Creato da bluewillow il 31/03/2006

L'angolo di Jane

Tutto su Jane Austen e sui libri che mi piacciono!

L'ANGOLO DI JANE

Benvenuti nel mio blog!

Questo spazio è dedicato a recensioni di libri e film, ai miei racconti,  a riflessioni personali di varia natura e soprattutto a Jane Austen, una delle mie scrittrici preferite.

Sono una stella del firmamento
che osserva il mondo, disprezza il mondo
e si consuma nella propria luce.
Sono il mare che di notte si infuria,
il mare che si lamenta, pesante di vittime
che ad antichi peccati, nuovi ne accumula.
Sono bandito dal vostro mondo
cresciuto nell'orgoglio e dall'orgoglio tradito,
sono il re senza terra.
Sono la passione muta
in casa senza camino, in guerra senza spada
e ammalato sono della propria forza.

(Hermann Hesse)

 


 

 

JANE AUSTEN -RITRATTO

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SLIME BOX

Slime adottati dal blog grafico amico Stravaganza

(clicca sul nome degli slime per leggerne la descrizione)

 

Pink Slime


 

Ink Slime

 


 

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La morte di Ivān Il’ėč - Lev Tolstoj

Post n°1095 pubblicato il 08 Luglio 2013 da bluewillow
 

Titolo: La morte di Ivàn Il’ìč  Titolo originale: мерть Ивана Ильича [Smert' Ivana Il'iča] Autore: Lev Tolstoj Traduzione: Giovanni Buttafava Casa editrice: Garzanti pag: 87

Vivere la vita giusta, conquistarsi la serenità, se non proprio la felicità, sembra un obiettivo comune agli uomini di tutte le epoche e in tutti i tempi questa ricerca dell'ideale si articola attraverso ricette più o meno popolari e diffuse che comprendono la famiglia, il lavoro, una vita sociale sufficientemente ramificata. Tutti questi elementi hanno una radicale importanza nella vita di ogni uomo, ma quando alla sostanza dei rapporti personali si sostituisce la mera apparenza il risultato non è la tanto sospirata felicità, ma prima l'inquietudine e poi un desolato senso di vuoto che emerge con tutta la sua forza proprio quando, alla fine dell'esistenza, si è costretti la tirare le somme e a capire che ciò che resta vale ben poco,  come accade a Ivan Il'ič Golovin che capisce all'improvviso il proprio errore nel aver vissuto in una perenne menzogna, simulazione di una felicità irraggiungibile, invece di accettare la verità su se stesso, i suoi limiti, il suo inevitabile dolore:

All’improvviso una forza sconosciuta lo colpì nel petto, nel fianco, gli soffocò il respiro con accresciuta energia; ed egli precipitò nella buca. Laggiù, in fondo alla buca, s’illuminò, qualcosa. Gli era successo quello che capitava a chi viaggia nel vagone di un treno, pensa di andare avanti, e invece viaggia indietro, e all’improvviso riconosce la vera direzione del viaggio.

