Creato da maurizio.massari il 19/04/2007
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convenction apg

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Lettera aperta di Enzo Belloni

Leggi e commenta la lettera aperta di Enzo Belloni sulla futura normativa che renderà obbligatoria la qualifica di allenatore per allenare nei Campionati Giovanili di Eccellenza.
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Bozze progettuali per la Convenction - CODICE DEONTOLOGICO

Post n°16 pubblicato il 29 Maggio 2007 da maurizio.massari
 

Bozza realizzata da Enrico Ciuffo e Maurizio Flamminii

 

 

            Chiunque aderisca all’Associazione Pallacanestro Giovanile si impegna al rispetto delle regole etiche contenute nel presente Codice Deontologico, la cui finalità non è semplicemente quella di dettare forme di comportamento, ma soprattutto di caratterizzare l’Associazione medesima in termini di mutualità e cooperazione tra gli iscritti, di massimizzare quindi gli atti concreti che possono concorrere alla piena realizzazione degli Scopi sociali definiti nell’articolo 2 dello Statuto.

La libera adesione ad APG comporta l’accettazione e la responsabile attuazione del modello comportamentale suggerito dal presente Codice, che viene ad essere parte integrante dello Statuto.

 

            Nel rispetto delle finalità sociali di APG, fatti salvi i giusti principi morali e professionali che regolano i Diritti, il Codice contempla i Doveri dell’iscritto, trasmessi in norme di comportamento nei confronti di tutte le componenti operative della Pallacanestro e precisamente nei rapporti con i soggetti elencati nei seguenti articoli:

 

  1. ASSOCIAZIONE E RAPPORTI TRA ISCRITTI

1.1              L’adesione ad APG comporta farsi carico della piena realizzazione degli Scopi sociali partecipando alla libera vita associativa, promuovendo l’immagine e l’attività dell’associazione medesima, intervenendo (nei modi e tempi opportunamente regolamentati) alla discussione delle scelte associative, sostenendo le decisioni che la maggioranza degli iscritti o che gli Organi di APG democraticamente eletti prenderanno, per il raggiungimento degli obiettivi associativi.

1.2              Gli iscritti sono obbligati a rispettare il buon nome di APG, di ogni suo Organo, di ogni sua associata o associato; il reciproco rispetto (sia verso l’esterno, sia ovviamente all’interno) è un caratteristica peculiare della nostra identità sociale, e vincola ciascun associato a:

-         non offendere, né insultare, né diffamare, né criticare i colleghi (che siano iscritti o meno ad APG) in qualsiasi pubblico contesto, esprimendosi in termini lesivi delle loro capacità professionali;

-         astenersi da qualsiasi comportamento che, in modo diretto o indiretto, possa danneggiare o sfavorire lo svolgimento della attività associativa dei colleghi o comprometterne la carriera professionale, evitando ad esempio la circolazione di informazioni che non abbiano sicuro fondamento;

-         prestare collaborazione quando richiesta, nei modi e tempi che ciascuno, in coscienza, riconosce possibili.

 

  1. RAPPORTI CON GIOCATORI E GIOCATRICI

2.1              L’allenatore deve rispettare i propri giocatori e le proprie giocatrici senza differenza alcuna; il rispetto non ha pregiudiziali, dovute all’età, alla bravura o al tempo di utilizzo,  al sesso o alla razza, alle convinzioni religiose o politiche o morali.

2.2              L’allenatore associato ad APG sarà energicamente impegnato a trasferire all’interno del proprio gruppo sportivo gli ideali di mutualità e collaborazione caratterizzanti la nostra Associazione, proprio perché convinto che essi sono alla base di una corretta educazione sportiva, tale cioè da agevolare la convivenza e facilitare il raggiungimento degli obiettivi sportivi ed agonistici, anche ad altissimo livello.

2.3              Nell’espletamento della sua funzione tecnico-didattica, ispirata ai principi di equanimità, l’allenatore dovrà porre attenzione al rispetto della personalità individuale. Dovrà quindi dedicare le migliori “cure” agli aspetti individuali e all’evoluzione di tutti gli atleti, evitando discriminanti sia nell’insegnamento tecnico, sia nei rapporti interpersonali.

2.4              L’allenatore è particolarmente tenuto a coniugare l’aspetto tecnico con quello formativo generale, di cui è parte integrante la sfera ludica.

 

  1. RAPPORTI CON ARBITRI E UFFICIALI DI CAMPO

3.1              Riconosciuto che arbitri e ufficiali di campo svolgono un ruolo essenziale al corretto svolgimento delle gare, gli allenatori di APG si impegnano ad  assumere comportamenti attivamente collaborativi, che contribuiscano a mantenere il più possibile un clima sereno tra tutte le componenti (giocatori, allenatori, dirigenti, arbitri e ufficiali di campo) che operano durante una partita di pallacanestro, al fine di facilitare la piena espressione delle proprie potenzialità da parte dei protagonisti, ovvero i giovani atleti e atlete.

3.2              È compito dell’allenatore accettare e contribuire a fare accettare ai propri giocatori e dirigenti le decisioni di arbitri e ufficiali di campo, senza per questo rinunciare a chiedere opportuni chiarimenti nei modi e tempi opportuni, evitando in ogni modo atteggiamenti che alimentino ingiustificatamente la tensione e provochino contestazioni violente: mantenere un comportamento sportivo non significa rinunciare a difendere i propri diritti legittimi.

