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Post N° 59

Post n°59 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo quinto

 

Quando fu il momento di partire Alberto disse a Michele di sedersi nella nostra auto e lui si posizionò dietro, tra Chicco e il sempre più schiacciato Carlo.

Mancavano due-tre ore di viaggio. Ripartimmo.

Carlo stappò due birre e una me la passò. Ci presentammo al nuovo compagno di viaggio.

Michele viveva in città da noi ormai da un anno. Proveniva da Trento, ma lo si capiva subito. Sia dall’aspetto, biondo-occhi azzurri-alto-pizzetto biondo, sia dalla parlata, un accento che sicuramente non lo scambiavi con uno del sud Italia.

Chicco iniziò a farsi raccontare dal nuovo amico cosa faceva e tutto quanto della sua vita passata, interessatissimo, ed a ogni racconto di risposta narrava una sua mirabolante e mezza inventata avventura.

Le birre ci resero brilli e il viaggio scivolò sotto le ruote della macchina con una velocità che non percepimmo. Ci rendemmo conto di dove fossimo arrivati quando uscimmo dalla superstrada. Altri quaranta minuti persi per le colline, bellissime in questo periodo, e saremmo giunti a destinazione.

Fuori c’erano colori vivacissimi, Filippo rallentò l’andatura per gustarsi il paesaggio che saliva, la vista che si allargava e sbottò.

-         Carlo fai a Michele il discorso riguardo la fortuna.

-         Che discorso riguardo la fortuna?- Domandò Carlo.

-         Oddio. Tu hai un compito. Tu sei il portatore. Tu, qui, ora, puoi creare qualcosa di magico.- Si intromise Chicco.

-         Ah, quel discorso sulla fortuna. Lascia parlare me, deficiente- e con fare accademico iniziò a spiegare: -Praticamente, ascoltami bene, tu hai una cosa? La tieni per condividerla con tutti? E con tutti intendo tutti.- Disse indicando con un gesto della testa la macchina di Alberto che ci seguiva. -Giusto? Ma sappi che tu ora stai ammazzando qualcuno.

-         Chi?

-         La fortuna.

-         La fortuna di cosa?

-         La fortuna di averti qui.

-         Ma vuoi girare una canna d’erba?

-        

-         Furbo il ragazzo. Dio ….

Carlo iniziò i lavori, come sempre mise una dose massiccia e nessuno proprio se la sentì di rimproverarlo. La marijuana dall’odore sembrava veramente valida era verde fosforescente con un sacco di pistilli di colore arancione e cristalli bianchi. La classica indor.

Quando si accese il cannone abbassammo completamente i finestrini. Leggermente allucinati, guardavamo fuori come i bambini e Filippo disegnava le traiettorie in modo dolce e regolare. La colonna sonora erano i Buena Vista Social Club e il momento creato sembrava veramente magico. Invece era vero. Colline a perdita d’occhio, sole che illumina, luce limpida, tante birre in corpo, amici desiderosi di divertirsi e un paese disabitato che in lontananza si avvicinava.

 

Finalmente arrivammo. Il paesino era come l’avevamo lasciato l’ultima volta e cioè semplicemente vuoto. Arrivò anche l’auto di Alberto, che smontò, ci guardò in faccia e si mise a ridere. Tirai fuori il sacchetto dell’immondizia pieno di bottiglie finite e rise più forte.

-         Che sfiga finire in macchine diverse. Al ritorno si mescolano le carte.

Alla parola “sfiga” istintivamente mi venne da guardare Carlo. Il suo ragionamento non era stato il massimo dell’etica, ma risultava molto reale.

Aprimmo la casa. Filippo la mostrò a tutti stanza per stanza, erano quattro: un bagno, un soggiorno-cucina, una camera da letto con tre letti, due matrimoniali e uno singolo, e una scala che portava ad un soppalco con cinque brande che ricoprivano tutto lo spazio e creavano un altro mega letto.

Svuotai la valigia e andai in cucina con un narghilé, i tabacchi aromatizzati, una pipa in bambù alta poco più di un metro e lo stereo che in genere portavo sempre io, ne possedevo uno da battaglia e gli ero affezionato. Appena lo attaccai alla corrente misi un cd dei Chemical Brothers, uno vecchio, per accendere l’ambiente.

Arrivò Filippo con il cibo, come tutti del resto, e con due mazzi di carte da scopa, uno da poker, scacchi, Monopoli, il Risiko, un pacco di cd e una noce di cocco tagliata a metà che serviva da mistiera.

Carlo aveva un gioco in scatola che si chiamava “Non ti arrabbiare”, un altro pacco di cd, uno speedmix per sgranare la Marijuana e un cillum in terracotta.

Alberto arrivò con il fumo in una mano e un pacco di accendini nell’altra.

-         Così finite di inchiappetarmeli. Furfantelli.

Chicco, già in pantofole e tuta, arrivò tenendo sotto braccio una bottiglia di Jegermaester e in mano due bottiglie, da tre litri l’una, di spumante che sembrava essere di marca.

-         Sono andato a fare un lavoro in un ristorante e avevo a due metri il magazzino. Questi sono i ricordi dell’ultimo giorno di lavoro. Li tenevo per un’occasione speciale.- Disse dando un sonoro bacio alle bottiglie.