Questo lungo racconto di Tolstoj, pubblicato nel 1886, si apre nel momento successivo alla morte del protagonista di Ivàn Il’ìč, visto attraverso gli occhi di un conoscente che osserva il distacco con cui il trapasso del defunto è vissuto da tutti coloro che lo avevano conosciuto, ad eccezione del giovane figlio. La camera ardente di  Ivàn Il’ìč, con la sua simulazione di un dolore non provato da chi la attraversa, individui che ne devono mostrare i segni esteriori, mentre interiormente pensano solo ai propri interessi e ad allontanarsi dalla presenza della morte, è il simbolo di una vita vissuta allo stesso modo nella menzogna e nell'illusione.
Inizia quindi il racconto della vita di Ivàn Il’ìč Golovin, morto a quarantacinque anni dopo aver ottenuto la carica di magistrato, un uomo che ha seguito tutte le regole richieste dalla convenzioni e per questo convinto quasi fino alla fine di aver vissuto una vita giusta: un matrimonio conveniente, anche se non d'amore, un lavoro eseguito con perizia, anche se non con passione, il perseguimento di uno status sociale che consenta un certo grado di benessere, una casa arredata esattamente come tutti coloro che appartengono alla sua stessa classe sociale.
Quando però Ivàn Il’ìč  prima si ammala e poi capisce di essere prossimo alla fine, la menzogna di tutta la sua esistenza, la sua presunta felicità, si infrange davanti all'evidente desiderio di tutti coloro che lo circondano di continuare a fingere che tutto vada bene, che la morte non esista, che si possa fino all'ultimo ignorare il dolore come polvere da nascondere sotto il tappeto.
Fino all'ultimo istante Ivàn Il’ìč rifiuterà, come tutta la sua famiglia e perfino i dottori, di accettare ciò che gli sta accadendo, mentre la verità pian piano comincia a trapelare goccia a goccia nella sua mente, in modo particolare quando si rende conto che solo in presenza di persone, come il servitore Gerasim, che accettano la verità della sua morte incipiente come naturale, si fa strada finalmente il sospirato senso di pacificazione.
Nell'estremo momento della fine, Ivàn Il’ìč riuscirà a capire l'errore di base della sua vita, vedrà la differenza tra menzogna e verità, fra apparenza e realtà, e in questo troverà a suo modo la pace.
“La morte di Ivàn Il’ìč “ è un racconto intenso, crudo nello smascherare tutte le finzioni di cui ogni uomo circonda al propria esistenza, per arrivare infine al suo nucleo reale: gli autentici rapporti umani, improntati alla verità, quando si raggiunge la capacità di separarsi dalla superficie di se stessi per arrivare a vedere il proprio lato nascosto, sepolto da profondi strati di autoinganno, pur con tutti i suoi limiti e i suoi difetti. Sebbene questo sia il racconto della fine di una esistenza, Tolstoj lascia ai suoi lettori una piccola tenue luce di speranza per chiunque giunga a capire, già in vita, la verità finale di Ivàn Il’ìč.

 

Se questo libro vi ha interessato potrebbe interessarvi anche:
Everyman di Philip Roth (versione moderna e nichilista  di  “La morte di Ivàn Il’ìč”)

 
 
 

La fattoria delle magre consolazioni - Stella Gibbons

Titolo: La fattoria delle magre consolazioni Titolo originale: Cold Comfor Farm Autrice: Stella Gibbons Traduzione: Bruna Mora Casa editrice: Astoria pag: 287

la fattoria delle magre consolazioniSe amate lo humour inglese nello stile delle commedie di Wilde come “L'importanza di chiamarsi Ernesto”, Stella Gibbons e il suo “La fattoria delle magre consolazioni” (“Cold Comfort Farm”) sono semplicemente un must-read, un autentico spasso, una rara gioia libresca: non per nulla il libro, pubblicato per la prima volta nel 1932, è ormai considerato un classico ed io personalmente lo annovero già  tra le migliori letture dell'anno (e forse del decennio).
Flora Poste è un'orfana diciannovenne, dotata di un “sublime buonsenso” e una adorazione per Jane Austen (più volte citata in questo libro) al cui amore per l'equilibrio caratteriale e personale si ispira dichiaratamente in chiave ironica la protagonista di Stella Gibbons, una ragazza decisa a farsi mantenere dai parenti, ma che ha pronta un'ottima scusa per farlo:

“In effetti, quando avrò cinquantatré anni o giù di lì mi piacerebbe scrivere un romanzo all'altezza di Persuasione, con un'ambientazione moderna ovviamente. Quindi, per i prossimi trent'anni raccoglierò materiale per il romanzo. Se qualcuno mi chiederà a cosa sto lavorando, risponderò raccolgo materiale. Nessuno avrà nulla da obiettare. E del resto lo farò davvero”

e che di se stessa dice:

“Se vuoi saperlo” proseguì Flora, “penso di avere molto in comune con Miss Austen. Amava vedere che tutto intorno a lei era in ordine, piacevole e comodo, e anch'io. Vedi Mary” e qui Flora divenne più seria e agitò un dito, “se le cose intorno a noi non sono in ordine, piacevoli e comode, non si può neanche pensare di godersi la vita. Non sopporto la confusione.”

