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Post n°13 pubblicato il 01 Giugno 2007 da ericsan
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Post n°10 pubblicato il 31 Maggio 2007 da ericsan
Calò il buio… e con esso il freddo. Un freddo acre, graffiante, che dalla pelle scavava dolorosamente verso le ossa, e da lì alla volta del cervello. Non c’era vero gelo, ma piuttosto l’assoluta mancanza di calore. Il buio e il freddo. Come se qualcuno avesse risucchiato l’essenza stessa della vita dalla terra e dalle coscienze degli uomini, demolendone anche il ricordo, rendendola un concetto astratto ancora da implementare. La siepe era fitta, impossibile da attraversare. Fredda come la tenebra che aveva invaso il mondo, scura come il ghiaccio irreale che l’aveva avvolto. I rami di alloro, resi erti dall’età, si intrecciavano coriacemente, avviluppandosi a vicenda in un intrico compatto. Carponi, quasi prono in un rispettoso inchino di fronte all’invalicabile muraglia verde, ondeggiavo a destra e a sinistra alla ricerca di un varco che poteva, doveva esserci. Ogni siepe ha una qualche galleria scavata da cani, gatti o altri animali randagi. Ma quella siepe era massiccia, omogenea. Era densa. Era gelida. Era… alle mie spalle. Mi ritrovai nel cortile con la certezza di esserci sempre stato. Non avevo attraversato la siepe: semplicemente non era mai stata un ostacolo. Eppure mi ero spostato, questo era indiscutibile. Ma con quale velocità? Non ero neppure certo che si fosse trattato di un movimento vero e proprio. Dalle nebbie di un lontano passato emersero le parole che Richard Bach mise in bocca al Gabbiano Anziano Chang scrivendo “Jonathan Livingston”: “Velocità perfetta non significa mille miglia all’ora, né un milione di miglia, e neanche vuol dire volare alla velocità della luce. Perché qualsiasi numero, vedi, è un limite, mentre la perfezione non ha limiti. Velocità perfetta, figlio mio, vuol dire solo esserci, esser là”. Ed io ero là. Solo. (Tratto da "OLTRE - Il Libro dei Mondi" di Enrico Santori - Prossima Pubblicazione) |
Una volta aver ripreso fiato percorsi un altro breve tratto in salita, mettendo a dura prova i piedi su un selciato irregolare. Il vicolo era stretto e si insinuava tra vetusti caseggiati, alcuni dei quali restaurati o in via di restauro. Dopo aver respirato per un centinaio di metri un’ombra che odorava di antico, e aver costeggiato portoni di vecchia foggia, arrivai in una splendida piazzetta.
Gli edifici, tutti rigorosamente con mattoni a vista, mantenevano intatta l’atmosfera dei secoli addietro, con un’alternanza di stili piuttosto evidente. Al centro della piazza un mosaico circolare dettava i ritmi della prospettiva. Locali e turisti si affaccendavano intorno agli usci al piano terra, grosse ante di legno vecchio, entrate di folkloristiche botteghe artigiane. La goliardia dei vecchi tavolini all’aperto di un’osteria, con le nostalgiche tovaglie a scacchi rossi, sfidava l’austera severità della chiesa neoclassica (credo) che si ergeva di fronte. Il vino profano a cospetto di quello sacro. E se è vero che in vino veritas, allora forse ero nel posto giusto per dipanare la complicata
Mentre mi trastullavo con i ricami della piazzetta lo sguardo fu calamitato dall’incredibile scorcio che dirompeva da un loggiato alla mia destra. Il mare pareva sul punto di traboccare dal parapetto costruito, oltre le strette arcate, all’altezza del cielo. Ne fui attratto irresistibilmente. Le gambe si mossero in modo automatico, obbedienti al canto di invisibili sirene. Il loggiato era una sorta di galleria ricavata nel primo dei tre piani di un edificio a mattoni dalle linee indubbiamente aristocratiche, risalente a un paio di secoli addietro, sormontata da una nicchia contenente la statua del Papa Sisto V e sulla destra di una torre campanaria, con tanto di immancabile, enorme, orologio rotondo con immancabili, enormi lancette e ore in maestosi numeri romani. Passai sotto uno degli archi e mi sentii come un antico marinaio nel
