Creato da MarioStaffaroni il 25/06/2011

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Ma perché, il più delle volte, la politica italiana parla un linguaggio da iniziati?

Post n°5 pubblicato il 08 Agosto 2011 da MarioStaffaroni

 

La nostra politica italiana, ormai da tempi immemorabili, spesso parla in effetti in un modo veramente strano. Usando termini del tutto suoi e che spesso non riescono facili da decifrare da chi ascolta. Cioé da tutti noi. Popolo sovrano a cui pure dovrebbero essere destinati.

 

Restano celebri su tutte <convergenze parallele>, <equilibri più avanzati>, <governo della non sfiducia>....

Ma senza scomodare i grandi classici di questo linguaggio spesso da iniziati, non è che anche il prosieguo sia poi tanto diverso: <fare un tavolo>, <convocare un tavolo>, <aprire un tavolo>, <parti sociali>, <riunire un vertice>, <manovra>, e via così seguendo....

 

Non si può non pensare ascoltando tante terminologie sue proprie della nostra politica italiana quello che disse il direttore del tg de la 7, se ricordo bene in una puntata di Anno Zero allorché si scatenò un improvviso dissenso furibondo sovrapposto e spezzettato tra ospiti. Allorché in sostanza commentò che immaginava come si doveva essere trovato bene il traduttore in simultanea di Al Gore, il quale ultimo era anche egli tra gli ospiti, a cercare di capire quello che veniva detto....

 

Non desta poi così tanta meraviglia che un Segretario di Stato americano del secolo trascorso risulta confessasse di non riuscire a <capire> la politica italiana. Visto che spesso non ci riusciamo neanche noi italiani ed italiane.

 

Faccio una digressione. Che pare fuori tema. Ma penso invece aiuti avanzando negli appunti che vanno prendendo forma.

Il linguaggio è proprio della specie umana sapiens attuale. Ma, pur da profano e scusandomi con i cultori della scienza relativa, non penso che esso sia sorto per trasmettere tanto sentimenti, esigenze basilari di vita e di sopravvivenza, legami parenterali. A questo provvedono del resto egregiamente tra loro, e verso noi, anche gli animali. Modulando e gestendo suoni e mimica propri che risultano efficaci ed affatto uguali.

 

Ma quanto sto ora annotando, giusto o sbagliato, non penso che potrebbe fare a meno del <linguaggio> umano.

Dunque sono portato a pensare che il linguaggio ci serva soprattutto per trasmettere tra di noi gli elaborati nostri del pensiero e della conoscenza. A qualunque livello essa si esprima. Non a caso, ritengo ancora, il bimbo piccolissimo parte a comunicare con il linguaggio dei suoni e delle mimiche e gesti. Più che sufficienti a far comprendere più che bene sentimenti, esigenze vitali proprie. Poi, impadronitosi anche esso delle connessioni di pensiero, e della sua capacità di astrazione, accede al linguaggio. PER POTER FARE COMPRENDERE FACILMENTE DA NOI TUTTI QUEL CHE PENSA.

 

Dunque sarei di nuovo portato a ritenere che il linguaggio usato da ciascuno di noi abbia tra le sue principali motivazioni la esigenza di volerci farci comprendere chiaramente da parte di chiunque ci ascolti ed al quale desideriamo trasmettere una nostra idea e pensiero.

 

E infatti, passando dal basso all'alto, la Chiesa Cattolica Cristiana, quando forse ha compreso che la Lingua latina non era più lingua dominante nel suo Gregge di fedeli, è passata senza indugio alla Liturgia nelle Lingue natie. Voleva che fosse comprensibile, ritengo, il suo Pensiero e Messaggio da ciascuno di noi a cui veniva rivolto. Una per una, singola persona di noi tutti.

 

Ed allora, la Politica?

 

Adesso annoto un racconto che il mio babbo, ormai da tempo scomparso, era solito raccontarmi spesso quando ero ancora bimbetto. Certo per farmi divertire. E ci riusciva. Ma scopro proprio adesso, quasi come in un apologo od una parabola, recare sottile anche un suo valore dentro.  Forse lo voleva anche questo. Dunque il racconto.

Con una premessa. Come Esopo utilizzava incolpevoli animali buoni, così in questo racconto che mi veniva fatto compaiono un sacrista ed un parroco di campagna e di altri Evi trascorsi. Il Sacrista ed il Parroco degnissime dedite persone nella realtà, in questa storia assolvono a un ruolo <birbante> e tanto umano. Ma la storiella era così. E pertanto la racconto come mi veniva raccontata senza temere di apparire per questo irrispettoso.

 

Ma adesso, che c'entra con la politica italiana ed il suo linguaggio?

Un attimo di pazienza. Prima il racconto promesso.

 

In uno sperduto borgo di campagna si doveva svolgere una processione. Il parroco e il sacrista si vestono per la circostanza e si avviano per le viuzze del borgo seguiti dalla propria gente sempre più numerosa. Per partecipare alla sfilata sacra molte casupole ed aie finirono così per rimanere sguarnite dei loro stessi abitanti.

Fu così, che ad un certo punto, l'inizio della sfilata venne attraversato da un paffuto tacchino. Proprio davanti quasi ai piedi del parroco ed sacrista. Un attimo, ed il <parroco> lo aveva già acchiappato per le zampe e nascosto sotto la sottana... Nessuno aveva visto. Nessuno aveva sentito... Tutto bene dunque.

Non proprio. Infatti, quasi in contemporanea il sacrista, che gli camminava accanto, mormorò, inserendosi nei canti salmodianti, all'uomo di fede: <Tirate giù la cotta in domine se no si vedono le zampe nereee. amennnn...>

L'altro capì subito cosa volesse dire, solo sbirciandosi la sua veste. Le zampe del tacchino erano rimaste ancora in bella vista.

Provvide subito dunque alla bisogna tirandosi meglio verso il basso gli indumenti, e subito, sempre salmodiano anche egli così risulta rispondesse grato al suo collaboratore: <Avete fatto beneee a parlare in cinferee e in cianferee...così populorummm non capisceeee...amen>.

 

E se fosse questa la ragione di un linguaggio troppo spesso da iniziati di chi non si ritenesse più popolo delegato tra popolo delegante, ma quasi come appartenente ad un gruppo oligarca di Ottimati <illuminati>?


Personalmente non concludo. Preso atto che il raccontino forse c'entrava, a ciascuno la personale risposta che gli paia migliore.

 

BUON FERRAGOSTO.

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
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