La determinata Flora Poste metterà alla prova la propria abilità nel portare ordine nello scompiglio abbandonando la brillante Londra e andando a stabilirsi nel Sussex con i cugini Desoladder, in una fattoria dal nome sinistro, “La fattoria delle magre consolazioni”, in cui tutti credono di essere maledetti e destinati a condividere per sempre la stessa grama vita fatta di privazioni e dove ognuno parla di se stesso come se fosse in un romanzo gotico, perché in passato zia Ada Funesta, la matrona della famiglia, che tiene tutti in pugno, “ha visto qualcosa nella legnaia” che l'ha resa folle.
Ma Flora Poste è semplicemente dotata di troppo buonsenso per lasciarsi intimorire: poco alla volta tutti i membri della famiglia verranno indotti a guardare con più ottimismo all'esistenza realizzando i propri sogni, grazie alle abili strategie di Flora che ribalterà in men che non si dica tutti i punti di vista consolidati dei suoi cugini, per schiudere loro nuove felici prospettive.
Una legione di Desoladder verrà salvata da Flora, che potrà sfruttare a proprio vantaggio il fatto che tutti credono di essere in debito nei suoi confronti a causa di un torto fatto a suo padre Robert, una faccenda misteriosa tanto quanto ciò che zia Ada Funesta ha visto nella legnaia.
Una lunghissima carrellata di personaggi assai buffi attraversa il romanzo: l'affascinante donnaiolo dal fascino animalesco Seth, la selvaggia ninfa dei boschi Elfine (che Flora trasformerà in una giovane lady), il novantenne Adam che adora le sue mucche, l'aspirante scrittore e goffo seduttore Mr. Cymice (che sostiene la ridicola tesi che Branwell Brontë abbia scritto “Cime Tempestose” al posto della sorella Emily), il predicatore invasato Amos, il sospettoso Rueben (che crede Flora voglia scippargli la fattoria) e molti altri, tutti ricondotti da Miss Poste ad una più serena considerazione dell'esistenza, non senza strappare nel frattempo più di una risata, mentre Stella Gibbons si prende gioco di molti cliché della letteratura drammatica.
Piccola curiosità: il volume fu scritto nel 1932, ma è ambientato nel futuro rispetto al periodo della sua stampa, almeno dopo il 1946, perciò ci sono alcuni elementi che potrebbero sembrare strani, relativamente al periodo a cui si fa riferimento perché l'autrice riteneva che ci sarebbero stati alcuni importanti progressi tecnologici. Ad esempio Stella Gibbons immaginava che dopo gli anni '40 sarebbero stati comuni i videotelefoni e ne fa usare uno ad un personaggio, sebbene la cosa possa suonare prematura, vista la data di pubblicazione. Inoltre si fa riferimento ad una guerra anglo-nicaraguense mai avvenuta, la posta aerea viene consegnata da un aereo in volo direttamente sulla casa del destinatario e in generale si fa un uso disinvolto di aerei, come se fossero automobili.
Nonostante questi piccoli trascurabili dettagli (che passano davvero sottogamba), l'atmosfera è però tutta anni '30: frizzante e allegra e piena del corroborante ottimismo di Flora, convinta che con il giusto taglio di capelli, un abito elegante e le tende ben lavate si possa ribaltare l'esistenza di qualunque pessimista, compresi i cugini Desoladder.
Il libro è un corroborante per l'umore non solo per i personaggi, ma anche per i lettori: se volete una lettura leggera, ma con intelligenza, vi consiglio caldamente “La fattoria delle magre consolazioni”.
Dal libro è stato tratto anche un film nel 1995 dal titolo “Cold Comfort Farm”, che vidi tanto tempo fa in televisione, ma che ricordo ancora perché piuttosto divertente.