                                              

 

  1. RAPPORTI CON DIRIGENTI DI SOCIETA’

4.1              In ossequio agli impegni contrattuali (verbali o scritti che siano) presi all’atto dell’incarico ricevuto dalla società, l’allenatore si impegna a mantenere un comportamento di piena collaborazione al fine di perseguire gli obiettivi societari che siano stati concordati in modo chiaro e trasparente.

4.2              Per altro si riconosce che l’allenatore di settore giovanile dovrebbe assumere il ruolo di promotore dell’attività all’interno del proprio club, ruolo da espletarsi proponendo iniziative, elaborando progetti, mettendo insomma a disposizione della propria società tutte le competenze professionali che possano contribuire al miglioramento dei giocatori e alla valorizzazione e sviluppo dell’attività giovanile.

 

  1. RAPPORTI CON FAMIGLIARI DI GIOCATORI E GIOCATRICI

5.1              Comunicare con i familiari dei giovanissimi e degli atleti in generale è fondamentale per renderli partecipi del processo di crescita sportiva che si cerca di realizzare, occorre però prestare particolare attenzione quando si parla di problemi di crescita, problemi psicologici e quanto altro attinente ai loro figli.

5.2              Convincere i genitori che la loro polemica con gli arbitri prima, durante e dopo la gara è una cattiva lezione al proprio figlio, oltre che controproducente per la squadra e per la società.

5.3              Nei rapporti con i genitori, l’allenatore è tenuto ad usare misura e cautela  quando è chiamato ad esprimere giudizi, per non creare attese ingiustificate sul futuro dei giovani, ma senza disincentivare gli interessi e la passione.

 

  1. RAPPORTI CON ORGANISMI ED ENTI RICONOSCIUTI

6.1              Gli allenatori che aderiscono ad APG sono tenuti al rispetto dei regolamenti vigenti presso l’Ente (federale o di promozione sportiva) presso il quale sono tesserati.

6.2              Fatto salvo il rispetto delle regole, si auspica che tutti noi partecipiamo, nei limiti delle possibilità personali, alla vita associativa dell’Ente per cui siamo tesserati (quantomeno esprimendo il nostro voto ogni volta che ne abbiamo facoltà), nella consapevolezza che il nostro ruolo di allenatori comporta la responsabilità di adoperarci al costante miglioramento e al progressivo sviluppo della pallacanestro giovanile, assumendo comportamenti positivi e propositivi..

 

  1. RAPPORTI CON ORGANI DI INFORMAZIONE

7.1              L’obiettivo di dare visibilità alla pallacanestro giovanile è comune a tutti gli allenatori di APG, da ciò nasce l’importanza di avere grande disponibilità verso i mezzi di informazione, aprendo efficaci canali di comunicazione con gli organi di stampa del territorio in cui si opera.

7.2              Si evidenzia peraltro la necessità prestando attenzione al rischio di fraintendimento o strumentalizzazione delle proprie parole, evitando in ogni modo di alimentare polemiche o rilasciare dichiarazioni lesive nei confronti di terzi

 

 
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IL BASKET IN UNA SOCIETA' STRESSATA  di Ettore Zuccheri

Post n°15 pubblicato il 15 Maggio 2007 da maurizio.massari
 
Foto di maurizio.massari

Allenare i giovani, per avviarli allo sport, considerando questa attività in diversi periodi storici, comporta atteggiamenti e modifiche che devono trovare, durante il percorso, i giusti adattamenti nella propria filosofia dell’insegnamento, arrangiamenti che tengano conto del nuovo ambiente sociale che cambia. In altre parole, cambia il periodo storico, cambia la società, si modifica l’educazione e abitudini dei bambini e deve necessariamente mutare il nostro modo di insegnare. Siete d’accordo? Proviamo a spiegarlo meglio. Quaranta anni fa la società non era la stessa, giusto? La famiglia viveva con una organizzazione diversa. Lavorava uno solo dei genitori, l’altro accudiva la prole interessandosi di tutti i problemi della casa. I ragazzi giocavano molto di più, erano sempre fuori di casa e i genitori sapevano dove si trovavano, senza preoccuparsi. C’era meno ricchezza, ma più tranquillità familiare. Forse, chi allenava in quel periodo teneva conto, istintivamente, che i bambini apprendevano molto giocando. Il loro primo allenatore era il gioco. Se volevano migliorare il loro repertorio bisognava arrangiarsi a copiare dai più bravi.  La partecipazione mentale era massima.

