L'angolo di Jane
Tutto su Jane Austen e sui libri che mi piacciono!
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L'ANGOLO DI JANE
Benvenuti nel mio blog!
Questo spazio è dedicato a recensioni di libri e film, ai miei racconti, a riflessioni personali di varia natura e soprattutto a Jane Austen, una delle mie scrittrici preferite.
Sono una stella del firmamento
che osserva il mondo, disprezza il mondo
e si consuma nella propria luce.
Sono il mare che di notte si infuria,
il mare che si lamenta, pesante di vittime
che ad antichi peccati, nuovi ne accumula.
Sono bandito dal vostro mondo
cresciuto nell'orgoglio e dall'orgoglio tradito,
sono il re senza terra.
Sono la passione muta
in casa senza camino, in guerra senza spada
e ammalato sono della propria forza.
(Hermann Hesse)
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I SEGNALIBRI DE "L'ANGOLO DI JANE"
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Post n°901 pubblicato il 29 Ottobre 2012 da bluewillow
Titolo: Il conte di Montecristo Titolo originale: Le comte de Montecristo Autore: Alexandre Dumas Traduzione: Giovanni Ferrero Casa editrice: Fabbri pag: 961 La fiamma dell'odio suscitato dall'ingiustizia contro gli innocenti ha il potere di resistere anche ai venti più contrari. La vendetta è un veleno che agisce lentamente, ma che consuma chi la subisce tanto quanto chi la compie, eppure pochi mortali sono in grado di resistere alla inebriante senso di potere che può dare il ripagare i torti subiti. Vittima e protagonista principale di una efferata ingiustizia, che lo porterà ad un carcere durissimo per quattordici anni, è l'inizialmente giovane e fiducioso marinaio Edmond Dantès. Per rendere ancor più forte il senso di sdegno dei lettori, Dumas decide di aprire il libro con il miraggio di una felicità imminente per il suo protagonista, che appena diciannovenne, sta per ottenere dall'armatore Morrel il comando della nave Pharaon e per sposare l'amata fidanzata Mercédès. Ma Edmond, figlio devoto di un padre vedovo, povero e malato, non ha fatti i conti con la malevolenza altrui e con la propria ingenuità: qualcuno gli invidia l'amore, qualcun altro un posto ottenuto in età così giovane, solo per meriti personali. Siamo nel 1815 e Napoleone, rinchiuso all'isola d'Elba, è ancora una minaccia da non sottovalutare, come si vedrà anche in seguito. Un trattamento spietato è riservato a tutti coloro anche solo sospettati di collaborare per riportare in Francia l'imperatore decaduto. Purtroppo, inizio di una sfortuna che non lo abbandonerà per molti anni, Dantès si è recato, durante l'ultimo viaggio con la Pharon, di cui aveva preso il comando per la morte improvvisa del capitano, proprio sull'isola d'Elba, e ha accettato, adempiendo alle ultime volontà del capitano morente, di consegnare un plico ad un maresciallo bonapartista, ricevendone in cambio una lettera da consegnare ad un certo indirizzo parigino. Così, animato dal senso del dovere, che gli impone di rispettare la volontà di un morto, per una ingenuità pienamente scusabile alla sua giovane età, Dantes finisce per essere coinvolto, suo malgrado e a sua insaputa, in qualcosa di molto più grande di lui. Lo scrivano della Pharaon, Danglars, decide di approfittare del vivo sentimento di gelosia del catalano Fernando Mondego, cugino di Mercédès, da sempre innamorato non corrisposto di quest'ultima, che farebbe di tutto per impedire l'imminente matrimonio, per far pagare ad Edmond Dantes, colpevole ai suoi occhi di avergli scippato il comando della nave, l' ingenuità che lo ha portato all'isola d'Elba. In realtà neanche Danglars sa fino in fondo in cosa sia coinvolto Edmond, ma da belva pronta a sferrare l'attacco al primo segno di debolezza, decide di sparare il suo colpo alla cieca, ottenendo un insperato, travolgente, terribile successo. Manovrando abilmente il risentimento altrui, Danglars fa in modo che Fernando scriva alla polizia una lettera in cui accusa Dantes di collaborare con i bonapartisti. Perfino davanti alle più grandi evidenze di colpevolezza, Edmond sarebbe solo uno sventurato corriere di scarsa importanza, ma per una serie di circostanze, a giudicare il suo caso è il magistrato Villefort che scopre, unico al mondo a leggere la lettera, che il destinatario del plico bonapartista è suo padre Noirtier. Sarà in realtà Villefort, il rappresentate della giustizia, a rendere veramente disperata la situazione di Edmond Dantés: per nascondere al mondo la vergogna di un padre coinvolto in un complotto contro il re, che potrebbe rovinargli la carriera, decide di seppellire Dantes, senza alcun processo, in un carcere sperduto, il castello d'If, situato su isola, per di più condannandolo all'isolamento. Inizia quindi il periodo di “formazione” di Emdond Dantès: il carcere in cui è precipitato, senza aver cognizione alcuna del perché, senza nemmeno aver capito chi lo abbia accusato (Dantès infatti crede ancora che Villefort abbia intenzione di aiutarlo), farà di lui un uomo nuovo, togliendogli tutta l'innocenza e lasciando al suo posto un desiderio spropositato di vendetta. Edmond è divorato non solo dalla propria tragedia personale, ma anche dal dolore che gli causa l'aver abbandonato un padre vecchio e malato, certamente destinato alla morte in sua assenza, e la sua amata Meredes. Ad aiutare Dantès ad