Nota: la traduttrice, per rendere il senso del cognome di alcuni personaggi, improntato al loro innato pessimismo, ha tradotto molti cognomi, ad esempio nella versione originale i Desoladder si chiamano in realtà Starkadder, Mr. Cymice è Mr. Mybug, la signora Blatte si chiama nella versione originale Beetle, e zia Ada Funesta è Ada Doom e così via.

 
 
 

Confessions - Kanae Minato

Post n°1093 pubblicato il 03 Luglio 2013 da bluewillow
 

Titolo: Confessions Titolo originale: Kokuhaku Autrice: Kanae Minato Traduzione: Gianluca Coci Casa editrice: Giano pag: 270

Confessions Kanae MinatoLa professoressa di scienze di una classe di una scuola media giapponese, Moriguchi Yuko, annuncia ai suoi alunni che lascerà l'insegnamento a causa della tragica morte della figlia Manami, di soli quattro anni, rinvenuta affogata nella piscina dell'istituto scolastico, appena un mese prima, in seguito a quello che tutti credono un tragico incidente. Dopo una lunga premessa, in cui emergono molti dettagli ignoti della sua vita privata, la donna rivela che in realtà è conoscenza del fatto che la morte di Manami non è stata affatto accidentale e che due dei suoi studenti, chiamati A e B, ma in cui tutti riconoscono subito due ragazzi della classe, ne sono responsabili. Consapevole del fatto che due tredicenni non verrebbero mai perseguiti dalla legge, la professoressa Moriguchi ha rinunciato a denunciarli, ma non a vendicarsi. E' accaduto qualcosa, solo qualche istante prima, proprio in classe, che cambierà per sempre la vita di A e B, qualcosa che li porterà forse alla morte o forse no, ma che in primo luogo dovrebbe indurli a pentirsi.
Quella della professoressa Moriguchi è solo la prima della “confessioni” di questo libro che esplora uno degli incubi metropolitani che incutono più timore e suscitano più inquietudine, ma prendono corpo purtroppo sempre più di frequente: una adolescenza senza valori morali, senza niente che sia sacro, dove anche la morte di un altro essere umano può essere vista come un gioco o come un obiettivo per raggiungere altri fini, una visione della vita che atterrisce adulti che si sentono impotenti di fronte alla totale inscalfibilità dei colpevoli e alle limitate risorse della legge. Sensi di colpa? Pentimento? Dolore? Sembrano assenti dal quadro del delitto, sostituiti dal desiderio maniacale o disperato di ottenere attenzione: dai genitori, dai compagni di classe, dagli insegnanti, un modo per non essere invisibili.
La professoressa Moriguchi, però, non si rivelerà migliore di coloro che vuole punire: in questo libro non ci sono innocenti, un odio divorante brucia tutto e tutti e finirà per attaccare anche coloro che in definitiva non erano legati al delitto originario, come gli altri studenti della classe, in un crescendo di azioni violente.