Le donne arrivarono senza nulla di interessante, a parte le provviste, che iniziarono a sistemare diligentemente nelle mensole. In realtà le avevamo dispensate noi dall’organizzazione. Bastavamo noi maschietti.

Poi giunse il turno di Michele e fu il suo momento di gloria. Appoggiò sopra il tavolo in successione: mezza stecca di sigarette, uno speedmix, un sacchetto con l’erba dentro, una videocamera digitale, un pc portatile e due pacchi di cd, uno di album musicali e uno di film rigorosamente scaricati.

Le ragazze presero la telecamere e iniziarono a giocarci divertite. Noi maschi, invece, ci dividemmo in chi si mise a guardare il computer e chi invece iniziò a scorrere i titoli dei cd scambiandosi commenti.

Ormai erano le cinque del pomeriggio ed un film prima di mangiare ci poteva stare. Lo proposi e ci trovammo tutti d’accordo. Invece per decidere il titolo da guardare fu una vera battaglia, tra i “già visto” “fa schifo” “è bello, ma ce ne sono di meglio” alla fine si cercò di capire se si voleva vedere un film da ridere oppure no. Si optò per le risate e alla fine la spuntò Animal House.

C’era chi come me aveva già avuto l’occasione di guardarlo, ma capolavori del genere vanno visti e rivisti volentieri.

Durante la visione non riuscimmo a resistere alla tentazione dell’erba e delle birre. Eravamo di nuovo brilli, ma felici e quando il film finì uscimmo fuori a prendere una boccata d’aria buona, ed era quasi buio.

Dopo un breve consulto decidemmo di mangiare. Senza sforzi, con naturalezza, ci dividemmo tra cuochi e camerieri che cercavano di apparecchiare la tavola, dove al massimo si stava in sei, per nove. Tutti eravamo indaffarati in piccole cose, con movimenti lenti, tranquilli. Mangiammo e la stanchezza causata dal viaggio e dalle birre iniziò ad assalirci.

Carlo, visto il momento di appannamento di noi tutti, si alzò, mise la moka da dodici sul fuoco, prese il “Non ti arrabbiare” e una bottiglia di grappa. La aprì e ne bevve un sorso. Appena furono riabilitate le corde vocali dichiarò finita la cena con un sonoro rutto. Caffé, Montenegro e Carlo iniziò a preparare il gioco.

Dovevano esserci sei squadre. Ogni squadra possedeva quattro pedine che dovevano fare un immenso giro. Si muovevano a seconda del numero che risultava dal dado tirato e lo scopo era farle tornare alla partenza, ma c’erano delle complicanze. I tuoi avversari se cadevano con la pedina sopra la tua, nella stessa casella, te l’ammazzavano e dovevi farla ripartire dall’inizio. In più c’erano delle nostre regole speciali: ogni volta che morivi o portavi una pedina a casa dovevi bere e in più si beveva se ci si incazzava e non era una cosa da sottovalutare.

Le squadre si formarono senza sforzo, Alberto e Filippo con le rispettive fidanzate, io con la Valeria e tutti gli altri da soli.

Alla fine della bottiglia, il primo classificato nel gioco fu Alberto con la sua ragazza, mentre per quanto riguardava la quantità d’alcol Chicco, Carlo e Michele avevano dovuto bere uno sproposito, anche perché facevano finta di litigare per poter essere puniti, ma reggevano bene.

Erano le dieci e mezza, andammo di nuovo fuori a respirare e alcuni di noi sparirono.

La Valeria, molto provata dal viaggio, sopportava poco l’auto, andò a letto, Alberto e la sua bella non si fecero più vedere e neanche Filippo e l’Elisa.

 
 
 

Post N° 58

Post n°58 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo sesto

 

Rimasti in quattro, non ci passò neanche per l’anticamera del cervello di buttarci a letto. Si propose di giocare a scopone scientifico. Prendemmo le carte e ci sedemmo al tavolo. Io in squadra con Chicco e Carlo con Michele. Ci circondammo con tutto ciò che sarebbe servito per una buona partita: bottiglia di vino, bicchieri, il necessario per fumare…

-         Sapete? L’altro giorno in piazza c’erano due magrebi che si tiravano dietro pezzi di porfido. Vedessi che scena. Poi sono arrivati gli sbirri quattro manganellate a testa e via in macchina.- Disse Carlo.

… e un argomento su cui sfogare la nostra fantasia.

-         Si tanto domani sono in piazza di nuovo. Dio….

-         Pensa ai soldi sprecati: la pattuglia da pagare, il giudice, l’avvocato, carte su carte, per poi liberarlo dopo due ore.- Mi sentii di dire.

-         Siamo l’Italia. Pensa al fatto dell’indulto. Sono strumenti che si usano dopo le rivoluzioni o le guerre, noi lo usiamo ogni tanto perché le carceri sono affollate. Se lo racconti ad un marziano non ci crede. Ti domanderà subito: “Ma allora perché li mettete in carcere? Non fate prima e risparmiate se evitate di arrestarli.” E tu cosa rispondi?- Domandò Carlo.

