Creato da giglio.alfredo il 31/03/2013
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LA QUERCIA E L'OMBRA

Post n°443 pubblicato il 25 Luglio 2020 da giglio.alfredo
Foto di giglio.alfredo

  LA QUERCIA  E  L’OMBRA

    Una favola per bambini

 

Un giorno, un contadino si recò nel bosco a raccogliere ghiande da portare ai suoi maialini. Uscito dal bosco con il sacco pieno sulle spalle, attraversò una radura tutta verde, ricca di lentischi e tamerici, quando dal sacco vecchio e malandato, cadde, senza che lui se ne accorgesse, una ghianda sul terreno.

Era il mese di agosto e faceva molto caldo, quando arrivò, inaspettato un acquazzone estivo, che sommerse nel fango la piccola ghianda. La poverina rimase interrata fino alla primavera successiva. Nel mese di giugno, come se fosse nato in quel momento, si vide un alberello tutto coperto di foglie verdi, che salutò, il Sole, con vera gioia.  L’Astro, in quel momento, era alto nel cielo ed ebbe subito l’impressione che l’alberello volesse crescere in fretta.

Infatti,in poco tempo, crebbe fino a superare in altezza tutti i vari cespugli di lentisco. Svettava ormai sopra ogni altra pianta cresciuta nelle vicinanze.Crebbe sempre più, fino a diventare una solida quercia da sughero, di una varietà molto rara. Era proprio della famiglia “Quercus Suber, varietà SCULCUS”,un genere, oserei dire, quasi unico.

Moltissimi anni sembrarono  passare in fretta e ormai, forte e vigorosa, ospitava nidi di tortore e di passeracei e offriva nutrimento ai cinghiali del vicino bosco, che gradivano le sue ghiande saporite e regalava la sua ombra ristoratrice ai contadini che lavoravano nei dintorni.Però, un giorno, senza che ne avesse colpa, suscitò, all’improvviso, l’ira del Folletto dagli occhi Bruni, che presiedeva ai temporali, cattivo, dispettoso e invidioso di tanto vigore. In quel tempo, la quercia aveva, da poco, superato i cinquant’anni.

Il Folletto, brutto e con gli occhi miopi e Bruni, carico di invidia mista ad una forma di odio, scatenò sulla terra, di pomeriggio, la sua ira tremenda,mandando tuoni e lampi che squarciarono, in modo sinistro, l’aria diventata pesante e tetra. Un lampo colpì, a tradimento, la Quercia ed incendiò tutte le piante vicine: le fiamme altissime avvolsero anche il possente albero, che sembrò ardere come un falò.

Dopo molte ore, arrivò la pioggia che spense quel rogo immane. Al mattino il Folletto, malvagio e dispettoso, si affacciò dal cielo, per godere della sua cattiveria, sicuro di vedere l’albero ridotto in cenere.

Le piante tutto intorno erano veramente ridotte in cenere, ma la Quercia era lì,in tutta la sua possanza: il sughero del suo grande tronco l’aveva protetta e salvata. Erano rimaste bruciacchiate sole le foglie. Il Folletto, dalla rabbia,ebbe un attacco di bile, e mutando gli occhi da Bruni in verdi, corse impazzito, perdendosi tra le nuvole, per sempre.

In breve le radici della grande quercia, che erano molto profonde nel terreno, la nutrirono e tornò quindi, più vigorosa che mai, coperta dal suo fogliame verde e rilucente, per continuare a dare ospitalità agli uccelli, nutrimento agli animali e frescura ai contadini, che sotto la canicola estiva, erano abituati a consumare il loro frugale pasto, al fresco della sua grande ombra.

Anche la FLORA circostante mise radici profonde, per essere più vigorosa che mai e tornò utile ai fiori, che crebbero più colorati e più profumati.

Meditate ragazzi e sappiate che l’odio e l’invidia non portano da nessuna parte; invece l’unione e la concordia costituiscono una forza invincibile.

Un giorno passò da quelle parti un viandante affaticato, che arrancava col suo pesante zaino, sotto un sole cocente. Vide la grande quercia e si sedette,stanco, al fresco della sua ombra, dove si addormentò serenamente. Quando si svegliò, riposato e ritemprato nelle forze, riprese il suo zaino e, prima di ritornare sui suoi passi, alzò gli occhi al Cielo e disse: “Signore, grazie per questo dono che hai fatto alla terra, e, rivolto alla possente Quercia e alla Flora circostante, grazie a voi, vegetazione di Dio, per esistere”. Quindi riprese tranquillo il suo cammino. A buon intenditor, poche parole!

 

                                                                              Alfredo                  Alfredo  Giglio

 

Riflettete amici miei, “Fabula docet”

 

 

 

 

 
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