Vari personaggi apporteranno sempre nuovi dettagli alla storia della morte della piccola Manami, attraverso lettere, diari e perfino un brano tratto da un blog, rivelando anche porzioni importanti della vita dei due colpevoli, la cui fragilità morale (se non proprio la totale anaffettività) ha origini precise.
Kanae Minato crea personalità credibili per i suoi personaggi, raccontando in dettaglio il loro mondo di illusioni e paure, che passo dopo passo li spinge verso azioni che alla fine non sembrano avere alcuna logica.
La tensione è alta lungo tutto il racconto, tanto che si fa presto a dimenticare l'indispensabile premessa perché tutto possa svolgersi secondo una sequenza precisa ed inevitabile: che la classe mantenga il segreto su quanto rivelato dalla professoressa, in modo che la tensione consumi chi deve mantenerlo. Difficile? Probabilmente, considerando la natura umana e l'esplosività della notizia, semplicemente impossibile, eppure per qualche ragione si viene trascinati dal flusso della narrazione, accettando la logica interna del racconto e l'insieme di giustificazioni dato dai personaggi alle proprie azioni.
Seguiamo le varie confessioni attraverso deliri di onnipotenza, sensi di inferiorità, paure su se stessi e sulla natura del proprio ruolo nella società e nella famiglia, mentre ad ogni istante sembra che un genio maligno abbia portato i fatti a svolgersi proprio nel modo più tragico.
“Confessions” è narrato tutto in prima persona attraverso varie voci, in uno stile che cerca di riprodurre lo stile naturale della lingua parlata, fatto anche di digressioni e cenni a fatti che sembrano buttati in maniera casuale, ma si rivelano poi fondamentali perché altri personaggi compiano determinate azioni.
Kanae Minato costruisce un thriller ad alta tensione che tiene sulla corda dalla prima all'ultima pagina: anche se spesso i personaggi raccontano gli stessi fatti da punti di vista differenti, la cosa non risulta mai noiosa perché da una differente prospettive le stesse azioni assumono una natura completamente diversa, creando spesso vere e proprie sorprese.
Forse un pizzico di filosofia in più non avrebbe guastato, ma questo libro non è una fiaba con una morale (anche se proprio volessimo trovarla potrebbe essere che farsi giustizia da soli significa far pagare colpe a degli innocenti): è un thriller di quelli fatti per inchiodare al libro a suon di colpi di scena e fa il suo sporco lavoro in maniera piuttosto efficace, ma pur tessendo una credibile trama psicologica per i personaggi non si propone di scavare a fondo in un fenomeno sociale, quanto di allestirvi attorno una storia sufficientemente trascinante.
Dal volume è stato tratto un film nel 2010, diretto da Tetsuya Nakashima, che ha finito per essere candidato agli Oscar nel 2011 nella categoria miglior film straniero.
Il volume è stato pubblicato da Giano in passato con il titolo “Confessioni” ed un'altra copertina, mentre di recente è stato ripubblicato con una immagine che è anche la locandina del film e con il titolo della pellicola.