-         A me più che gli extracomunitari  mi danno fastidio gli italiani che rubano. Quei tizi che fanno gli sboroni e poi li inculano col cellulare come dei fessacchiotti. Rubano i miliardi. Cioè miliardi. No bagigi?- Disse Chicco.

-         Bagigi?- Domandò il montanaro Michele.

-         Arachidi, lo diceva sempre il mio prof di fisica quando dimenticavi le unità di misura: “Cosa sono quei dieci lì: metri? Celsius? Litri? Bagigi?” Mi piegavo dal ridere.

-         Poi questi manager che sembrano mafiosi russi. Pacchianissimi. Con le loro macchinone, l’occhiale enormemente firmato e lo sguardo che ti dice: “Tu non sai chi sono io. Io ho soldi, schifoso” e allora mi tocca rispondergli con uno sguardo tipo: “Finchè non te lo scrivi in fronte non saprò mai di chi cazzo è questa testa di cazzo. Che i soldi te li sarai fatti vendendo i tuoi neuroni.”

-         Tutto con uno sguardo? Sei bravo però.

-         Diciamo che è impegnativa. Comunque d’istinto mi verrebbe da pensare che sarebbe giusto che più soldi hai più la pena dovrebbe essere alta. Se hanno soldi, hanno più responsabilità verso la società. Come nei lavori, più è alta la tua responsabilità più soldi ti danno.

-         Chicco, se fai così, in base al reddito, ti ritrovi che nessuno prende più una lira.- Obbiettai.

-         Euro.

-         Euro, euro. Che precisini che siamo.

-         No dovresti fare...come si chiama…insomma, dividere: reati penali, reati…quelli delle multe in motorino?

-         Si chiamano amministrativi, Carlo. Firmavi verbali amministrativi.

-         Giusto, e finanziari. Per questi usi il reddito.

-         A parte che mi sembri un professore. Stra fatto. E mi fa ridere e poi penso funzioni già così. Spero.- Dissi non troppo sicuro non avendo mai fatto diritto.

-         Non credo.- Replicò Carlo percependo la mia  indecisione.

-         Ma se falsificare un bilancio rischi meno di vendere del fumo. Dio ….

-         Ah si?

-         Ultimamente.

-         Allora non ho capito un cazzo dalla vita.

A carte vincevamo io e Chicco, ci conoscevamo da tempo e ci capivamo. Lo scopone scientifico è un gioco di mente. Michele per cercare di indebolirci iniziò a girare una mega canna d’erba.

-         Sempre per il discorso che siamo portatori di fortuna.- Disse.

-         Sani però. Dio ….

Michele si era integrato bene e noi ci comportavamo come se fosse nostro amico da sempre. Anche se avrei pagato oro per sapere cosa pensasse di Chicco. Il nostro piccolo reazionario.

-         Che poi più ci penso e più mi domando cosa se ne fanno dei miliardi, quando ti bastano cento milioni per vivere bene.- Disse Chicco.

-         Ma non dovrebbero rubare.- Esclamò il nostro amico teutonico.

-         Si bravo. Non ci dovrebbero essere neanche la guerra e tantissime altre menate.

-         Dovresti leggere “Il conte di Montecristo.”- Dissi.

-         Perché cosa c’è scritto?

-         C’è un bellissimo discorso che fa’ alla servitù. Praticamente ad un certo punto chiama il suo cameriere e gli dice che il periodo di prova era finito e che gli era piaciuto come aveva lavorato anche perché crestava il giusto dalle spese. Il cameriere si difende e dice che non è vero che cresta le spese. Bé, lui gli dice che è inutile mentire, e comunque a lui va bene, gli ruba il giusto. Se rubasse di più lo avrebbe licenziato.

-         E cosa significa?- Domandò Carlo incuriosito.

-         Che è inutile sperare in cose assurde, tanto lo sappiamo che non le raggiungiamo. Più tosto diamoci obbiettivi più raggiungibili. E’ inutile sperare che la gente non rubi, molto meglio che capisca che c’è rubare e rubare.

-         Esatto. Quello che volevo dire io. Posso capire rubare per vivere, ma questi uccidono bambini in Cina per avere quattro ville quando ne hanno già tre. Poi vanno in tv a piagnucolare che c’è la crisi e tutte le stronzate del mondo. Stanno esagerando.- Mi disse Chicco.

-         Oppure chi ruba sull’ambiente. Anche i mafiosi. Se fossi napoletano mi incazzerei con lo Stato, ma andrei anche sotto casa di qualche cammorista a dirgli che finché è cocaina può anche andare, ma con la mia salute non si scherza. Cazzo.

Al trentuno arrivammo prima noi e la partita si concluse. Carlo voleva la rivincita e io cambiai cd.

Tolsi i White Stripes e misi dentro Jamiroquai. Era stata fatta una pausa per poter andare in bagno a fare pipì, ma i nostri avversari andarono a produrla fuori per parlarsi. Probabilmente Carlo voleva spiegargli delle tecniche di gioco perché noi sapevamo il fatto nostro, dopo anni di scuola. Tornarono ed i suggerimenti si videro subito. Io e Chicco forse anche deconcentrati perdemmo le prime manche di brutto.