Ora, nella società della fine del vecchio millennio ed inizio del nuovo, siamo più ricchi  , ma tutto il contesto sociale e familiare è cambiato. Per sostenere il nuovo tenore di vita entrambi i genitori lavorano e molte donne faticano a conciliare i figli con la carriera. Sono costrette a destreggiarsi in un gioco di prestigio che porta sì le sue ricompense, ma provoca anche molte tensioni. E gli uomini, i padri di famiglia? Molti si sentono sopraffatti dalle esigenze professionali e scoprono di avere pochissimo tempo per rilassarsi in famiglia. E i bambini?  Per fortuna ci sono i nonni, altrimenti sarebbero guai. Abbiamo a che fare con le separazioni coniugali e per i bambini è un dramma. Comunque, sono continuamente sballottati da una situazione all’altra con cambiamenti di sistemazione che accrescono i loro problemi legati all’insicurezza emotiva . Inoltre non giocano, oppure giocano meno e comunque c’è differenza tra regione e regione nel soddisfare questo bisogno primario. Cosa vogliamo dire? Semplicemente che al nord ci sono molte differenze rispetto al centro e centro sud. Qui, intanto ci sono più bambini che al nord ed è più facile vederli giocare nei cortili, nei campetti o nelle strade. Per gioco s’intende soprattutto quello fatto da soli, interpretato in modo personale e, a volte, inventato da loro stessi. Cosa facevo io quando ero nel periodo della scuola elementare? Ricordo con nostalgia le lunghe giocate pomeridiane a calcio e basket. Quelle fatte anche da solo per imitare i miti sportivi del mio tempo, per apprendere i movimenti che avrebbero messo in difficoltà i miei compagni di gioco. Si poteva apprendere anche dalla sequenza fotografica che trovavi sui giornali perchè non c’erano i filmati. E tutto fatto con la massima libertà, ma bisognava metterlo in pratica al momento giusto, immaginando la difesa. Eravamo negli anni 50.

E i bambini di questo periodo storico? Abbiamo fatto un bel salto, ma basta un po’ di fantasia per crearsi una scala di situazioni che, via via, sta peggiorando.  Non giocano più liberamente e quelli più fortunati sono in  ”parcheggio” nelle società sportive che hanno una responsabilità grandissima, a mio parere. I bambini di oggi vivono sotto pressione, uno stress derivante  dalla situazione sociale cambiata e sperimentano disagi a causa della stessa situazione familiare. Il massiccio aumento di problemi di salute fisica e mentale nei bambini, che ormai sembrano diventati di norma, comincia ad allarmare un numero sempre maggiore di genitori. A scuola si può notare che arrivano sempre di più bambini con grossi problemi comportamentali. La loro unica salvezza è rappresentata dallo sport e i genitori li affidano alle organizzazioni sportive e , ultimamente , è possibile farlo fin dal quinto anno di età, quando la coordinazione ha raggiunto un livello appena sufficiente per apprendere semplici schemi motori, giocando. Se i bambini si divertiranno, dentro l’organizzazione delle società sportive, cercheranno sempre di più la soddisfazione dei loro bisogni attraverso il movimento, rifiutando o limitando la TV e soprattutto il divertimento che si prende dai videogiochi. Le società che, a pagamento, prendono in consegna questi bambini hanno una grande responsabilità nell’affidarli ad allenatori che abbiano cultura e esperienza… che non può essere solo cestististica.

Riteniamo che sia una meta semplice far divertire i bambini dai 5 ai 7-8 anni perchè esistono molti giochi, fatti con la palla o senza la stessa che danno la possibilità di raggiungere gli scopi prefissati. Ci sono palloni più piccoli e leggeri, canestri regolabili in altezza, tutte le attrezzature adatte a far gioire il bambino per l’ebbrezza di avere realizzato un canestro. Se l’istruttore ha cultura ed entusiasmo non mancherà di dar loro la possibilità di correre e di lasciare dei momenti di libertà per la gestione del loro divertimento. Non deve essere tutto organizzato dall’alto, è importante lasciarli liberi di giocare come vogliono. Almeno un po’.

E’ problematico, invece, il passaggio da questa attività ludica al gioco-sport , inteso come avviamento al basket da fare quando hanno 8-9 anni, in terza elementare. Non è possibile, a mio parere, farlo attraverso gli esercizi a parte quelli del tiro a canestro. Tiro e gioco dovrebbe essere il programma da fare nelle classi della scuola elementare; un progetto somministrato attraverso una forma socializzante che abbia come premessa una favola che li catturi con la sua trama. Un gioco in cui il bambino si diverta coi compagni, apprendendo dal gioco stesso i principi base dell’attacco e difesa. E sia una attività accessibile a tutti, maschi e femmine, compresi i portatori di handicap leggeri. Se i bambini di 6-7 anni giocano a calcio, sport naturale e non costruito come il basket, è possibile dar loro la stessa opportunità con la pallacanestro? In altre parole, occorre trovare un gioco-sport che faccia sentire tutti i sentimenti, compresi quelli socializzanti, che si respirano proprio dentro una squadra di basket. Difficile trovare una possibilità da  offrire loro, una esperienza di gioco, in prima e seconda elementare; ma in terza devono assolutamente giocare per apprendere quanto detto sopra. Hanno bisogno di un gioco che abbia “dentro” quasi tutto quello che si apprende giocando, con poche regole, perchè devono pensare a divertirsi.

E’ un bel problema da risolvere perchè il basket è uno sport che ha due fondamentali condizionanti, che limitano la possibilità di avere una partecipazione piena al gioco per quelli meno bravi e più deboli. Intendiamo riferirci alla difesa e al palleggio che rafforza, durante il gioco, l’egocentrismo del bambino più bravo e la discriminazione del meno abile. La pedagogia insegna che in questa età è importante il passaggio dalla fase egocentrica a quella socializzante. E il gioco da proporre deve avere questa possibilità. E allora? C’è la possibilità di giocare subito, rendendo  tutti i bambini capaci di partecipare al gioco di avviamento al basket con quello che sanno fare, senza dover prima insegnare nulla? Gli allenatori che collaborano con le maestre nelle classi elementari per tutto l’anno scolastico hanno la possibilità di raggiungere tutte queste mete, se hanno un progetto da realizzare attraverso il gioco, guidati dalla favola. Andare alle elementari saltuariamente, facendo partecipare i bambini a delle lezioni basati sugli esercizi di palleggio, passaggio e tiro, non serve a nulla se non dando dei palliativi inutili. La collaborazione con le maestre deve essere fatta per l’intero anno facendo giocare i bambini, con una meta: il campionato, come insegna la favola.

