interessante raccolta dei Racconti di Ezio Scaramuzzino, tutti a carattere autobiografico, permeati da tanti cari ricordi, oscillanti fra reale e surreale, rappresenta un po’ l’universo intimo dell’autore, che narra, con raffinata padronanza linguistica, frammenti di vita vissuta, in cui si muovono, come in un caleidoscopio, dei personaggi, molto ben raffigurati, ma sempre avvolti da una nota di grande malinconia.

L’avv. Giuseppe Barca, Marilù Properzio ed infine gli amati genitori e tutti gli zii, cessano di seguire l’autore nel lungo cammino della sua vita: scompaiono nel nulla, ma non cadono mai nell’oblio e rimangono, anzi, sempre vivi nella memoria, con tutte le loro aspettative, le loro ansie e le loro gioie. Sono appunto queste brevi parentesi di vita, magistralmente evocate con una forma pacata, che danno al lettore l’impressione di una narrazione “sognata”, in virtù anche delle giuste pause, imposte da una punteggiatura precisa e quasi maniacale; protagonista rimane sempre l’uomo che, mentre attende il compiersi del proprio destino, intravede, in fondo, il barlume lieve e incerto della speranza.

 

A me piace ricordare “ La visita ,“ che ho voluto leggere con maggiore attenzione, per gustarne appieno l’originalità e la bellezza.

 Mi ha subito colpito quella mesta immagine, mirabile nella sua peculiarità, degli sguardi dei trapassati che fissano il nulla, come spersi nel vuoto. In ciò l’acume dello scrittore coglie, in una felice sintesi, la differenza fra la vita e la morte e induce il lettore ad una profonda, quanto amara, riflessione sulla caducità della vita.

 E quanta dolorosa sofferenza, nascosta agli sguardi di occasionali passanti, quando si scorge la tomba di una persona amica, morta inaspettatamente. E quanta malinconia, quanta commozione nel tornare alla casa paterna, dopo tanto tempo, e rivedere quel tavolo, ormai preda della polvere, dove, per anni, si è consumata la fatica dei propri studi e ritrovare quelle stanze       "spoglie e mute…” .e quanta eleganza nello stile, quanta musicalità nelle parole, tanto che non possiamo fare a meno di pensare al “ paterno ostello”, alle “ sudate carte” e alle “ quiete stanze” di Leopardiana memoria.

 E il parlottare sottovoce dei genitori, che non vogliono disturbare il loro giovane virgulto, mentre studia per diventare, nella vita, professore di lettere e riscattarsi così da quella bassa cultura, tipica di quel mondo contadino : si pensi allo zio Amedeo, ritenuto “persona colta”, sol perchè possiede la modesta licenza della scuola media.

Significativi i due personaggi di zia Mariuzza, che non sa scrivere le lettere ai propri figli, sparsi per il mondo, e di zia Elena, che rispedisce a casa, il prima possibile, il nipotino, che ama giocare con le cugine, per non suscitare il quasi certo pettegolezzo della gente.

 Non si sofferma l’autore sulla penosa solitudine delle zie: vedova zia Mariuzza, vedova zia Elena, zitella zia Silvia. Sorvola su questo aspetto, forse per diminuire, nel racconto, il senso del dolore, che lo caratterizza; sembra mancare, infatti, nella narrazione, il lato gioioso della vita, il“carpe diem”, che rimane marginale, poiché il tutto ha inizio dalla visita del piccolo cimitero del paese natio, ove invece aleggia tremendo il senso della morte.

 Non è difficile catalogare questo racconto come una testimonianza storica dell’Italia del primo dopo guerra. Gli ingredienti ci sono tutti: un diffuso analfabetismo, che ha come conseguenza, non solo il non saper leggere e scrivere, ma anche tutte quelle forme di paura e di insicurezza, mescolate a superstizioni e credenze ataviche, che spingono proprio la zia Elena ad allontanare il nipote, per paura che questi, senza scomodare Freud, avrebbe potuto cedere alle proprie pulsioni sessuali, o anche per il danno che la sola promiscuità, anche temporanea, avrebbe potuto arrecare alle virtù fisiche e morali delle giovani cugine. Una emigrazione continua, direi emorragica, dal Brasile all’Australia, dal Canada all’Argentina, dalla Svizzera alla Germania. Infine,una povertà umiliante, che costringe le fasce più deboli ad una vera emarginazione sociale. Emblematica è la figura di Mario Pansa!

 Tutti questi ricordi, molto intimi, che toccano il profondo dell’anima, culminano nella parte più fantastica del racconto, che è, appunto, la storia di Mario Pansa, umile venditore di tutto ciò che la madre terra offre spontaneamente e gratuitamente. E’ il modo di arrangiarsi proprio della gente più povera, che deve sopravvivere, nonostante l’accanimento della sfortuna e le avversità della vita: costretto a sorridere sempre per nascondere, forse, la propria sofferenza o per superare la disperazione di una esistenza certamente infelice. E’ un tratto un po’surreale, ma sicuramente toccante, soprattutto nel momento in cui si prepara in anticipo la tomba, per non dare fastidio a nessuno e scomparire, così, in silenzio, quasi in punta di piedi,come se la sua vita non fosse mai stata utile ad alcuno.

 Possiamo, persino, cogliere l’arte dello scrittore nell’uso di una terminologia semplice, quanto efficace ed originale. Scoprendo, ad esempio, la coppietta, appartata dietro al cespuglio, per dare sfogo alla pasione, scrive “allacciati”, ove avrebbe potuto dire abbracciati o avvinghiati, che sono termini di uso più comune. Allacciati rende, invece, l’idea dei lacci, che, penetrando nelle asole, stringono con maggiore forza e quindi con maggiore foga passionale.

Non si sofferma, però, Scaramuzzino su questa scena; non l’arricchisce col sentire   l'ansimare frenetico dell’orgasmo, non dice di candide gambe nude o di verginei seni, per sottolineare la bellezza acerba di una adolescente in fiore, proprio per non suscitare nel lettore quella morbosa curiosità, che accompagna, quasi sempre, le scene di sesso ed anche per una forma di rispetto per quella ragazzina che, a torto o a ragione, è ritenuta la figlia dell’amico Pansa.

 Il finale della storia coincide col finale dell’umana esistenza, che volge al nulla eterno. Questo sembrerebbe il filo conduttore dei Racconti. L’autore immagina, in una visione onirica, di vedere i propri parenti, da tempo defunti, che vanno mesti per un sentiero silente, che a lui non è dato seguire, e si perdono nel nulla, svoltando l’angolo, in fondo al sentiero della vita. Però, in questa specie di sogno, li vede muoversi, come se fossero ancora vivi, e questo dà a Scaramuzzino, profondamente cristiano, la speranza che quella via possa condurre verso una forma di vita eterna e, quindi, per dirla col Poeta, verso “l’Amor che move il sole e l’altre stelle…”

Alfredo Giglio

 

 
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