La seconda partita finì e avevamo perso. Ora eravamo sull’uno ad uno e si giocava la bella. La squadra perdente come pegno aveva una bottiglia di vino, da litro, da finire entro l’ora successiva.

Si ricominciò a giocare e la stanza diventò una ciminiera.

-         Che poi si vestissero bene. Sarà bello vestirsi come delle automobili, stessi colori metallizzati e scritte enormi degli sponsor.

-         Basta Chicco, hai rotto. Concentrati un attimo.

-         No dimmi, come si dovrebbero vestire. Sono molto interessato.- Disse Carlo.

-         Non parlo più. Vi ho capito voi furbetti. Volete sconcertarmi. Dio….

Eravamo quasi in parità, la differenza era solo di pochi punti e sarebbe bastata una mano sbagliata per far vincere i nostri avversari, ma avevo fiducia nel mio compagno.

Di fatti alla fine vincemmo e fu travasato, dal bottiglione da cinque, un litro di vino in una caraffa.

Uscimmo dalla stanza fumosa a fare l’ennesime due gocce e da fuori si vedeva l’aria che avevamo respirato e, almeno a me, vennero i brividi. Aprii porte e finestre per arieggiare l’ambiente e spuntò Alberto con la sua ragazza.

La sua dolce metà guardò l’ora e visto che erano appena passate le due se ne andò a dormire.

-         Filippo?- Domandò Alberto.

-         Il vecchio mandrillotto ha seguito il tuo esempio.- Gli disse Chicco battendogli la mano sulla spalla.

La stanza era divenuta fredda, ma ben ossigenata, Stavamo per tapparci dentro  quando sentimmo bussare alla porta. Era Filippo con l’Elisa ancora sbronza e un po’ scombussolata.

Ci guardammo negli occhi e in nessuno c’era la voglia di andare a letto. Prendemmo il computer e mettemmo un film. “Tenacius D e il destino del rock”.

Si creò un clima strano, avevamo voglia di distruggerci in silenzio. Si aprì una bottiglia di grappa che passò di mano senza sforzo, anzi.

Tutti avevano dato esami, passato il mese di agosto con l’angoscia dello studio e sembrava che solo ora la tensione fosse calata. Tutti volevano azzerare la mente per poter ripartire.

Quindi guardavamo il film in silenzio e ognuno fumò e bevve a suo piacimento, perciò tanto.

Io quando iniziai a star male veramente decisi di usare le ultime forze per scaraventarmi a letto e non feci neanche a tempo a focalizzare in quale mi fossi buttato che avevo già preso sonno.

 
 
 

Post N° 57

Post n°57 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

MERCOLEDI’

 

Capitolo settimo

 

Mi svegliai lentamente e rimasi a rigirarmi tra le lenzuola incapace di intendere e volere.

Dopo un lasso di tempo non quantificabile iniziai a guardarmi attorno e capii di essermi disteso tra Filippo e Chicco, anche loro, come me, ancora vestiti dalla sera precedente. Mi alzai dal letto lentamente e andai in bagno a lavarmi i denti.

Finita la pulizia personale mi avviai verso la cucina. Nessuno aveva sparecchiato e men che meno pulito qualcosa. Feci finta di nulla e mi misi a preparare un caffé. Mentre attendevo rollai una canna. Speravo fosse terapeutica e riuscisse a vincere il senso di nausea che mi stava invadendo. La moka finì il suo lavoro e iniziai a cercare una tazzina vuota, ma erano tutte sporche. Senza pensarci, presi la prima che mi capitò fra le mani, la risciacquai con due dita e fu pronta per contenere il caffé.

L’odore, anzi puzza, della stanza mi fece nascere la voglia di consumare la colazione all’aperto così mi infilai addosso una felpa di non so chi e uscii.

Mandai in gola il caffé, amaro, e fumai.

Giunto a metà canna, sentii dei vocii e comparirono da una viuzza la Valeria e la ragazza di Alberto. Appena a portata di braccio passai a loro il cannone che accettarono di buon grado e incominciarono a complimentarsi con me per il fatto di essermi già alzato.

-         Diciamo che per un sacco di motivi ho sempre dormito poco. Quando lavoro, non è che si può arrivare tardi. Non ho i genitori che mi permettono di rimanere a letto. Ora con l’università dormo un po’ di più, però.

-         Non ti devi scusare.

Mi sentivo in imbarazzo, loro mi resero la canna che con tre tiri potenti finii.

Tornammo in cucina e vicino al computer vidi il raccoglitore di cd con sopra appoggiato il dvd del film “I soliti sospetti”, uno dei gialli più belli degli ultimi anni.

Accesi il pc e intuendo le mie intenzioni le ragazze si sedettero interessate. Presi dal frigo una birra per ciascuno. Mi guardarono male. Io in modo peggiore e si arresero.

La fidanzata di Alberto era molto presa dalla trama per cui non parlò proprio mai. Fu in quel momento che decisi l’obiettivo della mia giornata: comunicare con lei. “Almeno scoprire come si chiama” “Anna, Maria” “No Elena” “Cazzo non posso domandarglielo dopo due giorni”.