Noi della Pallacanestro "E’Vita Budrio" siamo entrati nella scuola elementare con l’idea di raggiungere, innanzitutto, la metà della socializzazione. Abbiamo cominciato a raccontare la favola del “Jungle Team”, dove gli animali dello Zoo volevano giocare a Basket per partecipare, appunto, al campionato. Dentro questa favola c’è tutta l’attività che un gruppo deve fare per diventare una squadra di amici che , insieme, hanno una grande meta: la partecipazione al torneo scolastico di “Attacco al castello”. E’ questo infatti il nome del gioco-sport per avviarli all’attività sportiva, conoscendo così il basket. In cosa consiste? Si attacca con passaggio e tiro e si difende, ma rimanendo dentro al “castello” (area) dando così  a tutti (ma proprio a tutti) la possibilità di tirare a canestro. Il difensore che esce dall’area per impedire il tiro dell’avversario viene punito con un tiro libero. Se il difensore intercetta la palla, ma rimanendo con i piedi dentro il castello, può utilizzare il palleggio per andare velocemente al tiro nel canestro avversario. Poche regole hanno uno scopo preciso: il divertimento sarà assicurato. Pian piano se ne aggiungeranno altre per rendere sempre più simile , questo gioco-sport , al basket, giocato con tutti i fondamentali. Intanto durante questo periodo scolastico , i bambini apprenderanno l’importanza di un grande fondamentale: il tiro da fuori.

Molti colleghi giovani cadrebbero sicuramente nella trappola didattica che, secondo l’ortodossia corrente, tenderebbe a rinnegare l’avviamento al basket basato sulla difesa a zona (castello). Gravissimo errore, a mio avviso. Non credo che sia una priorità da seguire perchè ce ne sono altre veramente più importanti che riguardano il bambino e i suoi problemi. Il basket “ortodosso” può aspettare. Non sarà danneggiato se, quelli che continueranno in futuro, avranno acquisto l’abilità nel tiro da fuori. Pensiamo che gli indirizzi tecnici, intesi come priorità,  in questo periodo siano dannosi. La prima meta è quella che realizza la felicità dei bambini che, intanto,  giocano senza stress. Dopo la loro gioia, la meta più importante sarà la socializzazione. Infatti, dentro una squadra, come insegna la favola del “Jungle Team”, nascono tantissimi problemi interpersonali (di rapporto), rappresentati da gelosie , invidie , mancanza di rispetto ed egoismi. Tutte problematiche che i bambini devono imparare a risolvere con l’aiuto degli educatori. Quando affronteranno il campionato dello “Zoo” (della scuola elementare) si sentiranno talmente importanti, come “squadra”, che saranno disponibili ad ascoltare (anche) qualche suggerimento educativo fatto dalla maestra.

Gli istruttori dovrebbero comprendere che, nella società odierna, dove i bambini sono veramente sotto stress, non si deve assolutamente “insegnare” il basket attraverso la conoscenza dei fondamentali, ma farlo subito “apprendere” , usando quello più importante (tiro), attraverso il gioco. Bisogna quindi organizzarsi affinché giochino subito, con quello che sanno fare (poco), sfruttando i loro prerequisiti (scarsi), ma pensando soprattutto alla loro felicità. Pensiamo che “l’attacco al castello” e la favola del “Jungle Team” siano indicatissimi per risolvere queste problematiche, in attività di collaborazione con le maestre che durino un anno. Cosa dice la favola del “Jungle Team”?

“IL  JUNGLE TEAM”   

 

Nello zoo di  Roma,  il guardiano permetteva  sempre ai suoi  animali di giocare  a  basket  nel  “bosketto”,  per  distrarsi  dallo  stress delle visite.   Unica condizione,  che non litigassero.  

Quelli  più  adatti formarono una squadra e  cominciarono a prepararsi per il campionato europeo degli zoo.   Come detto,  non tutti gli animali potevano partecipare,  ma solo quelli in possesso di caratteristiche particolari: 

·       Il Delfino,  per  la  sua  intelligenza  e  capacità  organizzative,  ma soprattutto per la sua attitudine ad aiutare gli altri; 

·       La Volpe,  per la sua astuzia e capacità di ingannare gli avversari; 

·       Il Cavallo,  per l’intelligenza e la sua propensione alla corsa; 

·       Il Leone,  per la sua potenza e combattività; 

·       La Scimmia,  per l’agilità e capacità di copiare i movimenti tecnici più belli degli avversari e farli suoi.  

