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"PIU' DEL CLAMORE DEGLI INGIUSTI TEMO IL SILENZIO DEGLI ONESTI"

 

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« DEL POTERE FESCENNINOANCHE NOI CREDEVAMO »

FORSE TACITO E SVETONIO CI AIUTANO A CAPIRE

Post n°628 pubblicato il 13 Novembre 2010 da bargalla

                             


Non so in quale altro Paese cosiddetto "normale" un primo ministro in crisi di credibilità e allegramente sputtanato da un modus vivendi rivelatore di un'indole a dir poco arrogante e spregevole, possa impunemente abusare del potere usurpato con l'inganno (grazie ad una legge-truffa che nel momento in cui attribuisce un premio di maggioranza a una coalizione palesa l'indubbia frode sottesa nelle elezioni-farsa) fino al punto da invocare la "guerra civile" come minacciosa risposta all'inevitabile richiesta di dimissioni avanzata da larghe fasce della società, non più disposta a subire passivamente le prepotenze e le angherie di un tiranno quasi fossero le regole non scritte di un perfido e scellerato gioco "democratico" dove il despota esce di scena solo quando crepa.
Sarà per questo che nel riferirsi a uno dei dioscuri dell'olimpo italiota bersagliato dai pennivendoli della real casa, egli se n'è uscito affermando "mi vuole morto fisicamente."
Alla buon'ora, esclamo anch'io dinanzi al sordido squallore di un panorama politico che si rasserenerà solo quando brucerà di fatale consunzione la meteora berlusconiana i cui effetti già si colgono presso gli strati "più alti" di un'atmosfera in attesa di disperderne perfino il ricordo.
"Ma se questi faranno il governo tecnico, noi gli scateneremo contro la guerra civile, avranno una reazione come nemmeno s'immaginano..."

Un'istigazione alla violenza gratuita, una chiamata alle armi forse influenzata dall'intollerante pensiero legaiolo che in certi ambienti va per la maggiore; forse un modo come un altro per "leggere" la psiche malata di un riccastro sfondato, narcisista e megalomane, che dinanzi al
redde rationem reagisce scompostamente e diventa un pericolo pubblico non solo per le istituzioni che indegnamente rappresenta, ma per l'intera Nazione le cui sorti sono in balia di un predatore il quale ha fomentato e cavalcato il malcontento sociale, ha legiferato pro domo sua pensando che la Res Publica fosse res privata, ovvero cosa sua, intesa nella gergale accezione di un termine esclusivo della cosiddetta onorata società.  
Solo che stavolta il gioco sembra essergli sfuggito di mano, il grande imbonitore fatica a infinocchiare e si arrampica sugli specchi di un consenso elettorale eroso, finalmente, dalla capacità di giudizio di un popolo che, per quanto bue, forse si è stancato di subire l'oltraggio di un mandriano e dei suoi stallieri: un'accozzaglia di utili idioti e di cretini obbedienti sempre più simili ai cavalier serventi fra i quali non è raro vedere da ultimo anche qualche esemplare di bassa lega assurto al ruolo di porta posacenere.
Da un simile, insulso consesso di manutengoli e puttane, è il minimo che ci si possa aspettare!

In un recente articolo comparso sull'
Economist si cita l'epilogo dei Pagliacci di Leoncavallo, come silloge di quel che in Italia accade, un accostamento decisamente indovinato considerando quanto la compagnia di giro del citato melodramma assomigli a quella che calca le scene dell'attuale teatrino della politica, e lo diventa ancor di più quando, alla fine dell'opera, il pagliaccio Canio, dopo aver pugnalato a morte il pagliaccio Silvio, l'amante della moglie, avanza verso il pubblico e dice "La commedia è finita".
Ecco, quelli che fino a qualche mese fa recitavano a soggetto seguendo supini le direttive di un regista attento solo a consolidare i suoi interessi e il suo cachet, in un resipiscente moto di dignità istituzionale hanno finalmente recitato il mea culpa prendendo le distanze da un modo spregiudicato e privatistico di intendere l'impegno politico e l'esercizio del potere, tanto da suscitare l'ira di colui il quale, novello re-sola, si identifica con lo Stato incarnando una visione padronale e autocratica del potere che è quanto di più perverso e lontano possa esistere in una democrazia, sia pure incompiuta e malata come la nostra, peraltro sempre più simile ad una satrapia con gli annessi e connessi che tale orrenda mutazione comporta. Harem compresii!


