Gentile navigante della Blogsfera, grazie per esserTi soffermato su questo Blog: sei il benvenuto.
Queste pagine sono dedicate a mio Figlio (http://blog.libero.it/marcojostoagus), alle persone a me Care, alla mia Sardegna, agli Artisti. Ed un poco anche a me. Firmerò, disdegnando gli anonimi, i Post in prima persona (beniamino agus) o con i miei nick (benag, ampsicora o babbuzostu), e risponderò sempre a commenti e saluti, evitando tuttavia la chat. Consapevole che la musica in "autoplay", o peggio ancora in "loop", può non essere da tutti gradita, in questo Blog si avrà la possibilità di fermarla, cliccando sul relativo "off", ben visibile. I testi e le immagini, ove non altrimenti indicato, sono mie realizzazioni. Possono essere utilizzati, citandone l'autore. Sarò grato al Visitatore se volesse indicarmi correzioni da apportare a mie inesatezze o contribuire, con propri arricchimenti, i miei testi.
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Istimadu Fitzu
Il primo Post è dedicato a mio figlio, Marco Josto, pittore e poeta, scomparso nel 2004 non ancora 26enne. E gli scrivo una lettera...
Caro Marco Josto, istimadu Fitzu,
è "babbone" che ti scrive.
Apro il mio Blog con una lettera per Te. Sono certo che Ti giungerà. Pensa, sono riuscito ad impratichirmi con il pc. (ovviamente ho preso lezioni...). Tu eri molto bravo anche in questo; mi ricordo…ecco, la tua tesi su word, ad esempio...Ammentus...
Questa foto mi riporta a quei giorni di settembre del 2000, quando andammo a Cagliari per acquistare la Panda. "Finalmente almeno una Panda", mi dicesti. La tua prima macchina.
Ricordi, poi per inaugurarla, andammo a Bugerru, alla spiaggia di Cala Domestica…ricordi, lì quei marosi che tu affrontasti senza paura; poi quella discesa ripidissima che ci portò alla spiaggia di Masua e quel meraviglioso faraglione chiamato, mi pare, il leone di Nebida e che a noi pareva invece una sfinge… Ricordi, non volevi che ti fotografassi ma io, tuttavia… Ricordi…
E qui, ricordo il tuo sguardo sempre proteso al di là del tempo e delle cose; spesso solo con i tuoi pensieri che già trasparivano di fatiche; il tuo sguardo che puntava ad un orizzonte lontano, già nell’infinito, cercando una madre mai sepolta , in uno sfondo di luce che questa foto a malapena immortala…
Ricordo.
No potho reposare
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Oje esti-Chenàpura Santa
In Lingua Sarda e/o Sardo (Limba,in sardo-loguderese; Sardu, in sardo-campidanese), il Venerdì si dice "Chenàpura", e vuol dire "Cena pura". E' caso unico al mondo questo designare in tal modo il Venerdì.
Nella Settimana Santa di noi Cristiani in Sardo è, ovviamente, "Chenàpura Santa".
Esistono numerosissime varianti sia di forma lessicale che fonetica. Ne riporto alcune, tra le più significative: kenàpura-kenapuru; chenàpura-u; chenàbara-uru; cenàbara-uru; cenàbura-u.
Il lettore attento avrà notato che la parola può essere indistintamente di genere femminile che maschile. L'indistinto uso non è peculiare ad enclavi linguistiche o ceti, poiché esso convive anche negli stessi ambienti o territori: la ragione è insita nella "metàtesi" tipica del parlare e dello scrivere in Sardo.
Il termine proviene dal latino "Coena pura" e l'indicazione in Sardo del Venerdì con "Chenàpura" trova riscontri documentali a datare dal XV secolo. Tuttavia, a ritroso nel tempo, l'uso lo si potrebbe far risalire alla deportazione in Sardegna di alcune migliaia di Ebrei nel 19 d.C., voluta dall'imperatore romano Tiberio, dopo aver sedato una rivolta del popolo ebraico in Gerusalemme o, comunque, all'influenza del giudaismo in Sardegna.
Il richiamo al mondo ebraico non è solo lessicale. Si ricordino a proposito i particolari riti della "cena ebraica" prima del "Sabato" (Shabbath), che consistono in un pasto a base di erbe amare e pane àzimo. Questa ritualità risalirebbe alla cena prima della partenza dall'Egitto, verso la Terra promessa o comunque alla vigilia della Pasqua ebraica. Da qui, in Sardegna e conseguentemente in Sardo, il Venerdì è detto "Chenàpura" in ricordo del giorno precedente al Sabato della Pasqua Ebraica.
Altri segni di giudaismo permangono in Sardegna tramite usanze locali.
A Luras (Gallura), si evidenzia in particolare l'usanza, sino ai primi del ‘900, di trasportare al Cimitero i bambini defunti entro la bara scoperta e la preparazione de "Sa còzzula pùrile" (pane àzimo) ed alcuni toponimi quali Canharan (Carana) e Canahini o Canahim (Canaili). Con maggiore diffusione territoriale, invece, la sfoglia di pane detta "Carta de musica" (tipica dei pastori o comunità nomadi d'ogni latitudine), impastata nel momento stesso in cui abbisogna, non lievitata e cotta sotto la cenere e nell'onomastica.
A tal proposito, si segnala la diffusione di Ephraim o Ephrem e di Beniamino nei nomi di persona; quest'ultimo, nella quasi totalità, riferito al primogenito od al primo figlio maschio, in totale accordo con il significato dell'ebraico Ben-el-Jamen (lett. figlio della destra, prediletto).
Tra i numerosi riti del Venerdì Santo in Sardegna, desidero sommariamente descrivere quelli che si celebrano a Cagliari, in " die de Chenàpura Santa".
Nel capoluogo si svolgono tre processioni del Cristo morto: una curata dalla "Confraternita della Solitudine", la seconda dalla "Confraternita Santissimo Crocifisso" e l'ultima dalla "Confraternita del Gonfalone".
Queste tre processioni intendono rivisitare con profonda "fede popolare" il funerale di Gesù.
La rappresentazione inizia dall'Oratorio della Solitudine per condurre il corpo di "Cristo morto" (detto "su monumentu") alla statua dell'Addolorata in Cattedrale. Successivamente dalla stessa Cattedrale si snoda una processione che riporta l'Addolorata alla Chiesa di San Giovanni. Nel pomeriggio inizia la processione curata dalla Confraternita del Santissimo Crocifisso. Dall'omonimo oratorio i confratelli e le consorelle portano il Crocifisso e l'Addolorata verso la chiesa di San Lucifero. L'ultima processione, alla luce delle fiaccole, parte dalla chiesa di Sant'Efisio in tarda serata per ritornarvi dopo un breve percorso per le strade di "Stampace" (rione di Cagliari). A differenza delle prime due processioni, che recano il simulacro di Cristo ancora inchiodato alla croce, la processione serale porta una statua del Cristo morto già adagiato su "sa lettèra" (lettiga/barella).
beniamino agus
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Sarò grato ai Lettori sia per la segnalazione di miei errori , sia per arricchimenti a queste brevi annotazioni che ho tratto da internet e documentazione in mio possesso, con particolare riferimento a:
Max Leopold Wagner, "Storia della Lingua Sarda", 1950;
Centro di Studi Filologici Sardi/Cuec, 2003, "Registro di San Pietro in Sorres" del XV sec.;
Francesco De Rosa, "Tradizioni popolari di Gallura",1899;
Francesco Muntoni, "Gallura" a cura di A.Murineddu, 1961.
Inviato da: babbuzostu
il 09/04/2012 alle 12:04
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