 

Il guardiano aveva loro  concesso  la  possibilità  di  utilizzare due recipienti dell’immondizia che accuratamente incastravano  fra due rami degli  alberi  “a  mo’  di canestro”  e come palla usavano quella presa dalla scimmia ad un bambino che avventatamente aveva lanciato dentro la gabbia. Mancava  solo  l’allenatore  che potesse aiutarli  negli  allenamenti e gestire le situazioni speciali della partita.   Inizialmente scelsero il “Cane”  del custode perché  col suo abbaiare dava l’illusione di poter guidare il gruppo.  

Presto  però   si  accorsero  che  il  suo  carattere   scontroso  era incompatibile con la  sensibilità  degli animali  della  squadra  e lo sostituirono  con l’Elefante”  molto  più  rassicurante  per  la sua prestanza fisica e per la nota  capacità  di tolleranza e sensibilità ai problemi della squadra. Il gruppo  andava  d’accordo anche perché  la presenza dell’allenatore garantiva la pace tra gli  animali e,  in campo,  l’armonia  era foriera di risultati sportivi eccellenti:  dopo  sole  cinque  partite erano primi  in  classifica  nel campionato europeo ed erano già stati invitati a cena dal presidente dello zoo di Roma.  

L’intelligenza del Delfino e del Cavallo era messa a disposizione della squadra,  il coraggio del Leone garantiva la supremazia della lotta per i rimbalzi sotto gli alberi,  mentre l’agilità della Scimmia e la furbizia della Volpe venivano  trasformate in  un  rendimento  veramente elevato sotto il profilo delle realizzazioni. 

Ognuno  aveva un  talento da  offrire alla  squadra  ed  il  primato in classifica sembrava irraggiungibile per gli avversari.  

Alcuni giornalisti  della “Jungle-Gazzette”  si erano anche sbilanciati nell’ammettere che tutto era dovuto all’intelligenza e perseveranza del “super-coach”,  considerato ora come un mago.  

Ma  un  giorno  la  Volpe,  non soddisfatta  dai  successi  di squadra,  si lasciò  sopraffare dal proprio egoismo che  si  insinuò perversamente nei suoi desideri.   Se avesse segnato più canestri avrebbe avuto maggiori attenzioni dalla stampa ed anche i suoi tifosi  personali le  avrebbero tributato grande interesse.  

E così in campo era pronta a prendere il primo  passaggio dalla rimessa dal fondo e,  con forzati “slalom”,  si  esibiva in  solitari  “tiri della disperazione”.  

Il primo compagno  ad  arrabbiarsi fu  la Scimmia che  tentò subito di sgambettare la Volpe per impedirle i suoi  individualismi,  ma  anche per farle un dispetto.

Ne approfittarono subito gli avversari che recuperando la palla,  avevano facili occasioni per realizzare canestri indisturbati.  

Il Leone,  istintivamente,  si arrabbiò e scatenò la sua collera mordendo ingiustamente  gli  avversari  e  “ruggendo”  vistosamente  contro  gli arbitri che furono indotti ad espellerlo e squalificarlo.   Senza il Leone la  squadra perse tre incontri  consecutivi,  i  tifosi si arrabbiarono,  la  stampa  specialista  incolpò   l’allenatore  che  ora rischiava il licenziamento da parte del presidente dello zoo di Roma.   Il Delfino ed  il  Cavallo,  notoriamente  più  intelligenti e sensibili andarono a parlare  con  l’elefante  per  cercare  di  risolvere questo problema nato per una questione di egoismo ed invidia.  

L’Elefante invitò  a  cena  tutta la  squadra per parlare  insieme del problema e sentire da  ogni animale  quale fosse la  sua versione sulla situazione precaria della squadra e le proposte per uscirne.   Alcuni animali dissero  che erano preparati male  fisicamente,  altri che gli schemi  erano vecchi,  ma  la  Volpe,  paradossalmente,  disse  che si sentiva fuori dal gioco di squadra e non aveva soluzioni  tecniche per esprimere il suo talento.  Il solito vittimismo del colpevole.   Quando fu  il  turno del Delfino,  disse  che  l’amicizia  era  uscita da quella famiglia  e,  per  farla  tornare,  occorreva  che  ogni  animale si ricordasse dell’armonia  iniziale  ed abbandonasse la  voglia di glorie personali. 

L’Elefante,    saggiamente,  ricordò  che  era bene non  leggere troppo la “Jungle-gazzette”  e  che i tifosi  non erano  dei  veri  amici perché rovinavano,  senza volere,  la concordia della squadra.   Disse anche che si  trovava perfettamente d’accordo col  Delfino e,  allo scopo,  propose di  ripetere  quella cena una volta al  mese  facendola a turno “in casa” di ognuno e con la squadra al completo.   Il  rivedersi più  spesso e lo stare insieme rinsaldò  lo  spirito di Squadra momentaneamente logorato  ed il gruppo , con l’amicizia,  ritrovò il piacere di giocare insieme e la vittoria.”