 
 
 

Questo suono č una leggenda - Esi Edugyan

Post n°1092 pubblicato il 01 Luglio 2013 da bluewillow
 

Titolo: Questo suono è una leggenda Titolo originale: Half Blood Blues Autrice: Esi Edugyan Traduzione: Massimo Ortelio Casa editrice: Neri Pozza pag: 313

questo suono è una leggendaGli Hot-Time Swingers sono una band jazz degli anni '30 e a rendere speciale il loro ritmo c'è un artista straordinario: Hieronymous Falk, praticamente la migliore tromba dopo il grande Louis Amstrong. Tutto sarebbe quasi nella norma, se non fosse che questa immaginaria e straordinaria band musicale ha pianta stabile in Germania e non negli USA e che il nostro Hiero, nonostante il sound è tedesco, o meglio un mischiling, un mezzosangue, nato da madre della Renania e da padre africano, un soldato di passaggio mai conosciuto dal ragazzo.

L'Europa, prima della guerra, ci racconta la canadese Esi Edugyan, in questo romanzo storico che scorre veloce proprio come il ritmo di un buon pezzo jazz, era un un gran posto per gli artisti di colore, perfino per coloro che venivano proprio dagli Stati Uniti: in patria avevano a malapena il diritto di esercitare la propria professione, con limitati diritti civili, ma in Europa invece avevano la piena libertà di lavorare, per questo anche il grande Louis Amstrong suonò per un periodo in Francia.
Sul frizzante mondo fra le due guerre, però, quella breve parentesi di pace che ha prodotto musica e letteratura d'eccezione, incombeva lo spettro “dell'imbianchino” (come è chiamato in questo libro), Adolf Hilter, che espanse a macchia d'olio, nel giro di pochi anni, i confini della Germania e le nefaste conseguenze dell'ideologia nazista. Fra le vittime del nazismo oltre agli ebrei ci furono anche persone di colore, alcune nate e vissute sempre in Germania.
Gli Hot-Time Swingers non sono mai esistiti, così come il giovane Hiero, “il piccolo Louis” (in omaggio a Louis Amstrong) di questa storia, o come il loro mitico disco “Half Blood Blues” per il quale i componenti di questa band finiranno per correre fin troppo rischi, ma la loro storia di artisti in fuga dal nazismo, dalle persecuzione razziali transcontinentali, da un mondo fatto di odio potrebbe purtroppo vera, così come il fatto che il jazz venne definito proprio dai nazisti una musica diabolica, ribelle, da estinguere: per nostra fortuna a sopravvivere è stato il jazz.
Voce narrante è Sid Griffiths, artista di colore originario di Baltimora, contrabbasso e artista consapevole di essere meno dotato degli altri componenti della band: fuggito dagli States insieme all'inseparabile Chip, amico fraterno e grande batterista, Sid in questa storia, narrata sul doppio piano temporale di un presente post-bellico negli anni '90 e di una gioventù vissuta pericolosamente alla fine degli anni '30, dovrà affrontare i dolorosi fantasmi del passato e un senso di colpa che si trascina nel suo cuore.
Quella fra Sid e Hiero è allo stesso tempo un sodalizio ed una rivalità, sia in campo musicale che amoroso, ma solo troppo tardi Sid si accorgerà che un grande talento riesce a tirare fuori il meglio da chiunque ne venga a contatto a ed è per questo che è così prezioso, perciò un grande genio cambia il corso delle cose, per questo lo stesso Sid senza Hiero varrà ben poco.
Esi Edugyan rende vivi i rapporti fra i suoi personaggi, creando personalità definite e convincenti che emergono dai dialoghi frizzanti, spesso improntati al perenne scherzo fra Sid e il vecchio amico Chip. Il romanzo è il racconto, rivissuto attraverso due epoche temporali, di un breve lasso di tempo, quello immediatamente precedente e successivo alla invasione tedesca della Francia, e della perenne fuga dei personaggi dal pericolo di essere catturati e deportati. Il senso di pericolo, il desiderio di rivalsa attraverso la musica (viene progettato ad esempio uno sberleffo ad un inno nazista), vengono resi ottimamente.
Forse solo il finale, dopo le varie corse attraverso l'Europa e fra presente e passato, avrebbe potuto essere un po' più articolato: Esi Edugyan sceglie una specie di “director's cut”, un taglio scena un po' brusco che lascia al lettore il compito di immaginare cosa avverrà fra i personaggi, a me però sarebbe piaciuto leggere qualcosa di più, anche perché sarebbe stata la prima opportunità per il molto citato Hieronymous Falk di dire qualcosa, visto che, pur fulcro di tutte le attenzioni, la sua è una figura quasi silenziosa, che Esi Edugyan ci racconta solo attraverso la sua musica.
Creare una band immaginaria e una musica “fantasma” non è facile, ma la scrittura di Esi Edugyan è evocativa a sufficienza da farci sentire il ritmo di un blues mai esistito, ma che avrebbe meritato davvero un disco.
“Questo suono è una leggenda” è romanzo storico molto originale che getta una luce interessante su un piccolo pezzo di storia europea e musicale probabilmente ignorato dai più, bella scrittura il cui “sound” mi rimarrà in testa certamente per un bel po'.