Non suoni irriverente l'accostamento di siffatta teppaglia istituzionale con i grandi del passato, è un esercizio che compio solo per diletto quasi a voler attutire l'impatto che sull'attualità hanno certi personaggi i quali sembrano la brutta copia di altri passati alla Storia, ma tant'è!
Ne prendo uno di nome Tiberio, uscito dalla "Vita dei Cesari" di Svetonio e ditemi se non vi ricorda qualcuno "abituato a giocare con la vita delle donne".
Ne riporto qualche passo non prima di aver citato anche un compagno di merende di quel Tiberio, tale Sestio Gallo (che fa il paio con uno dei tanti prosseneti resi celebri dall'essere uno dei megafoni della voce del padrone) definito da Svetonio: "un vecchio libidinoso e scialacquatore" col quale Tiberio "accettò di cenare a patto che non cambiasse o togliesse nulla dalle sue abitudini, e che la cena fosse servita da fanciulle nude". Il paragrafo 42 si chiude con un riferimento che è tutto un programma: "Infine istituì una nuova carica, quella di addetto ai piaceri, preponendovi il cavaliere romano Tito Cesonio Prisco".
Chi è l'attuale addetto ai piaceri della real casa?
La risposta avrebbe varie opzioni, tutte ugualmente valide considerando i vari book dimenticati sulla scrivania dell'utilizzatore finale da "api regine" e da fuchi ronzanti servile ardore.

Il paragrafo 43 è ancora più realistico e se al posto di Capri si legge Sardegna, allora sembra quasi di vedere l'attuale villona di un villano divenuto zimbello del mondo intero: "Nel suo isolamento di Capri escogitò anche dei salottini con divani, sede segreta delle sue libidini, in cui gruppi di fanciulle e di invertiti, nonché gli inventori di accoppiamenti mostruosi - che egli chiamava spintrie - in triplice catena si prostituivano vicendevolmente davanti a lui, per eccitare con tale spettacolo la sua libidine ormai declinante. Camere da letto, disposte in vari luoghi, egli adornò con quadri e statue derivate dalle pitture e sculture più lascive, e le dotò dei libri di Elefantide (scrittrice greca autrice di poesie erotiche), perché a nessuno mancasse, nelle sue prestazioni, un modello per la posizione ordinatagli. Progettò anche, qua e là nelle selve e nei boschetti, dei luoghi dedicati a Venere affinché giovani d'ambo i sessi si prostituissero negli antri e nelle cavità delle rocce in aspetto di piccoli Pan e Ninfe".  
Svetonio nel paragrafo 57 del Libro Terzo ci regala un ritratto di Tiberio con delle connotazioni caratteriali che suonano molto attuali: "La sua indole crudele e piena di rancore non rimase nascosta nemmeno nella sua fanciullezza. Pare che per primo acutamente la notasse, e la definisse con un'immagine molto calzante, il suo maestro di retorica Teodoro di Gàdara, che ogni tanto lo rimproverava chiamandolo 'fango intriso di sangue'. Ma assai più chiaramente, essa si rivelò nel principe anche nei primi tempi, quando cercava ancora di accattivarsi il favore della gente fingendo la moderazione".   

Il florilegio sul
novello Tiberio non può esser completo senza un accenno agli Annales (VI,1) di Tacito:
"Dopo essere disceso più volte nei dintorni di Roma ed essere arrivato fino ai giardini presso il Tevere, ritornò alla solitudine dei suoi scogli sul mare, preso dalla vergogna delle sue scellerate dissolutezze che accendevano in lui una brama così violenta da indurlo, secondo l'uso dei re orientali, a compiere turpi atti di libidine su giovani di libera nascita. E la sua perversa passione era eccitata non solo dalla bellezza e dalla grazia fisica, ma in alcuni dall'ingenua purezza dell'adolescenza, in altri dalle nobili tradizioni del loro casato. Allora furono inventati i vocaboli fino a quel tempo sconosciuti di 'sellari' e di 'spintrie' derivanti l'uno dall'oscenità delle posizioni, l'altro dalle varie perversioni di passività sessuale a cui si doveva sottostare. Sovrintendevano degli schiavi addetti a cercare le vittime e a condurgliele; essi riservavano doni ai compiacenti e minacce a quanti si dimostravano riluttanti..."

Come dire: una comparsata televisiva, una lauta marchetta, una partecipazione ad una
fiction, un futuro da soubrette nell'impero mediatico, un appartamento, un'auto di grossa cilindrata, vestiti e gioielli griffati in cambio dei servigi resi, meglio ancora una nomina nel sottobosco della politica e, male che vada, l'umanitario affidamento ad un'igienista dentale con un arrivederci e grazie.

 

 
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