uscire dal suo guscio, sarà l'incontro fortuito con un altro carcerato, che cercando di scavare un tunnel che lo liberi, finirà invece nella cella di Edmond: l'abate Faria, un anziano monaco, coltissimo, creduto pazzo perché vanta di conoscere dove sia nascosto un grande tesoro, che offre da anni ai carcerieri in cambio della libertà. Faria, uomo da sempre dedito al ragionamento deduttivo, analizzerà il racconto delle disavventure di Dantés e gli illustrerà con arguzia chi siano i colpevoli della sua reclusione, come un detective che indaghi su un caso misterioso. Ovviamente, il tesoro di Faria esiste sul serio e ora Edmond Dantès, potrà attuare la sua vendetta: ricco come Creso, istruito in maniera raffinata, pieno di un odio inestinguibile. Sotto molti falsi nomi, il più importante dei quali è proprio quello che dà il titolo al romanzo, Dantès elaborerà un piano complicatissimo, che lo vedrà spostarsi in tutta Europa, diventando, con mille travestimenti, pirata, finanziere, ufficiale inglese, abate come il suo maestro, benefattore e distruttore, e la cui portata potrà essere compresa solo negli ultimi capitoli del romanzo. Danglars, Mondego e Villefort, nei lunghi quattordici anni di prigionia di Dantés, non hanno pagato un giorno il male fatto, mentre il padre di Edomond è morto, fra mille stenti, di fame. Mondego ha anzi sposato la bella Mercedes, ignara delle macchinazioni del marito ai danni del suo ex-fidanzato. I tre carnefici di Edmon hanno fatto carriera, sono ricchi, stimati, benvoluti. Ma la vendetta non è un sentimento che si possa provare, e tanto meno attuare, senza conseguenze imprevedibili. Come colpire i malvagi, lasciando intatti gli innocenti, ad esempio i figli dei suoi carnefici, tra cui uno figlio proprio della donna che ha amato? Inizialmente infervorato dall'idea di essere lo strumento di una divina giustizia, il conte di Montecristo finirà per spingere troppo in là la sua forza distruttiva, trasformando la sua stessa vendetta in una forma di iniquità. Solo quando il conte avrà raggiunto l'eccesso, causando la morte di un innocente, troverà la forza di essere clemente, per quanto causandone comunque la rovina, con uno dei suoi aguzzini. Compiuto quindi, fin quasi all'estremo, il suo arzigogolato piano, potrà abbandonare il proposito meditato in lunghi anni di carcere e decidere di intraprendere una nuova vita. Il conte di Montecristo parla di vendetta, ma parla anche di come possa essere percepita come naturale ed inevitabile, in certe circostanze, perfino la crudeltà più estrema. Ne è un esempio eclatante Villefort: da rappresentate della legalità, è lui il più grande colpevole delle sventure di Dantès, perché con il suo intervento ne ha decretato la totale distruzione delle speranze, compiendo un danno non solo contro un innocente accusato di un crimine, ma contro qualcosa di più grande: la giustizia e la fiducia che in essa ogni cittadino dovrebbe poter avere. E' infatti Villefort che non muore, ma diviene pazzo, il più colpito (a mio modesto parere), dalla vendetta di Montecristo, l'unico contro cui Dantés sia più crudele di quanto aveva previsto. Ma è anche in altri modi che Dumas illustra quanto possa essere semplice e presa sottogamba la crudeltà. Mentre, sotto uno dei suoi molti travestimenti, Dantès è in Italia, Dumas ci racconta, con linguaggio crudissimo, di come venga torturato in piazza un brigante. La folla non ne è né scandalizzata, né intimorita, ma ne è anzi felice, l'esecuzione è quasi una festa popolare. Gli alberghi offrono ai villeggianti informazioni precise sugli orari delle esecuzioni, quasi fossero un'attrazione turistica e mentre una turba di persone assiste rapita, i commercianti fanno buoni affari. L'uomo, sembra dirci Dumas, è fondamentalmente crudele, tutte le volte in cui non prova solidarietà alcuna con le altrui sventure: tutti possono diventare Danglars, Mondego o Villefort, è una tendenza quasi naturale. La civiltà invece è una conquista. Per quanto abbia trovato bello questo libro, per quanto ami Dumas, che è uno dei mie scrittori preferiti, penso, e forse qualcuno si sorprenderà, che questo non sia in realtà il migliore dei suoi romanzi. Il motivo è semplice: Dantés è un personaggio terribilmente sfuggente. Invece è proprio il protagonista Dantés a non esistere come qualcosa di definito: pochissime pagine ci fanno intuire la sua iniziale ingenuità, molte altre ci descrivono la sua vendetta, attuata attraverso mille travestimenti, eppure forse, proprio a causa di tutti i panni che è costretto ad indossare, di Edmond non sappiamo proprio niente. E' un figlio devoto, un tenero fidanzato, un uomo pieno di odio bruciante: è insomma un insieme di sentimenti stereotipati. La figura del conte di Montecristo è bellissima e terribile, ma lui, in fondo, non è Edmond, ma solo uno dei suoi travestimenti. Non conosceremo mai l'uomo sotto la maschera, la sua umanità ci sfugge: è troppo impegnato ad agire da strumento della divina giustizia. Questo è un grandissimo romanzo, che non può fare a meno di tenere il lettore incollato alle pagine, ammirando la complessità e la portata del piano del conte, però onestamente mi ha lasciato con il rimpianto di conoscere Dantès un po' meglio, di vederlo senza i panni dell'eroe mascherato.
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