Quando finimmo la visione loro rimasero, naturalmente, di stucco. Mi guardai attorno annoiato. Andai in camera da letto per vedere se dormivano ancora tutti o c’era qualcuno da trasportare via. Iniziavo ad avere un certo appetito e non volevo mangiare praticamente da solo.

All’apparenza tutti ronfavano, poi Michele e l’Elisa sentendo i miei movimenti si svegliarono e si sedettero a gambe incrociate sopra il letto.

Li accompagnai in cucina. Presi la moka e ne preparai una per i nuovi arrivati. Andarono a lavarsi il viso e tornarono con un nuovo acquisto.

Chicco aveva deciso di risvegliare le sue membra ed era entrato in cucina come un tornado. Prese il caffé lo corresse con la grappa e lo bevve d’un fiato. Dopo si fece un bicchiere di amaro e si placò su una sedia.

Gli feci notare che forse l’amaro era di troppo.

-         Caffè-amaro-cicca. Dio …. Da che mondo e mondo.

Si accese la sigaretta e scattò in piedi iniziando a preparare il pranzo. Mangiammo divinamente e mettemmo il cibo avanzato per i dormiglioni in frigo.

Le ragazze, fulminate da un desiderio di pulizia che noi maschi in quel momento proprio non possedevamo, si misero a lavare i piatti e scopare per terra, una addirittura arrivò a pulire il bagno. Cosa che fece alzare Carlo e le sue prime parole nascondevano un buon umore: - Porca puttana, magari a casa non fate un tubo e in vacanza pulite il bagno.

Filippo e Alberto continuavano nel loro sonno indisturbati. Sapevo che Filippo poteva dormire fino a venti ore filate, alzarsi, mangiare, andare in bagno e tornare a letto altre tre quattro orette. Di Alberto nessuno aveva dati certificati, ma la fidanzata, che il vino a pranzo aveva reso leggermente più loquace, ci disse che sarebbe stata una sfida tra titani.

Carlo mangiò le cose ormai fredde.

-         Non ho palle di aspettare che si scaldino.

Aveva visibilmente ancora fame, allora prese e mangiò la parte di Filippo e quella di Alberto.

-         Scommettiamo che si alzano per la cena.- Disse rassicurandoci e gli credemmo senza fatica.

Venne preparata l’ennesima moka e quando Chicco mise in tavola le tazzine di tutti già riempite, una nuvola d’odore di grappa si alzò. Li aveva corretti tutti. Lui era fatto così, “cucina che vai usanze che trovi”. Dopo aver guardato tutti bere si girò e con un movimento da oste scaricò un vassoio pieno di bicchieri, tutti con tre dita di Montenegro dentro. Il pranzo ora era davvero finito.

Tutti assieme iniziammo a ripulire il tutto e si presentò un problema inaspettato.

-         Ma qua fanno la raccolta differenziata? Perché dobbiamo organizzare i sacchetti.- Domandai guardando le bottiglie di vetro e il sacchetto con il secco in mano.

-         Figurati se qua vengono a prendere la spazzatura porta a porta, sarà tutto assieme.

-         Cristo, Carlo. Lo so anch’io che qui non fanno la raccolta porta a porta, non  ci sono gli abitanti. Intendevo dire quando la portiamo giù, in pianura, com’è il loro sistema di raccolta?

-         Io direi di farla e in caso butteremo tutto dentro un cassonetto. No?

-         Grazie Elisa. Finalmente qualcuno che mi risponde con qualcosa d’intelligente.- Esclamai guardando i due bricconi e prendendo un altro sacchetto.

-         Ha ragione il tipo in tv, quello su Rai Tre. Ogni bacino di raccolta ha i suoi colori, poi certe cose in certi comuni vanno mischiati, in altri separati, cioè un casino.

-         Io se fossi Ministro dell’ambiente vieterei tutte le cose inutili tipo la carta attorno alle arance ammaccate, tutti sanno che quelle avvolte sono ammaccate e poi che tipo ci carta è?

-         Io se fossi Ministro dell’ambiente vieterei le scritte colorate nello scotex e nella carta igenica. Inquiniamo con i colori che loro usano per rendere le cose più belle, ma lo sanno che mi ci pulisco il culo dalla merda con la carta igenica? Cazzo me ne fotte dei fiorellini. Oppure i fazzolettini di carta di Topolino. Ma ti rendi conto. Muco è e muco rimane.

-         Io se fossi Ministro dell’ambiente farei imporre un’ora di ecologia alle elementari e alle medie. Un’ora alla settimana, come religione. Bisogna insegnare ai bambini.

-         Hai ragione, tanti inquinano perché sono ignoranti.- Dissi intervenendo nel dialogo tra Chicco e Carlo.

-         Sono i più ignoranti.

-         Esatto Chicco. Ma sai cosa sono riusciti a fare?

-         Cosa Carlo?

-         Taroccano i sacchetti di plastica. Hai presente che la plastica come struttura molecolare è una rete, ok? Bene, hanno allargato le maglie e dentro ci hanno infilato un molecolone d’amido. Così quando li sotterri per terra loro scompaiono, perché l’amido si scioglie, ma la maglia rimane invisibile e cancerogena nella terra.