 
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DALLA FAVOLA AL GIOCO   di Ettore Zuccheri

Post n°14 pubblicato il 11 Maggio 2007 da maurizio.massari
 
Foto di maurizio.massari

Sono passati 5 anni dalla prima volta che ci siamo presentati alla Elementare di Budrio.
Eravamo Francesco Busciglio e il sottoscritto , insieme. Abbiamo  offerto il servizio di collaboratore esterno per le attività sportive , a settimane alterne, per tutto l’anno, con 20 classi, oltre 400 bambini. Le lezioni di avviamento al basket ( 3°,4° e 5°),  sono state impostate per favorire la collaborazione tra gli allievi,  per giocare con l’attività più socializzante che conosciamo: “L’attacco al castello”. Se usiamo la parola socializzazione è perché siamo consapevoli della sua importanza rappresentata dal lavoro per il passaggio “egocentrismo-altruismo” che i bambini dovrebbero raggiungere durante il periodo della elementare. Pedagogia e psicologia ci guidano durante il nostro cammino. Come dice la favola del “Jungle Team”, che ci aiuta in questo percorso, la meta di ogni squadra è la partecipazione al torneo di fine anno. Una festa di grandi contenuti comportamentali perché i bambini ascoltano, prima di giocare,  i discorsi di “Ettore l’Elefante” che esprimono la necessità di una buona condotta nei confronti dell’arbitro e degli avversari.  Un insegnamento anche per le maestre, talvolta troppo prese dal risultato. Poi , i bambini, giocano attaccando il “castello”  che è basket adatto alla loro condizione di allievi dell’elementare, dove ci sono classi miste con 20-25 allievi , aventi componenti psicologiche e fisiche di ogni tipo.  Ma giocano tutti, maschi e femmine, insieme a bambini portatori di leggeri handicap. Giocano, non fanno esercizi. Scusate se ripeto sempre volutamente la stessa parola, ma l’importanza del gioco è riconosciuta  da tutti o dobbiamo sottolineare che è anche un bisogno primario? Significa che è messo allo stesso livello del respirare e mangiare, ma in più (il gioco) soddisfa anche il bisogno di sognare.  Quando i bambini entrano in campo sono una “squadra” con la loro divisa di rappresentanza, onorano  un cartellone pubblicitario che hanno costruito insieme e che ora vedono affisso alle pareti della palestra. C’è scritto un nome e può essere “Le aquile nere” oppure “Blue Dolphins”, scelto insieme al capitano, regolarmente eletto, e sono orgogliosi si averlo fatto tutti insieme e  d'accordo. Fa parte del  rispetto delle  regole per  partecipare  al torneo. Quando le squadre entrano in campo è più di una festa , è uno spettacolo di colori ed incitamenti, perché il tifo “corretto” si può fare. Non è un basket facilitato dagli ampi spazi perché interpretato come esercizio 3c3 o 4c4. Più spazio, più facile giocare. Impossibile da fare in una classe delle elementari, facendo giocare tutti.  Su questo pensiero la direttrice è stata precisa: “Se giocano tutti, potete andare avanti!” Il nostro  è un vero gioco 5c5 (o 6c6), dove vengono però limitati i fondamentali più condizionanti: la difesa e il palleggio. Si gioca soprattutto con passaggio e tiro da fuori area (castello). Ed è il  tiro da fuori il vero livellatore di capacità tecniche , il fondamentale che pone tutti sullo stesso livello, che mette in condizione i maschietti di far vedere se veramente sono i  più bravi. Quelli che giocano durante il pomeriggio, nell’organizzazione E’ Vita Budrio ,vedono cadere la loro sicurezza rappresentata solamente  dal tiro da sotto canestro. Qui, si può realizzare solo da fuori. Sono quindi allo stesso livello e crollano clamorosamente. Solo chi dimostra sicurezza realizza un canestro da fuori dal castello. E sapete chi lo fa? Sono le femmine che diventano protagoniste. Le bambine che, tra l’altro, hanno il vantaggio che il loro canestro vale 3Pt. Scusate se lo sottolineo: far valere il canestro delle femmine 3Pt. è la più grande idea socializzante che  abbiamo  mai realizzato. I maschietti abbassano la coda, chiedono aiuto alle compagne per vincere e questo è fantastico. E’ la propaganda più grande che si possa fare per avere un reclutamento anche con le femmine.  Chi l’avrebbe mai detto? Solo attraverso le esperienze si raggiungono certe verità. Quest’anno se ne sono iscritte 10, ma altrettante ce ne saranno il prossimo anno perché la felicità si scopre pian piano. Ettore “l’elefante” , prima di ogni partita dice di rispettare l’arbitro,che potrebbe anche sbagliare, ma in cuor suo non vuole favorire nessuno. Lo ricorda ai bambini , ma il messaggio, come già detto , è per le maestre. Dice anche che è difficile vincere , ma perdere lo diventa ancora di più perché c’è  un legame col proprio orgoglio. Bisogna salutare ugualmente gli avversari, alla fine, col sorriso e correre subito nello spogliatoio per piangere. Ma la colpa non è di nessuno, oppure è di tutti. E’ la bellezza dello sport. E cosi, la purezza dei bambini , si fa coinvolgere con una morale giusta: salutare il vincitore e correre a piangere nello spogliatoio. Perché non si gioca in tutta Italia, nelle scuola elementare, con l’attacco al castello? Credemi, nessun svantaggio tecnico, nessuna abitudine errata,  se è questo che preme, come priorità, quando si debbono fare delle scelte. I nostri bambini e bambine che si iscrivono per il basket pomeridiano, organizzato dall’ E’ Vita Budrio, non hanno problemi rispetto l’impiego difensivo individuale. Ci mancherebbe. Avere una responsabilità precisa diventa più facile. Magari l’attacco è  più difficile, ma solo inizialmente. Rimane però nelle loro mente un concetto fondamentale:  si vince col tiro da fuori area. Così, durante le partite (per esempio) Budrio-Fortitudo, basate sul pressing, i nostri bambini/bambine tirano naturalmente da fuori, cosa che non succede nelle altre squadre.
Sarà un caso? Il gioco “Attacco al Castello” è semplice e solo questa parola dovrebbe far pensare che siamo sulla strada buona. Se poi le regole sono poche, il divertimento diventa massimo. Queste parole , che non sono mie, mi hanno fatto pensare moltissimo come all’annuncio di una grande verità. Le ho viste scritte in un cartellone dei bambini dell’elementare, frutto di una ricerca stimolata dalla maestra.  Avrei dovuto arrivarci da solo, ma sono in bambini che me lo hanno insegnato. Se non devono troppo pensare alle regole, si possono vedere interpretazioni personali durante il gioco come , per esempio, bambini che fintano il tiro, prima di scoccarlo. Nessuno lo ha mai insegnato, ma loro lo fanno perché facilitati dal fatto che non devono pensare alle regole per giocare. Come detto, sono poche e semplici.