 

 
 
 

Una donna senza fortuna - Richard Brautigan

Post n°1091 pubblicato il 28 Giugno 2013 da bluewillow
 

Titolo: Una donna senza fortuna. Viaggiando all'indietro con due camicie soltanto. Titolo originale: An Unfortunate Woman Autore: Richard Brautigan Traduzione: Enrico Monti Casa editrice: ISBN pag: 132

“Probabilmente le cose più vicine alla perfezione sono quegli enormi buchi completamente vuoti che gli astronomi hanno scoperto di recente nello spazio. Se davvero dentro non c'è niente, com'è possibile che qualcosa vada storto?”

una donna senza fortuna - brautiganScritto nel 1982, se vogliamo prestar fede alle date riportate in questa specie di semi-diario, o come la definisce Brautigan una “cartina -calendario del mio viaggio attraverso la vita”, proprio a partire dalla data di compleanno dell'autore, il 30 Gennaio, “Una donna senza fortuna” è l'ultimo libro di Richard Brautigan, prima che l'autore si suicidasse nel 1984.
Il libro fu (a mio parere inspiegabilmente) rifiutato dall'editore dello scrittore e rimase impubblicato per molto tempo dopo la morte, fino a quando nel 1994 l'amico critico Marc Chénetier ne curò la traduzione in francese e lo fece stampare con il titolo “Diario di un ritorno da Troia”, come scrive Enrico Monti, traduttore e curatore del volume, nell'introduzione. Solo a partire dal 2000 il volume è approdato negli Stati Uniti, patria di Richard Brautigan, e in Gran Bretagna, nonché in Italia.
A questo punto vi chiederete perché tanto travaglio nella pubblicazione di un libro di un autore in fondo noto e amato e credo di aver trovato la mia risposta in questo: precorreva i tempi, ancora una decina di anni e gente come David Foster Wallace avrebbe usato la stessa tecnica narrativa ( con una base reale tratta dalla biografia che dà poi luogo a lunghi excursus in cui si espongono le più varie teorie, aneddoti e astrazioni) con successo di critica e di pubblico, senza far storcere il naso agli editori.
Credo che, come anche in American Dust, che ha moltissimo in comune con questo libro, Richard Brautigan abbia capito in tempo che l'epoca della beat-generation, che gli aveva regalato il successo, era ormai passata per sempre e che abbia provato disperatamente ad adattare la sua tecnica di scrittura a nuove sfide, passando ad una narrazione più intimista e personale che attingeva ad ampie mani dalla sua biografia: il suo problema è stato non essere capito, se non troppo tardi, forse perché a carte troppo scoperte ha mostrato di aver giocato con gli eventi reali per piegarli alle necessità narrative o per il piacere di raccontare qualcosa di divertente.

