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Il gioco e le sue crisi

Post n°58 pubblicato il 17 Febbraio 2006 da kodomonoomocha
 

L'altra sera.
una parola sbagliata di lui.
Un senso di incomprensione.
Un senso di assurdo e ridicolo.
Che sale.
E sale e sale e sale.
E riempie riempie riempie.
La testa scoppia, lo stomaco di chiude, la pancia formicola.
Piango senza disperazione.
Batto i denti senza freddo.
Dondolo senza musica.
Tengo le tempie ma il pensiero è vuoto, offuscato.
Ho paura che la gente mi guardi.
Ho paura delle emozioni che si affollano.
Ho paura che questa volta non finisca.
Ho paura di non riuscire a calmarmi.
Ho paura di impazzire.
Di impazzire rimanendo lucida.

Continuo a piangere.
Continuo ad assilarmi.
Com'è ridicolo quel pianto.
Che ridicola che sono.
Che fallita.
Che stupida.
La disperazione mi riempie.
E non c'è motivo.
Una disperazione senza senso.
Una disperazione senza scopo.
Una disperazione senza motivo.
Una malattia?

Non vedo via d'uscita.
Mi sento al limite.
Un limite invalicabile.
Claustrofobico e ingestibile.
Insormontabile e impossibile.
Inaffrontabile.

E poi, d'improvviso, tutto si ferma.
E si calma.
E la nebbia scende.
Si scoglie.
La disperazione si scioglie.
E cresce un pensiero.
Un pensiero unico e fisso.
Un pensiero lucido e razionale.
E l'azione.
La partenza in macchina.
Durante il viaggio: "Proviamo a vivere insieme? Dai vediamo come va"
Ascolto ma non sento.
Il pensiero è unico e fisso e lucido e razionale.
Fisso nel viaggio.

Destinazione pace.
2 grammi e mezzo di pace.
E tutto si calma, si ferma.

La crisi è finita.
Era affrontabile, sormontabile, gestibile.
Possibile.
Finibile.

Sono spossata.
Ma ancora non dormo.
Inizio a lavorare.
Fino al giorno dopo.
Fino alle due del pomeriggio.
Fino a quando mi addormento.
E dormo, dormo, dormo.
Fino al mattino dopo.
Il mattino dopo.
Quando ricomincia la vita normale.
E ritorno normale.
Normale.
La gente ora può guardarmi.
E la disperazione ora ha senso.
Un piccolo e stupido senso.
Ma sempre un senso.
Un senso normale.

Commenti al Post:
stexx67
stexx67 il 17/02/06 alle 21:59 via WEB
"La fine di un gioco" Ovvero quando il fine del gioco determina la sua fine. Club 2001, la casa di P.,la sua taverna, la sua ospitalità,i suoi amici, il caminetto acceso, qualche canna, e le carte: il suo gioco. Mi divertivo e non vedevo l'ora che arrivasse il lunedì per trovare questi nuovi amici. E si passava il tempo così: giocando. Poi arrivarono i piatti caldi, sempre più frequenti, accompagnati dagli umori di chi li portava a casa di P., fra la sua ospitalità, coinvolgendo gli amici, fra le carte:il suo gioco. Ognuno aveva i suoi motivi, giusti o sbagliati che fossero, chi la noia dentro, chi la moglie a casa,chi il lavoro,chi la morosa che non và, chi i ricordi, chi per il solo piacere di farlo...ma fatto stà che nessuno aveva più voglia di giocare. Non sono mai stato un gran giocatore, ma a me piaceva giocare. Il club di P. stava diventando un ritrovo di giocatori assenti, una liberazione dalle frustrazioni quotidiane:il fine del gioco. Stavo assorbendo troppo, cambiai compagnia.
 
stexx67
stexx67 il 18/02/06 alle 20:15 via WEB
"La madre sintetica" La storia di S.e E. Lui la seduzione in persona,l'intelligenza e la contraddizzione. Un ragazzo come si direbbe in gergo "geneticamente predisposto". Chi lo conosceva si chiedeva come fosse possibile che una simile energia avesse bisogno di rinnovarsi da fonti chimicamente testate;la sola intelligenza intesa come fonte naturale di energia vitale,non avrebbe dovuto dipendere da fattori sintetici. Evidentemente l'intelligenza così, da sola, non era un motivo sufficiente per rinunciare alla ricerca della protezione e della comprensione che solo una madre sintetica può dare. S.era una persona molto seduttiva, con tutti, riusciva a trarre il massimo vantaggio per se stesso in qualsiasi situazione. Dimostrava di possedere un'ottimo istinto di sopravvivenza nonchè una notevole volontà di perseguire i propri obiettivi. Sapeva muoversi fra la gente, aveva un'innata eleganza che lo rendeva una persona molto affascinante e sicura di sè.Amava i Rolling Stones.Era intelligente.Aveva energia.Poteva ritenersi fortunato. Nulla ha potuto chi lo conosceva,ne quello che era rimasto della sua buona famiglia bene, ne gli amici, ne E., la sua sempre presente compagna, il suo bastone. E.era la sua ombra, come un'albero sotto il sole,viveva per lui, non vedeva altro che lui, si muoveva per lui, lo seguiva ovunque andasse ma non riuscì mai ad averlo completamente suo: la madre sintetica lo conosceva meglio, lì la sua forza, lì la sua energia, lì il fattore genetico. Ma lo seguì, con pazienza, aiutandolo a passare da un'esistenza smisurata,ad una vita "intelligentemente dosata", ad una consapevole e misurata autodistruzione, ad un lento ma inesorabile annullamento di se stesso. Lei impotente spettatrice di questa triste tragedia si risvegliò un giorno fra le braccia di un'altro.
 
stexx67
stexx67 il 22/02/06 alle 03:00 via WEB
Il parco giochi. La chiamavo dal parco giochi vicino alla sua casa imitando il richiampo della civetta. Così con uno stridulo verso echeggiava nel silenzio della notte. E lei veniva. Entrava nel parco chiuso al pubblico scavalcando un piccolo cancello. Dentro solo noi. Una panchina sotto un grande pino dal quale lanciavo i miei richiami. Un grande pino sul quale facemmo l'amore, sospesi, con la pelle sulla corteccia resinosa dei rami. Come due animali notturni. vicino solo una ruota metallica per bambini,una gabbia, un'altalena, un saliscendi e un ricordo di lei: il ricordo di F.che morì di overdose proprio sotto quel grande pino.
 
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