Sonoviva
Un blog di denuncia, osservazione e critica possibilmente costruttiva
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Post n°100 pubblicato il 29 Gennaio 2009 da Superfragilistic
Erano due bambine forse di poco meno di 10 anni e vivevano in un palazzo di una grande città chiamata Roma, non in periferia ma in una zona abitata da una classe media impiegatizia ed anche da persone un po' più che medio borghesi. Ogni giorno passavano ore a giocare con quei giochi che in una città così grande non si possono fare per la strada e così il pavimento delle loro abitazioni, di granigliato e con una finitura geometrica a quadroni, nei lunghi pomeriggi invernali, diventava campo ideale per divertirsi a 'campana' o le loro stanzette scenografia perfetta per storie sempre nuove, fatte di sentimenti grandi e schietti, come era proprio della loro età. Gli anni erano quelli a cavallo tra il '50 ed il '60 ed allora nelle città si stava tranquilli, non c'erano stranieri a turbare il quieto scorrere delle giornate. Quello era un giiorno speciale perché per la prima volta era stato concesso loro di uscire da sole: Natale era alle porte e le vetrine come le strade erano tutte scintillanti ed invitavano i passanti a fermarsi per cogliere il dono migliore per ognuno dei loro cari. Le manine strette si tenevano rassicuranti e forti mentre attraversavano quelle grandi grandi strade piene di macchine e di gente. Erano felici. Tutto sarebbe andato bene e questa sarebbe stata la prima di tante volte in cui avrebbero potuto uscire da sole, senza la tata o la mamma ad accompagnarle. Così si era fatta sera e loro si stavano apprestando a ritornare a casa dove avrebbero gettato fuori, in una cascata di parole, tutte le loro impressioni, avrebbero raccontato cosa avevano visto camminando gioiosamente qua e là. Poi una voce, un leggero richiamo, proprio lì a due passi da casa: forse un Babbo Natale vestito da passante. Le bimbe si girarono curiose di raccogliere l'invito rivolto proprio a loro e subito si resero conto che qualcosa di strano stava avvenendo, qualcosa di strano sì, un che di incomprensibile e di sporco, un che di maledettamente schifoso mostrato loro per esibizionismo, come sarebbe potuto accadere in una di quelle favole che oggi le mamme nemmeno raccontano più per non turbare i loro bambini. Le bimbe si misero a correre piangendo: non sapevano perché, non sapevano cosa fosse realmente accaduto e perché, in quella folla di gente, nessuno si fosse accorto di nulla. Nel raccontare alle loro mamme piangevano: non era questo che iavevano mmaginato solo pochi minuti prima ma ora eccole lì: turbate, spaurite, nello snocciolare l'accaduto. I genitori le guardavano e si guardavano e rassicurando le bimbe dicevano loro di non preoccuparsi, che avevano immaginato ogni cosa, che nulla era accaduto...ma dagli sguardi che si scambiavano fra loro le bambine potevano capire che non era proprio così e che, seppure non ne capissero il senso, qualcosa di terribile era accaduto che aveva distrutto per sempre una parte della loro stupenda innocenza. Passarono gli anni e la stessa bambina crebbe e divenne una piccola adolescente, come ce n'erano in quegli anni durante i quali non c'erano in Tv spettacoli osceni, ed il parlare ed il muoversi di una ragazza doveva essere educato e moderato per non dare adito a cattive azioni. Erano gli anni in cui portare i pantaloni per una donna era uno scandalo e portare i pantaloncini d'estate un'oscenità. Quella bambina ormai adolescenrte frequentava le scuole medie ed un giorno ricevette una cosa preziosa: una moneta d'argento con l'effige del Presidente J.K.Kennedy. Era la sua: gliela aveva mandata sua zia dall'America ed era un tesoro da conservare e da mostrare. Così lo mostrò alle sue compagne davanti a scuola ma qualcuno, amico di una di queste, gliela rubò. Da quel giorno per la bambina cominciò un percorso fatto di ricatti, di richieste e di oscenità, sostenuto da chi sapeva e non faceva nulla. Quella bimba, ormai adolecente, andò di nuovo da sua madre piangendo per trovare in lei un'alleata ma questa le disse che se qualcuno si era rivolto a lei in quel modo forse lei aveva dato adito a ciò. A quella bambina cadde il mondo addosso e cominciò a credere fortemente ogni giorno di più che fosse lei la colpevole e gli altri innocenti. Non erano stranieri quei ragazzi, ma venivano dalla porta accanto, esempi di bullismo e di povertà morale, ma pur sempre nostrani. E così accadde tante e tante volte, nel corso della sua vita, di trovarsi oggetto di assurde situazioni violente, spesso assecondate ed ammirate dall'atteggiamento di chi guardava ed approvava perché per tanto tempo, ed anche oggi, essere violento o osceno con una donna è segno di forza per il maschio e madri o sorelle o altre donne della famiglia spesso favoriscono il perpetrarsi di tali situazioni di normale quotidianità. Oggi che quella bambina è già avanti con l'età, le capita ancora di passare le notti seguendo un incubo ricorrente, camminare al buio senza poter controllare i pericoli che, lei lo sa, la circondano. Sa che altre bambine ed altre donne potranno avere avuto lo stesso percorso e non capisce come possano, quegli stessi uomini, esprimere giudizi nel merito ora che il dolore è pubblico, esibito e strumentalizzato; ora che si usa contro altri esseri deboli per confermare dottrine razziste, invece di chiedersi dove siano le radici del male e della violenza che non è solo quella eclatante che si consuma e fa notizia, ma è soprattutto quella che quotidianamente la donna subisce anche sotto il proprio tetto, e della quale ancora si sente spesso causa più che vittima. |
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