La prima dice che gli attaccanti non possono entrare dentro il castello e che i difensori non possono uscire dallo stesso, per difendere. Durante la transizione difensiva (attacco-difesa) non è possibile contrastare gli avversari che avanzano per attaccare. Si può farlo da dentro il castello.

La seconda afferma che si può contrattaccare, una volta conquistato il possesso della palla, in modo blando oppure velocemente. Se l’attacco viene eseguito come nel primo caso, la palla deve andare “dall’alba al tramonto” (percorso del sole: è un linguaggio figurato) prima di far scoccare il tiro perché tutti devono partecipare all’attacco (socializzazione). In caso di intercettazione o contropiede si può tirare velocemente ,se il rientro difensivo non è realizzato da almeno due avversari. Quindi, intercettare da dentro il castello, palleggiare velocemente e tirare, si può fare se ci sono solo due avversari, o uno, o nessuno. E’ una possibilità che rende il gioco più brioso. E’ evidente che ogni lezione ,fatta durante l’anno , è stata realizzata con gare di tiro a canestro (vari modi) e gioco.

Non so cosa possa pensare un allenatore che legge questa esperienza. Può immaginare che dalla semplicità possa scaturire una grande gioia? Riesce a vedere, con la fantasia, i bambini che giocano  pensando di essere protagonisti come i grandi della TV? Credo che la felicità sia il miracolo della vita e poterla provare con una partita di basket, alla elementare,  sia il massimo che un allenatore per le giovanili possa realizzare. Spero che tutti possano comprendere il gioco delle priorità. Durante il periodo delle elementari, la tecnica non può trovare spazio. Non c’entra proprio per niente, mentre il gioco è tutto.

 
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Cosa bolle in pentola?    di Ettore Zuccheri

Post n°13 pubblicato il 08 Maggio 2007 da maurizio.massari
 
Foto di maurizio.massari

Nel grande mare delle idee del basket ci sono alcune verifiche tecnico-didattiche poco rilevate dai colleghi, allenatori delle squadre giovanili. Lo dico con cognizione di causa perché , andando dentro i vari siti degli allenatori oppure associazioni degli stessi , certi argomenti vengono evitati  o poco trattati. Ovviamente non significa che siano sconosciuti, ci mencherebbe. Magari sono  ritenuti poco interessanti oppure scontati. Anche durante le riunioni tecniche che facciamo ogni anno a Budrio, gli argomenti sono vari , ma mai centrati sul rapporto didattico (allenatore-giocatore). Infatti, non sempre è chiaro come l’allenatore, attraverso le sue scelte metodologiche e la sua azione didattica, possa essere  anche facilitatore (se mi passate il termine), cerchi cioè di  fornire i sostegni tecnici  (fondamentali) necessari al giocatore e , nel contempo, lasciare a quest’ultimo la responsabilità che gli compete, quella di imparare. Insegnamento e apprendimento sembrano entrare in una dialettica complessa e a volte ambigua, siete d’accordo?

Quello che vorrei sottolineare è la necessità  di entrambi i momenti, l’importante è non esagerare in un verso o nell’altro. Se l’allenatore vuole seguire la strada del solo insegnamento sbatterà contro il muro di un risultato negativo rappresentato dalla “dipendenza” tecnica, esattamente il contrario dell’autonomia, riconosciuta come la grande meta dell’allenatore. Coinvolgendo invece il giocatore al progetto tecnico si facilita lo stesso a prendere coscienza delle problematiche , risolvibili con grande applicazione, anche senza la presenza dell’allenatore , che ha dato però la spinta iniziale.           Tenere un quaderno per scrivere il lavoro fatto con l’allenatore , avere uno spazio prima dell’allenamento per provarlo da solo, credo siano procedure didattiche che facilitano l’apprendimento del giocatore. Gli daranno la possibilità di farlo anche lontano dalla palestra, da solo , al campo di gioco aperto al pubblico (campetto). In altre parole , ciò che è necessario , secondo il mio modesto avviso, è riconducibile al fatto che gli insegnanti dovrebbero introdurre delle valide strategie di apprendimento…nel loro insegnamento. E’ la mia esperienza coi giovani di Budrio dove l’apertura della palestra, 90’ prima dell’allenamento, serviva ai ragazzi per allenarsi da soli (fondamentali e gioco libero), con la mia presenza per controllare la serietà degli intenti.           E dopo? Solo gioco, fatto a metà campo e tutto campo, guidato dall’allenatore. Possono stare in palestra per tre ore, tre volte alla settimana? Solo se si divertono e  si sentono protagonisti. Abbiamo distruibuito video-tape con partite e movimenti tecnici dei grandi giocatori USA. Siamo certi che, di solito, quello che viene progettato dal giocatore, copiando i più bravi, ha una grande possibilità di essere realizzata in campo. E’ un dato di fatto. Non è sempre detto che questo accada, se  è solamente  l’allenatore a proporlo. Non stiamo parlando solo dei fondamentali analitici o dei principi di gioco che servono per la sopravvivenza in  campo, ma di attuare qualcosa oltre questo livello.  Ci sarà sicuramente da obiettare sul fatto di avere a disposizione la palestra per fare queste programmazioni. Siamo poi sicuri che altri sarebbero pronti a fare lo stesso?  Fatta la premessa , vorrei sottolineare  che ci sono diversi argomenti  che andrebbero trattati (lo faremo ovviamente) e mi riferisco soprattutto ai seguenti problemi centrali. Ecco cosa bolle in pentola:

