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..... LOSI  ( da Il Romanista )

Post n°7763 pubblicato il 16 Novembre 2008 da asrfila80

Ho sempre sentito il derby più di un calciatore romano. Difficilmente sbagliavo una partita così importante». Parole di Giacomo Losi, il capitano che di stracittadine ne ha vissute molteplici con la fascia di capitano al braccio. Vinte, perse, pareggiate, di ogni tipo, «ma allora era diverso rispetto a oggi».
Come vi preparavate alla vigilia?
«Si andava sempre in ritiro a Frascati. Quelli dal giovedì alla domenica erano i giorni peggiori: la gente quando passeggiavi per strada ti chiedeva di vincere. E l’attesa ti innervosiva. Uno dei primi derby lo giocai nel ’56 di mercoledì dopo una storica nevicata, perdemmo 1-0. Fu una bellissima partita, ma verso la fine della gara arrivò la beffa con Muccinelli. Eravamo noi i favoriti e rimanemmo male per la sconfitta. Ma si sa, il derby spesso premia la squadra più debole in quel momento».
Però ne vinceste molti negli anni seguenti.
«Sì, parecchi. Quando arrivò Da Costa cominciammo a toglierci parecchie soddisfazioni. Uno che ricordo con nostalgia lo vincemmo per 1-0 nel ’66. Posso raccontare un retroscena: nella Lazio giocava un giovane attaccante molto promettente, D’Amato, che anni dopo sarebbe passato alla Roma. Pugliese era il nostro allenatore. Mi disse di non marcarlo e di restare dietro a fare il libero. Ma io gli risposi: "No, mister, lo prendo io". E andò bene, giocai una grande gara insieme a Peirò. La rete decisiva la realizzò Enzo di testa. Il giorno dopo su un giornale, Momento sera, il giornalista Petrucci propose la cittadinanza onoraria per Giacomo Losi. Una bellissima soddisfazione».
E D’Amato come andò?
«Poverino, quel giorno lo distrussi. Ad un certo punto a metà campo lo anticipai anche in rovesciata, sventando un’azione pericolosa. Solo un pazzo come me poteva compiere un gesto simile. Lui rimase senza parola, disse "oddio", e da quel momento non si mosse più. L’Olimpico esplose di gioia come a un gol».
Nel sottopassaggio succedeva qualcosa di particolare?
«Ma no. Eravamo molto concentrati, silenziosi, avevo bisogno di entrare in campo per sbloccarmi. Io la sentivo più di un calciatore romano. Negli appuntamenti importanti, che erano il derby, la Juventus o il Milan, difficilmente sbagliavo».
Le è mancato di non segnare un gol decisivo in questa partita?
«Ho salvato alcune situazioni pericolose, questo sì, ma di gol non ne ho mai realizzati nelle partite con la Lazio. Certo, mi sarebbe piaciuto risultare decisivo, ma a quei tempi era difficile che un difensore si sganciasse in avanti. Il gioco era diverso, non potevamo permetterci di concedere spazi».
E Dino Da Costa, il bomber dei derby, come si preparava?
«Era taciturno, si caricava come pochi. Era l’incubo dei laziali e di Bob Lovati. Pensi, gli segnò anche in una partita tra vecchie glorie. Ho detto tutto».
Quali differenze nota tra le stracittadine attuali e quelle di una volta?
«Il clima era diverso. Ai miei tempi non dico che era più umano, ma più gioioso sicuramente. Si andava allo stadio in un altro modo. La rivalità c’era sempre, però si limitava allo sfottò. Non ho mai visto i tifosi picchiarsi fuori lo stadio. Al massimo i laziali erano costretti a pitturare la loro macchina di giallo e rosso dopo una sconfitta. Da Paparelli in poi è cambiato tutto. E poi questi soldi hanno cambiato sia il comportamento dei giocatori che della gente appassionata. Mi piacerebbe che i tempi dell’oratorio tornassero, solo così si può salvare il calcio».

 
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