-         Ma dai. Sti bastardi.

-         Non bastardi, molto peggio, perché così la gente non vede più il sacchetto nel campo che magari lo raccoglieva, facendo così tutto è invisibile, ma c’è.

-         E’ quasi come quando costruiscono una strada nuova, tu sei contento perché così arrivi prima e loro sono contenti perché dentro ci hanno sotterrato di tutto.- Disse Chicco.

-         Comincio a pensare che quando fanno una strada incomincino i lavori solo quando hanno accumulato i rifiuti da versarci dentro.

-         Pneumatici. Te li consiglio Carlo.- Dissi intervenendo con tono da gourmet.

-         Una volta, antiquato. Ora si usano squisite terre di fonderia. Troppo sgammo la strada tutta a conche. I sacchetti e i pneumatici si schiacciavano con il peso. La terra di fonderia è terra piena di metalli pesanti, ma terra. O suoi amici esavalenti.

-         Questi mi verrebbe da ammazzarli.

-         No so, sarebbe troppo semplice. Non se lo meritano. Prenderei un bel cucchiaio di cromo e glielo farei mangiare. Se gli piace tanto da seminarlo in giro?

-         Bell’idea.

-         A tutti quelli che sapevano e non hanno fermato, anche il camionista. Tutti con un bel cucchiaio di cromo in bocca. E sarei anche disposto di pagare le cure, solo per vederli morire tra le più atroci sofferenze e soprattutto lentamente, cinque sei anni di cliniche.

-         Basta che muoia alla fine.

-         Dammi dai due ai sei anni ed è dentro una stanza cementata in una cassa di mogano.

-         E’ che con un colpo in testa potevi almeno trapiantare gli organi.

-         Sei fuori. Sono organi malefici. Li cremeremo e le ceneri sparate nel sole.

-         Ok ok. Comunque se non c’ero io che ho portato i sacchi neri voi stavate ancora pensando a chissà cosa. Parlate tanto, ma fate come tutta la gente, va via senza pensare che farà spazzatura e allora poi butta tutte le cose in giro.- Disse l’Elisa guardandoci tenendo in mano il rotolo di sacchi, noi abbassammo gli sguardi e continuammo in silenzio.

 
 
 

Post N° 56

Post n°56 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo ottavo

 

Finita la pulizia Chicco ci propose di guardare un film. Lui l’aveva già visto e ce lo voleva far vedere a qualsiasi costo. Si intitolava “Kung pow”.

-         Se non vi piace cambiamo, tanto ne abbiamo di tempo.

Il film era costruito in modo molto strano. Il regista aveva preso pezzi di vecchi film d’arte marziale giapponesi, credo, e gli aveva uniti fra di loro. In più erano stati aggiunti degli attori digitalmente e naturalmente cambiato tutti i dialoghi. Il risultato fu il film con la trama più assurda che abbia avuto l’onore di vedere e con il combattimento d’arti marziali, protagonista versus mucca al pascolo, che ci lasciò completamente di stucco.

-         Ragazzi è il film più svarionante o no? Dio ….

Noi eravamo senza parole e rimanemmo lobotomizzati sulle sedie per una mezz’ora.

-         Fuori è quasi buio.

-         Non abbiamo ancora fatto una foto.

Le nostre giornate erano molto corte, ma era proprio quello che cercavamo. Dormire e fare quello che si voleva per una settimana. Senza alcun tipo di problema.

Le ragazze avevano preso la telecamera e filmavano la cucina, il bagno pulito e poi iniziarono a dar fastidio agli ultimi due dormiglioni finché non si svegliarono. Alberto pian piano si destò e si sedette sul suo giaciglio, Filippo fu più reticente e si girò dall’altra parte.

Quando tornarono in cucina, con Alberto, le ragazze si misero a confabulare fra di loro. Noi maschietti ci guardammo spaventati e dopo una decina di minuti ci comunicarono che dovevano andare in paese a prendere delle cose. Segrete.

Domandarono ad Alberto le chiavi dell’auto e lui incominciò a frugarsi per trovarle. Fece le raccomandazioni del caso e si sedette incominciando a girare una canna.

Le ragazze partirono e io decisi di svegliare Filippo. Entrai in camera e gli saltai addosso. Ricevetti una sfilza di bestemmie, ma almeno lo rividi con gli occhi aperti.

-         Le ragazze sono andate in paese. Non so perché. A prendere delle cose.- Lo avvisai.

-         Saranno cose da donna.

Io mi avviai verso la cucina credendo che mi seguisse, invece si era girato nuovamente dall’altra parte e aveva ripreso un bel respiro regolare. Lo abbandonai.

In cucina c’erano Chicco e Carlo che volevano mostrare ad Alberto “Look and stock- Pazzi scatenati”.

-         Non l’hai mai visto? Ma da dove vieni?

-         E cosa vuoi che ti dica.

-         Vergognati. Dio ….

Nemmeno io l’avevo visto, ma non mi sentii di sbandierarlo ai quattro venti e vedendo Michele in silenzio capii di essere in compagnia. Incuriositi, ci sedemmo in fondo alla tavola e lo guardammo.