Camminai tra le poche, graziose, colonne di mattoni che si tenevano per mano nell’intrico delle basse volte, sopra vetri rinforzati posati sul pavimento come oblò sugli antichi ruderi sottostanti. Pur essendomi avvicinato gradualmente al parapetto, la maestosità del paesaggio mi ghermì all’improvviso, prendendomi con violenza. Il mare calmo, sonnacchioso, colorato dalle correnti e dalle differenti profondità in zone ben separate di brillanti tonalità di blu, delineava un’ansa da nord a sud fino a un porto di cui si scorgevano i bracci, come sfacciate lingue di terra che violavano l’omogeneità dell’acqua. A dire il vero lo sguardo arrivava ben oltre, ma a quella distanza la foschia impediva di individuare nitidamente le sagome della costa. Sempre a sud, incorniciate dal mare e dalle mura del caseggiato, spiccavano le vette dell’Appennino abruzzese. Mare e montagne affiancati: che strano e affascinante abbinamento! Lungo tutta la costa si snodava una sequenza ininterrotta di insediamenti urbani come un unico, compatto e continuo paese. Cercai di immaginare la scena notturna, con la galassia di luci che avrebbero inondato il panorama ininterrottamente da nord a sud. Sarei tornato dopo cena, niente al mondo mi avrebbe fatto perdere una simile scena. (Tratto da "OLTRE - Il Libro dei Mondi" di Enrico Santori - Prossima Pubblicazione) |
Post n°8 pubblicato il 28 Maggio 2007 da ericsan
Stesi timidamente le braccia, rivolgendo il palmo delle mani verso l’alto come per ricevere un chissà quanto solenne e prezioso dono, e il vecchio mi porse il libro, delicatamente, ma con decisione. Sembrava smanioso di cedermelo, come per liberarsi di un pesantissimo fardello. I miei occhi non furono che per il libro, apparentemente autentico e… preziosissimo. La mia insana passione per i volumi antichi, l’egoistico desiderio di possederli, toccarli, accarezzarli come la pelle liscia di una bella donna, seguendone bramosamente le curve, mi isolarono dal mondo esterno. Le mani si muovevano lungo gli angoli, saggiavano il metallo, freddo come una notte d’inverno. “Libro dei Mondi” era inciso in alto sulla copertina, marchiato a fuoco con caratteri strani, sinuosi, simili a serpenti. Fissandoli a lungo parevano addirittura muoversi, strisciando gli uni sugli altri, scivolando sul foglio. (Tratto da "OLTRE - Il Libro dei Mondi" di Enrico Santori - Prossima Pubblicazione) |
Post n°7 pubblicato il 25 Maggio 2007 da ericsan
Volevo raggiungerlo, tirarlo dentro, ma vidi il mondo cambiare e capii che stavo tornando indietro. Ero infinitamente triste, e mentre le lacrime scivolavano lente sulle mie guance provai vergogna e chiesi scusa. Mi scusai con il gigante perché forse anch’io, incontrandolo, avrei potuto girare la faccia, a causa del suo aspetto. E se non con lui, forse lo avrei miseramente fatto con qualcun altro. Siamo stronzi noi uomini. Stronzi e vigliacchi. Anche chi, come me, si è sempre sinceramente professato vicino a chi si sente solo, ha sacche interne di paura del diverso. Vincerle dovrebbe essere una missione prioritaria, invece è considerata un’attività secondaria, non essenziale. Siamo stronzi noi uomini. Stronzi e vigliacchi. (Tratto da "OLTRE - Il Libro dei Mondi" di Enrico Santori - Prossima Pubblicazione) (Image Courtesy of Kathe Kollwitz) |
Inviato da: ericsan
il 21/07/2011 alle 10:10
Inviato da: ericsan
il 15/07/2011 alle 10:05
Inviato da: ericsan
il 15/07/2011 alle 09:15
Inviato da: massucci.mario
il 14/07/2011 alle 19:03
Inviato da: poetica_mente
il 23/12/2008 alle 21:48