  1. La  prima preoccupazione dovrebbe far pensare al basket in relazione del periodo storico vissuto, con riferimento all’insegnamento e all’apprendimento. Cosa voglio dire? Cambia il periodo storico, differenti sono i ragazzi che si presentano in palestra, giusto? Così si dovrà   modificare  anche il rapporto didattico per salvaguardarne i bisogni. Infatti , il gioco è un bisogno primario. Qualsiasi modificazione venga portata al proprio metodo di lavoro, dovrebbe rimare fissa la meta della comprensione del gioco per catturare il suo “spirito”.               Come vedremo, è importante distinguere l’interpretazione dello stesso, attuata istintivamente dai giovani.
  2. Il secondo problema è riferito all’autonomia del giocatore che è la grande meta dell’allenatore. Come ottenerla? Coinvolgendo l’allievo a partecipare al progetto tecnico, lo abbiamo detto. Ancora richiamiamo l’attenzione alla divisione in due parti  distinte di  insegnamento-apprendimento. Quanto vale l’esperienza personale per raggiungere l’autonomia? Dai bambini ai giovani (in generale) si dovrebbe creare una mentalità che permetta di allenarsi anche da soli.  
  3. Il terzo riguarda l’imprevedibilità, definito “sale” del basket, ma che è anche  un grande ostacolo per chi pensa di far crescere i propri ragazzi solo con l’insegnamento. Se c’è dipendenza, è impossibile tirare avanti il discorso  dell’imprevedibilità che non può essere insegnata.
  4. Il quarto problema vuole puntare l’indice sul fatto che (purtroppo) il rapporto tecnico con l’allievo è sempre riferito al presente e poco (o mai) pensando al suo futuro. I ragazzi vengono di solito incanalati tecnicamente secondo una situazione fisica e tecnica che tiene in considerazione le potenzialità momentanee. Diverso è vederlo proiettato nel futuro dove quasi sicuramente dovrebbe cambiare ruolo. Unica eccezione per i playmakers, dove però la conoscenza di un altro ruolo potrebbe essere almeno utile. E’ un’operazione è necessaria.    E bisognerà  tenerlo presente, fin dall’inizio,  nella programmazione per lo sviluppo delle individualità. Diventa importante scegliere moduli di gioco dove tutti posssono esprimersi nel ruolo di play-ala-pivot. L’esperienza mi dice che  è più facile portare fuori dall’area un ragazzo che giocava “pivot”, piuttoso che l’inverso. Tutto deve avvenire però con il consenso del giovane e l’allenatore deve avere stimato che si può fare. Conoscere bene due ruoli è indispensabile.

A mio avviso, questi argomenti, hanno un aspetto  in comune  per quel che riguarda il gioco e l’insegnamento dei fondamentali. Problemi centrali che debbono essere trattati a parte, in quanto vastissimi, anche se è altrettanto importante analizzarli con sguardo riassuntivo, come abbiamo fatto ora. Saranno le prossime mete per questo Blog.

 
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TUTTI A IMOLA!!!

Post n°12 pubblicato il 08 Maggio 2007 da maurizio.massari
 

Perdonatemi l'entusiasmo per il fatto di "giocare in casa", ma la convenction nazionale non si terrà a Roma, come precedentemente comunicato, bensì a Imola presso l'Hotel Olimpia.  Un motivo in più per essere numerosi, visto il grande interesse che ho riscontrato per apg nella nostra regione. Chi desidera ricevere la modulistica per registrarsi può inviarmi una mail: ricordo che per partecipare non è necessario essere associati, che lo si potrà fare direttamente sul posto e solo qualora si desideri partecipare attivamente alle delibere dell'assemblea. Quanto all'acomodation, è previsto un pacchetto con varie opzioni, compresa quella che prevede solamente il solo pacchetto congressuale: 2 pasti (bevande incluse), 2 mezze giornate di congresso, 2 coffee break a 55 euro. La registrazione deve essere effettuata entro il 21 maggio attraverso la compilazione e l'inoltro dell'apposita form. Mi auguro veramente un segnale importante da tutti quanti noi: tutti a Imola!!!

 
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