Dello stesso regista avevo visto “The snach” e lo stile era simile, ma questo era molto più bello e avvincente nella trama.

Alla fine del film iniziai ad avere nuovamente fame, ma nessuna voglia di muovermi.

All’improvviso tornarono le ragazze e con fare sospetto ci domandarono di andare tutti in camera da letto. Volevano cucinare loro e farci una sorpresa.

Le nostre bocche acconsentirono, ma i corpi risultavano svogliati. Pur di mandarci via spostarono il pc sopra un letto nell’altra stanza. Nessuna reazione.

-         Tanto mi ero rotto le balle dei film. Dio ….

Allora trasferirono nella camera anche un numero imprecisato di birre, i posacenere, le sigarette e infine la marijuana.

A quel punto racimolammo l’energia necessaria e ci buttammo sopra i letti. Dimenticandoci che in uno di essi c’era ancora Filippo che iniziò a rantolare.

-         Cosa c’è? Cosa vi ho fatto?

-         Ehi! Chi si vede da queste parti.

-         Lasciatemi stare, tornate da dove siete venuti.

-         No se puede, amico.

-         E perché?

-         Perché le ragazze vogliono farci una sorpresa e cucinare loro. Contento? Vero? Vuoi il bacino del buon risveglio.

-         Stai scherzando?- Si alzò e in mutande puntò la porta che lo separava dalla cucina sbraitando: -Voglio un caffé, dell’acqua fresca.

-         Niente da fare. Potevi svegliarti prima.- Si sentì rispondere dalla sua ragazza.

-         Ma chi è? Mia madre.- Ci domandò Filippo guardandoci sconsolato in cerca di un aiuto, ma Alberto, che aveva acceso di nuovo il portatile, iniziò a guardarsi un live dei Rage Against the Machine, “The battle of Mexico City”, mentre io e Chicco domandammo a Michele e Carlo se volevano la rivincita a carte. Stuzzicati dal punto di vista agonistico non rifiutarono la sfida e ci buttammo sopra i letti a giocare.

Filippo si sentì solo e tradito e vide nel suo giaciglio l’unica cosa che l’aveva veramente capito e difeso per cui tornò ad abbracciarselo.

 
 
 

Post N° 55

Post n°55 pubblicato il 12 Maggio 2008 da anonimalamente

Ancora giorno

 

Capitolo nono

 

Per noi la partita fu più che altro un passatempo visto che i discorsi si fecero seri anche se molto lenti visto che il gioco assorbiva la concentrazione e ad una domanda potevi aspettare anche due tre mani prima di ricevere una risposta.

-         Michele, ma questa erba a quanto la fate?- Domandai curioso e voglioso.

-         Otto al grammo.

-         Un po’ meno, no?

-         Fosse per me anche si, ma in realtà ci sono i miei coinquilini, al massimo posso farvela in compra vendita.

-         Ne riparleremo a casa. Verrò a trovarti una sera in appartamento.

-         Si dai, che così ci facciamo una bella fumata.

-         Però una volta era bello. Dio ….

-         Pensa Chicco che almeno noi abbiamo beccato anche se di striscio il miglior periodo. Anni ottanta, novanta altro che. Quella era pacchia.- Si intromise Carlo con occhi lucidi.

-         Vi ricordate quella volta che abbiamo comprato quella erba a ottocento lire al grammo. Ottocento. Sette euro. Avete presente la differenza.- Chicco si era infervorato.

-         Io sono dell’idea che in Olanda sono stati i più furbi. Anche se volessero, come fanno a tornare in dietro? Hai presente tutta una nazione che schizza?- Dissi e cercai di immaginare nella mia testa quel preciso istante in cui tutto un popolo va fuori di testa contemporaneamente e mi venne da ridere.

-         Da quando l’hanno legalizzata i fumatori sono diminuiti.- Sentenziò Michele.

-         Si, ma saranno aumentati nei paesi al confine.- Obiettai.

-         Figata. Chicco pensa ad essere nato, che ne so, in un paese in Belgio al confine con l’Olanda.

-         Perché Carlo? Se devo sognare, sognerò di essere nato in Olanda. A questo punto.

-         Sai che delirio se in Italia fanno come in Olanda?- Si era in vena di sogni.

-         Non ci guadagnerebbe più la mafia. I magrebi non si finanzierebbero gli attentati e i documenti falsi, ci sarebbero meno carte e la finanza potrebbe finalmente fare qualcos’altro di più utile per lo Stato.- Sentenziò Carlo, ma l’uragano di idee che c’era nella testa di Chicco smaniava di esprimersi.

-         Che poi non capisco perché la Guardia di Finanza si occupa della droga. Cioè dal nome si dedurrebbe che si occupasse di finanza, non di droga. Se no chiamala Guardia delle Droga, sbaglio?

-         Dovrebbero legalizzare la coltivazione e il consumo di marijuana dentro le abitazioni private. Sono a casa. Mia. Il fatto che sia in Italia è un’altra cosa. E’ mia. Ho lavorato per farla e non posso coltivarci una cazzo di pianta e fumarmela. Ma c’è gente che può mangiare mille aspirine e morire. Dio ....