“Una donna senza fortuna” non è un vero e proprio romanzo, ma una specie di diario di viaggio, in cui l'autore ha annotato, dal Gennaio al Luglio del 1982, una serie di pensieri e riflessioni sulla sua vita, mentre si muoveva da una zona all'altra del contenente americano, perché sempre secondo le sue parole, “uno degli scopi disperati di questo libro è cercare di tenere insieme passato e presente in simultanea”. Come in altri libri di Brautigan, il reale e il fittizio si confondono, così come il passato ed il presente: la figura dell'amica morta per infarto a soli 38 anni, a cui è dedicato il libro, Nikki Arai,  si mescola con quella di una donna morta per suicidio dopo la malattia per cancro che, come un fantasma, appare a volte nei pensieri dello scrittore, memento del pensiero ricorrente  di una fine della vita forse desiderata, più che temuta o di cui si intuisce l'approssimarsi.
Nonostante il titolo e nonostante quelle che potrebbero sembrare fin troppo tristi premesse, questo libro è in realtà tutt'altro che deprimente, è anzi dotato di una rara levità nel descrivere il senso di estraneità alla modernità dell'autore: Brautigan è un maestro nell'inserire scene davvero molto buffe nella sua narrazione, come quando descrive i tentativi di scattare una foto-ricordo di Honolulu mentre stringe al suo fianco una gallina, di cui dice “Oddio come era seria quella gallina”, o come quando allestisce una specie di processo a sé stesso in stile “Alice nel paese delle meraviglie” perché si autoaccusa di non aver scritto per troppi giorni.
Tuttavia in mezzo alle scene comiche emergono, più luminose di altre, quelle in cui lo scrittore descrive sé stesso come qualcuno che non comprende più la società che lo circonda, fatta di persone che riempiono carrelli della spesa di migliaia di articoli, usano la macchina come se non avessero più le gambe o passano il tempo a contemplare gli incendi divampati nella città come se fossero spettacoli di varietà. “Ci sono sempre i pratici in mezzo a noi. Stabiliscono le priorità e non si aspettano altro” dice l'autore, come volesse rimarcare che non c'è più spirito, ma al suo posto solo obiettivi materiali, concreti, senza spazio per l'amata fantasia (che nel suo caso si fa iperbole) o per autentici rapporti umani.
A pesare sul cuore dello scrittore è anche il difficile rapporto con la figlia ventunenne, appena sposata e di cui non approva il matrimonio, ma con la quale per motivi insondabili non riesce a riallacciare i fili di un rapporto troppo teso.
Richard Brautigan ha davvero messo tutto sé stesso in questo libro (con in più un mucchio di cose inventate, ma verosimili come al solito, ovviamente), compreso il suo desiderio di una convivenza più facile con se stesso:
“Invece di avere soltanto qualche chilometro e talvolta soltanto pochi centimetri tra un problema e l'altro, perché non incrementare la distanza? Sarebbe bello una volta tanto avere 47 chilometri tra un problema e l'altro e magari in 47 chilometri un po' di pace potrebbe spuntare come una giunchiglia in mezzo ai miei problemi.”
Nel complesso il volume assomiglia tantissimo ad un blog, di cui si leggano i post dall'inizio cronologico alla fine, perché in fondo anche un blog è molto simile ad un diario, suddiviso negli “scompartimenti” dei vari post, che possono e non possono essere legati tra loro, ma in qualche modo raccontano la storia di chi lo ha scritto. 
L'autore giura di aver dato all'editore il libro senza rileggerlo: non gli credo minimamente, ma credo sul serio che, pur rileggendo e correggendo qualcosina, non abbia riscritto nulla, perché chi scrive un diario o un blog non riscriverebbe mai totalmente il passato, sarebbe come cancellarlo.
“Una donna senza fortuna” è un libro poetico e malinconico che sa alternare il comico al tragico in un equilibro forse un po' precario, perché non sempre tutti i fili della narrazione si riallacciano, come ammette alla fine lo stesso autore, ma che dalla prima all'ultima riga non smette mai di essere affascinante e in cui con poche pennellate, magari solo due righe, Brautigan sa far apparire dal nulla paesaggi, sentimenti, personaggi, descritti in maniera viva ed emozionante. Se “American Dust” era un viaggio nel passato e nell'infanzia, “Una donna senza fortuna” è invece il racconto del Brautigan adulto, un uomo che non ha smesso mai di sentirsi un po' strambo, fino a quando forse il mondo non è diventato più strambo di lui.

Di Richard Brautigan ho recensito anche:

American Dust

 
 
 

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-nessuno mi regala i biglietti del cinema
-nessuno mi paga per scrivere e per dire quello che penso...
- e nemmeno quello che non penso!
- perchè se il "Giornale del Grande Fratello" èuna testata giornalistica, va a finire che io sarei la CNN! (questa l'ho quasi copiata da un altro blogger!).
Se volete leggere altre definizioni simili e più divertenti (magari vi torna comodo) potete trovarle QUI

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L'ingratitude (L'ingratitudine) - Charlotte Brontë 

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