-         Cosa centrano le aspirine?- Domandò Michele.

-         E’ tutta colpa delle aspirine e delle lobby farmaceutiche.

-         Oddio. Ecco che parte. Sapevo che c’era qualcosa che covava nella tua piccola e bacata testolina. Raccontami che sento puzza di stronzata.- Dissi stuzzicando il mio compagno di squadra.

-         Tu Michele non ascoltare, vuole solo distrarti per vincere a carte.- Disse Carlo dopo che la prima partita al trentuno l’avevamo portata a casa noi.

-         Lo so lo so. Ma che ci vuoi fare, è un discorso così interessante.

-         Una volta negli anni trenta quaranta la maria non era considerata una droga. Era una pianta, molto meno potente con cui facevi un casino di cose e in più se ti sentivi un po’ male, malessere, robe così, ti giravi una sigaretta. Con la canapa del tuo campo e stavi un po’ meglio. Sai con cosa andava la prima macchina a motore? Olio di canapa. I vestiti come li facevi? Era così complicato farne uno? Pensa alle coperte.

-         Cos’hanno le coperte?

-         Erano fatte di canapa.

-         Così potevi fumare stando a letto. Bastardi.

-         Comunque un giorno le lobby farmaceutiche, che poi sono a braccetto con le multinazionali del petrolio, fanno la pensata: “E se noi facciamo diventare illegale la canapa”. Bene l’hanno fatto e ora tutti mangiano pastiglie per malattie immaginarie e indossano traspirantissimi vestiti fatti di plastica. Quando finirà il petrolio la rilegalizzeranno. Anche perché se ci tenessero veramente alla mia salute renderebbero illegali le sigarette e un sacco di piante che fanno le stesse cose ma che non vanno di moda. Ma è un altro capitolo ancora.

-         Però se si facesse un referendum si vincerebbe di brutto.

-         Non credere. Vuoi sapere l’unico modo per legalizzarla?

-         Direi.

-         E’ un’idea di un mio amico stra fuori. Il suo obbiettivo nella vita è racimolare più soldi possibili…

-         Grazie tante, mi spiega come fa?

-         Bo? Non so, quello è il problema, ma aspetta che ti dico cosa vuole farci. Insomma si fa fare un seme di marijuana non tanto potente, ma che si riproduca bene in climi come il nostro e soprattutto velocemente. Piante madri, le impollina e produce migliaia e migliaia di semi.

-         E poi?

-         Poi prendere e li svuota col deltaplano sulle colline, magari nei parchi naturali e via. La sua teoria è che se non la legalizzano loro la legalizziamo noi. O no?

-         Malati. Voi siete malati.- Disse Alberto che ci aveva sentito parlare animatamente e da distante ci stava ascoltando.

-         Secondo me è una bella pensata invece. Io gli farei una statua.

-         Se lo farà te ne accorgerai. Comunque ragazzi vorrei dirvi che abbiamo vinto ancora noi. Portate il vino. Dio….

Avevamo giocato due partite fino al trentuno. La fame si faceva sentire e Carlo provò a entrare in cucina, ma la porta era bloccata e da dentro ci dissero di aspettare altri dieci minuti.

Notammo che Filippo dormiva ancora, allora decidemmo di aprire una finestra per cambiare l’aria e fondamentalmente per rompergli le scatole. Entrò un freddo glaciale, la temperatura esterna si era abbassata di molto e anche il tempo non sembrava essere dei migliori. Il dormiglione non aveva reagito e allora iniziammo a picchiarci per gioco.

Vinceva sempre il nostro gigante preferito che con le sue braccia poteva prenderti anche a due metri di distanza e che decise di dar la sveglia a Filippo. Gli atterrò sopra volando giù dal soppalco cercando di imitare una mossa del Wrestling e sfondando il letto. Al sentire il “crak” tutti guardammo il padrone di casa ancora sotterrato dalla mole di Carlo. Non disse nulla, ci guardò veramente shockato e noi ci calmammo improvvisamente.

Dopo interminabili minuti, in cui si sentirono solo dei flebili gemiti da parte di Filippo ancora disteso nella posizione in cui l’aveva schiacciato Carlo, la porta della cucina si aprì e fu come una magia.

La luce entrava e più ci venimmo avvolti da un profumo di carne cucinata e aromi vari. La tavola era imbandita come una cena di natale, anzi sembrava capodanno.

Mangiammo gli antipasti, fette di salame e mortadella e partì anche il primo brindisi. Per primo piatto, le donne, avevano preparato una pasta alla carbonara con i fiocchi e molto abbondante. Poi portarono in tavola funghi, patate fritte in padella e una mega braciola a testa. Sembrava di essere in una di quelle trattorie dove si trangugiano fiumi di vino e si vivono le storie più vere e strane.

Quando i caffé si presentarono in tavola in compagnia di una bottiglia nuova di zecca di Averna e una di Amaro Lucano scattò un applauso spontaneo verso le cuoche.

-         E’ per tutto quello che ci offrite. Per ringraziarvi.

-         Io vi sposerei tutte quante. Maledetta monogamia. Dio….- Sbottò Chicco.

 
 
 
 
 

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